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Spirito di Vendetta - Capitolo 9

Da Sofiastella84 @Sw3etValent1na
Spirito di Vendetta - Capitolo 9
Miharu lasciò le valigie nell’atrio e fece un giro dell’abitazione. L’ingresso immetteva nel salotto, un’ampia sala con grandi finestre schermate da veneziane. La porta della cucina si apriva sul lato ovest della sala, mentre sul lato est una scala saliva al primo piano, dove si trovavano il bagno, la camera da letto e uno studio. L’arredamento era sobrio e funzionale ma denotava un certo gusto.
Miharu avvertì un tremito alle mani — lo assalirono nausea, vertigini, dolori diffusi e febbre.
Si trascinò in camera e si lasciò crollare sul letto. Artigliando la coperta, il respiro corto e affaticato, piombò in un sonno agitato.
Un raggio di sole lo colpì sul volto. Aprì gli occhi e si ritrovò a giacere, supino, su un tappeto di erba tenera. Un leggero profumo di erba e rose aleggiava nell’aria e il tepore del sole lo riscaldava. Si tirò in piedi e si guardò intorno. Era su una collina con una grande quercia al centro e cespugli di rose tutt’intorno.
Udì una risata infantile. Aggirò l’ampio tronco dell’albero. Una bambina si dondolava su un’altalena di corda fissata a un ramo basso, ridendo divertita. Miharu le si avvicinò.
La bambina sorrise, si diede lo slancio e atterrò a piedi pari di fronte a lui. Indossava un semplice abito bianco di mussola di cotone e un cappello di paglia decorato con un girasole.
“Siediti. Siediti accanto a me.”
Miharu sedette sull’erba, vicino alla bambina, che gli prese le mani. Lui abbassò lo sguardo su quelle mani e immediatamente lo rialzò. Si ritrovò a guardare in volto una ragazza che gli somigliava come una goccia d’acqua.
“Hanabi.”
“Miharu, vuoi davvero portare a compimento questa missione?”
L’espressione di Miharu si fece addolorata.
“Hanabi, tu non sei reale.”
“Non fare nulla di cui poi potresti pentirti, Miharu.”

