di: Gianluca Di Feo
La Marina annuncia il piano per costruire altre dodici navi da un miliardo e mezzo. Un programma non previsto dai bilanci. Con la scusa delle calamità e della disoccupazione
Dodici nuove navi per la Marina Militare. Ma poiché siamo in tempi di crisi, si tratterà di navi innovative che «un giorno potranno essere ospedali galleggianti in caso di calamità e il giorno successivo combattere una guerra ad alta intensità»: parole dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, comandante in capo della flotta.Il progetto irrompe nel dibattito sulle spese della Difesa, senza che fosse mai stato citato finora nei programmi dei governi. «E’ un concetto in fase iniziale, ma lo Stato maggiore ha già dato l’approvazione preliminare per costruirne sei», ha dichiarato De Giorgi in un’intervista al sito specializzato Defensenews. Il costo? «Sarebbe due terzi di quello delle fregate Fremm». Il prezzo di una Fremm è di circa 350 milioni di euro, si tratterebbe quindi di un cifra vicina ai 250 milioni. E dove si pensa di trovare i fondi per finanziarne ben sei? Si può in questo momento, senza risorse nemmeno per la cassa integrazione, lanciare un’operazione da un miliardo e mezzo di euro?
L’ammiraglio ha fornito una spiegazione chiara delle esigenze della Marina. Nei prossimi anni trenta unità andranno in pensione, mentre è previsto l’ingresso in linea di sole dieci fregate Fremm. Ecco quindi l’idea di far partire questo progetto, con dodici navi che avranno una stazza tra le 3500 e le 4000 tonnellate, lunghe 125 metri e larghe quindici. Ma «le unità che ho in mente dovrebbero essere concepite sin dall’inizio come dual use», ossia convertibili «in modo rapido e modulare» da scopi bellici a umanitari.
Cosa significa? Le “mini-fregate” avranno due cannoni e una stiva modulare. Lì si potranno inserire centrali di controllo e armamenti, come missili di vario tipo e siluri. Oppure in caso di disastri naturali «potrà ospitare 230 letti, fornire acqua potabile ed elettricità per una comunità di 6000 persone. L’alta velocità gli permetterà di intervenire rapidamente nei luoghi dei disastri. Se guardate la mappa dell’Italia, potete vedere che queste navi con i loro elicotteri potranno raggiungere qualunque zona del Paese».
Una previsione forse ottimistica. Gli ultimi terremoti sono stati a l’Aquila, nelle montagne tra Marche e Umbria e ancora prima in Irpinia e Friuli: tutte aree parecchio lontane dalla costa. E, come ha scritto “l’Espresso” in un’inchiesta di Fabrizio Gatti nel numero in edicola, oggi anche la Protezione Civile ha altri problemi: una disperata carenza di fondi per la prevenzione, in un territorio fragile dove case e capannoni si sbriciolano alla prima scossa, come è accaduto in Emilia.
Pure le forze armate stanno vivendo lo stesso problema. La spending review comporta tagli massicci, che influiscono sull’addestramento dei reparti in missione in Libano e Afghanistan. Mentre altri progetti ad alto costo sottoscritti dai governi di destra e sinistra, come il supercaccia F35, impegnano risorse colossali. Tanto che ?€“ come ha annunciato tre giorni fa il neosottosegretario alla Difesa Roberta Pinotti ?€“ persino il finanziamento delle ulteriori fregate Fremm è stato rinviato di almeno sei mesi. E allora come si fa a pagare le nuove navi?
Il piano dell’ammiraglio De Giorgi cerca alleati nell’industria. «Per il Paese investire nella Marina in maniera più incisiva significherebbe dare una forte spinta all’economia e all’occupazione, non solo alla sicurezza», ha spiegato al quotidiano Mf. «Pensiamo a un’eccellenza come Fincantieri e al fatto che nei suoi cantieri viene utilizzato per il 90 certo l’acciaio proveniente dall’Ilva, per capire cosa si può mettere in moto con una commessa. L’indotto è enorme, va dai sistemi d’arma agli arredi».
Considerazioni fondate, indubbiamente. Che sosterrebbero tante aziende in difficoltà come Ilva, Fincantieri, Finmeccanica, spesso nell’ultima stagione protagoniste della cronaca giudiziaria per i comportamenti dei loro amministratori. Certo, ci sono tanti operai e tecnici d’eccellenza che rischiano il posto, come accade però in tutte le aziende italiane. Ricadute tecnologiche e occupazionali si possono avere anche investendo nelle università, nelle biotecnologie, negli ospedali, nelle start up. Mentre l’equazione industria bellica-crescita economica viene accolta con scetticismo crescente in tutto il mondo. Dieci anni fa il Sud Africa di Nelson Mandela, ad esempio, ne fece il fulcro del suo rilancio industriale: ora caccia supersonici e sottomarini costruiti a caro prezzo stanno arrugginendo, perché non ci sono soldi per farli funzionare.
FONTE: L’Espresso