Lunedì 22 ottobre 2012 è stato rappresentato al Teatro del Carcere di Rebibbia lo spettacolo LA GUIDA DELL’ERMITAGE (El guía del Hermitage) di Herbert Morote.
La messa in scena è della Compagnia La Ribalta – Centro Studi Enrico Maria Salerno e la regia di Fabio Cavalli.
Gli attori sono molto bravi, incisivi, con un corpo-di-scena quasi irripetibile sui palcoscenici canonici. Non troviamo i loro nomi sulle locandine degli spettacoli teatrali. Perchè! Béh se prestiamo attenzione qualche nome compare fra i protagonisti del film Cesare deve morire dei Fratelli Taviani, vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino 2012 e in corsa all’Oscar per il miglior Film Straniero 2013.
A già! Scusate! Sono detenuti. Detenuti del carcere di Rebibbia. Per un attimo avevo dimenticato che sono cittadini derelitti, di terza scelta, non adatti al mercato.
Eppure quando assisti ai loro spettacoli entri nell’oblio, nella catarsi, prerogativa del teatro.
Il teatro! Questa grande macchina da gioco che rischia di diventare un guazzabuglio di grida isteriche e meta di figli legittimati da cognomi illustri del passato. Passato italiano appunto, riciclato. Tutti oggi in Italia calcano la scena. Dai residui della fiction, al figlio di qualche attore famoso che si ri-qualifica da uno spazio scenico all’altro come artista intercambiabile. Evidentemente nessuno gli ha detto che l’arte non è un puzzle dove potersi inserire tout court. L’immediatezza della scena che determina la trance del pubblico è un esercizio impegnativo e richiede talento e sobrietà. L’urgenza di diventare famosi conduce talvolta a percorrere strade in discesa e al primo successo si corre il rischio di sentirsi Sarah Bernhardt. Per tale ragione le starlette sono spesso rigide ai “comandi” del regista, preoccupate come sono della fama e del compenso. Solo togliendosi di dosso tali strutture un attore riesce a trovare l’energia e la tensione necessaria per poter esprimere il meglio sulla scena, per poter uscire di senno, estraniarsi e far gioire il pubblico.
Al contrario un lavoro di questo tipo riesce molto bene ad un galeotto. Chiuso in una cella senza prospettiva, esclusa la possibilità di studiare o lavorare entro o fuori dal carcere, il detenuto acquista forza, rispetto di sé stesso e la propria “libertà” mettendosi alla prova con un testo teatrale. Attraverso lo studio e la recitazione i detenuti vengono rieducati e non banalmente intrattenuti. Loro sono maschere nude e conservano il sapere della strada. Il loro pesante bagaglio pieno di ansie, angosce, paure può essere impiegato dal regista per creare delle opere d’arte. Sono uomini primitivi e non hanno nulla da perdere o da dimostrare come attori e quindi sono veri, liberi di esternare le loro passioni, creandosi la possibilità di un riscatto verso le guardie carcerarie, la famiglia e la società. La quarta parete, il pubblico, avverte questa energia, subisce la catarsi, in una specie di sospensione del tempo e si dimentica dei propri problemi, si libera e all’occorrenza piange.
Come dice il regista Fabio Cavalli “si verifica il senso del teatro quando si incontra la bellezza con la giustizia, ciò che è ben detto (la bellezza) e che parla di ciò che deve essere (la giustizia). Il Teatro fuori deve diventare forte come il teatro in carcere. Questo è il teatro assoluto, in quanto l’essere è privato di tutto. Il teatro primigenio, una comunità di fronte a se stessa, il pubblico”.
Questo accade se avete la possibilità di assistere ad uno spettacolo della Compagnia della Ribalta che Fabio Cavalli ha già diretto avventurandosi con testi di Dante, Shakespeare, Giordano Bruno, Pirandello, Aristofane. Ora è la volta di un autore peruviano contemporaneo, Herbert Morote, con un’opera che parla di paura, speranza, riscatto, arte e bellezza, La guida dell’Ermitage, che fa sorridere, piangere e stupisce come di rado accade con un testo moderno.
Trama:
Prima che i tedeschi potessero mai completare l’assedio a Leningrado, il governo sovietico era riuscito a trasferire negli Urali tutte le opere del Museo Ermitage, per evitare che venissero depredate. Una guida del museo, però, decide di continuare le visite alle sale, spiegando i quadri non più appesi alle pareti, e lo fa con tale bravura e passione che i visitatori finiscono per vederli, apprezzarli e commentarli… Non è importante se ciò che si ama sia visibile o meno. ‘L’importante è sentirlo…’
Traduzione Francesca Cornelio
con Giovanni Arcuri, Vittorio Parrella
e con Daniela Marazita
musiche Franco Moretti
clarinetto Daniele Veroli
violoncello Tommaso Venanzi
violino Giorgia Martinez
Cristina Capodaglio
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