Miharu aprì gli occhi e si ritrovò, sudato e ansimante, a fissare il soffitto di una stanza che non gli era familiare. Si rigirò nel letto e costrinse il proprio corpo a raddrizzarsi. Reggendosi alla parete scese al piano di sotto, recuperò le valigie, che aveva lasciato nell’atrio, e aprì il bagaglio a mano, nel quale rovistò alla ricerca delle medicine. Aprì tutti i flaconi che Takatsuki gli aveva fornito per il viaggio e prese due pastiglie da ognuno. Si trascinò in cucina e aprì una bottiglia d'acqua con mani tremanti. Mandò giù le medicine e si afflosciò su una sedia, crollando con la testa sul tavolo.
Attese che il malessere passasse prima di trascinarsi di nuovo a letto.
Suonò la sveglia. Hikari allungò pigramente un braccio fuori dalle coperte e la spense. Si rigirò nel letto, tirandosi la coperta sulla testa e abbracciando il peluche, chiuse gli occhi e si riaddormentò, ma di un sonno abbastanza leggero da udire i rumori della casa che si risvegliava e la voce della madre che la chiamava dalla cucina.
“Hikari! Hikari, la colazione è pronta! Scendi!”
Hikari mugugnò una frase di protesta, ma si costrinse ad alzarsi da letto. Non fece neanche in tempo a raggiungere la finestra, per sollevare la veneziana, che udì la porta della propria camera aprirsi e sbattere con un tonfo contro la parete adiacente.
“Hikari! Dì, ce l’hai una gonna da prestarmi?” esclamò sua cugina Chihiro, entrando in camera come una furia.
Hikari si era completamente dimenticata che sua zia e il marito erano partiti per un viaggio di lavoro, parcheggiando i cugini a casa sua.
“No che non l’ho una gonna, Chihiro” replicò irritata, “A me piace portare i pantaloni.”
“Ah, già. Dimenticavo che sei un maschiaccio.”
“Senti chi parla, l’oca giuliva!”
Lo sapeva, di essere considerata un maschiaccio dalle altre ragazze, con i suoi capelli corti, il viso acqua e sapone e i modi schietti, persino bruschi, ma sentirselo sbattere in faccia dalla cugina e in quel modo del tutto gratuito, era comunque fastidioso. Chihiro divenne paonazza e uscì di corsa dalla stanza, per andare a chiudersi in camera sua.
“Hikari, sei un mostro!” gridò, prima di sbattere l’uscio e bloccare la serratura.
“È mattino presto e già litigate?” chiese divertito Mamoru. “Di questo passo stasera vi sbranerete!” Scrollò le spalle e lanciò a Hikari uno sguardo eloquente.
“Io ne approfitterei per impadronirti del bagno, se fossi in te.”
“Buona idea.”
“No!” esclamò Chihiro, lanciandosi fuori dalla stanza. “No! Dai...devo truccarmi...farò tardi a scuola!”
“E se ci andassi struccata, a scuola?” replicò Hikari, dall’interno del bagno.
“No! Sono orribile! Dai...ritiro tutto!”
“Niente da fare!”
Mamoru rise.
“Sembra proprio che dovrai attendere il tuo turno, sorellina!”
Chihiro gli scoccò un’occhiataccia.
“Cretino!” sibilò e si chiuse di nuovo in camera sua.
Quando Hikari scese in cucina, la madre era ai fornelli e il padre e Mamoru seduti al tavolo, che commentavano i fatti del giorno sul Genesis Tribune.
Hikari prese posto al tavolo e iniziò a consumare la propria colazione.
Scese anche Chihiro, che indossava un allucinante completino succinto e un trucco pesante.
La scuola che frequentava Chihiro non prevedeva l’uso di uniforme, essendo una scuola americana, ma Hikari pensò che sarebbe stato meglio per la cugina se fosse stata una scuola giapponese di quelle con regole severe e rigorose in fatto di abbigliamento.
Mamoru scoppiò a ridere.
“Accidenti, Chi-chan! Ma dove li hai presi quei vestiti, nel guardaroba dell’asilo?”
Chihiro si imbronciò.
“No, idiota!” replicò, acida. “E’ un completo alla moda!”
Il padre di Hikari alzò gli occhi dall’holoPad.
“Vatti a cambiare, Chihiro e togliti il trucco. Sei oscena.”
“Ma…zio!”
“Niente ma!”
“Siete tutti dei deficienti!” ringhiò furente Chihiro, correndo su per le scale. “Vi odio!”
Hikari aveva finito la sua colazione e si alzò.
“Non aspettatemi per cena. Rientro tardi. Ho gli allenamenti di kendo.”
Miharu aveva finito per svegliarsi tardi. Quando aveva guardato l’orologio, erano già le nove.
Non sarebbe mai arrivato in tempo per le lezioni al college, ma alle undici aveva appuntamento con Yamazaki per incontrare il suo contatto nell’OSF.
Si sentiva ancora indisposto e febbricitante dalla crisi che lo aveva sorpreso nella notte, ma si costrinse ugualmente ad alzarsi da letto, farsi una doccia e indossare degli abiti puliti.
Consumò una colazione leggera e uscì di casa.
Hikari non era una persona paziente e più di ogni altra cosa, odiava aspettare.
“Ma quanto ci mette ad arrivare?!”
“Siediti e datti una calmata!” la rimproverò Yamazaki. “Quest’area non gli è familiare. Si sarà perso.”
“Ma dai!” replicò Hikari, lasciandosi cadere sulla sedia. “Una spia con un pessimo senso dell’orientamento?!”
Miharu entrò nella caffetteria e si guardò intorno.
“Eccolo” disse Yamazaki, sollevando una mano per fargli cenno di raggiungerli al tavolo.
“Scusate. Ho dimenticato di puntare la sveglia, ieri sera e mi sono svegliato tardi.”
Mentre parlava, si piegò sulle ginocchia, lottando per respirare.
Yamazaki non poté fare a meno di notare il suo aspetto pallido e malaticcio.
“Qualche problema?”
“Solo…gli effetti del jet-lag.”
Una cameriera si avvicinò per prendere gli ordini. Miharu ordinò un tè caldo al limone.
Yamazaki attese che la cameriera tornasse con l’ordine e si allontanasse per occuparsi degli altri clienti.
“Miharu Kojima, lei è Hikari Yamato, il nostro infiltrato nell’OSF.”
Miharu tese una mano.
“Piacere. Miharu Kojima. Chiamami pure Miharu. Spero che lavoreremo bene, insieme.”
Mentre attraversavano la città in metropolitana, Miharu si appoggiò con la testa al finestrino. Gli era salita di nuovo la febbre e si sentiva debole e stanco. Complici il jet-lag e le medicine, si assopì.
“Hai preso la tua decisione.”
“Non ho alternative.”
“Sai che non è vero.”
“Le vite di un miliardo di sconosciuti non valgono nulla, in confronto a quella dell’unica persona che conta veramente per me.”
“È una bugia! Una bugia che sei costretto a raccontarti per evitare al tuo cuore di spezzarsi.”
“Può darsi.”
Miharu abbassò lo sguardo sulle proprie mani, abbandonate in grembo.
“Stai piangendo, dentro.”
Miharu le prese una mano e l’appoggiò sul suo cuore.
“Riesci a sentire il battito del mio cuore? È un battito malato, debole. Sto morendo, Hanabi.”
“Intendi lasciare che il tuo cuore si spezzi e smetta di battere?”
“Lasciami andare, Hanabi. Yamato-senpai mi sta chiamando.”

“Miharu-kun? Miharu-kun! Svegliati! Siamo arrivati!”

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