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Splinder: Closing Time.

Creato il 25 novembre 2011 da Blogdispiccioli @blogdispiccioli
Splinder: Closing Time. Splinder, il vecchio bar, stava per chiudere definitivamente. L'insegna era stata rinnovata inutilmente da poco. Distrattamente aveva fatto caso ai nuovi colori, mentre passava di lì. Un'occhiata dalla vetrina, magari qualche faccia conosciuta sarebbe apparsa con una birra in mano. Niente. Ormai da tempo aveva smesso di essere un habitué. Quando aveva saputo che la baracca avrebbe abbassato la saracinesca per sempre, iniziò a contare gli anni. Sulla punta delle dita, come suo solito. Il secondo, inevitabile pensiero, lo avrebbe costretto ad entrare per fare gli ultimi saluti. Aveva degli spartiti abbandonati lì da chissà quanto. Era certo che nessuno li avesse toccati, incastrati tra il pianoforte e l'armadietto dei liquori imbevibili.  Raccolse una scatola di cartone abbandonata fuori da un cassonetto: nei suoi film preferiti era così che venivano riposti i ricordi, prima di un addio. I muri erano rimasti uguali, non sarebbe bastato rinfrescarli con una mano di vernice. Avevano uno strato di memoria incrostata, ostinata. Le cornici avevano fatto un patto con la polvere, barattando la pulizia con il fascino. Un saluto al proprietario, impegnato con mille scartoffie, e pochi passi tra i tavoli, verso il pianoforte. Avevano smesso di suonarlo, accordarlo costava troppo. Era un posto comodo per appoggiare i bicchieri. Alcuni venerdì sera era quasi impossibile accorgersi della sua presenza.
Proprio come pensava: gli spartiti erano al loro posto. Ingialliti e un pò strappati, ma ancora leggibili. Non voleva soffermarsi a rileggere le note, ma fu quasi costretto, catturato dallo scorrere dei pentagrammi e dal rimbalzare di quei puntini. Era lui, riconosceva quei passaggi nelle melodie. Su qualche foglio saltavano fuori anche dei disegni, su alcuni c'erano delle frasi stupide e diverse dediche lasciate di sfuggita. Passandosi la mano sulla fronte cercava di far riemergere ogni volto, collocandolo nell'alone scuro che le cornici staccate lasciano sui muri. Rettangoli salvati dalla luce, condannati a coprire le spalle di qualche fotografia. Il tempo, smentendo l'orologio che sovrastava la macchina del caffè, veniva scandito dal lento frusciare dei fogli che riponeva nello scatolone. Gli occhi fotografavano la musica che vi era rimasta impressa, accompagnandoli nella silenziosa caduta. Il riflesso delle luci al neon delle pubblicità della birra spezzava la tristezza degli spigoli scheggiati del pianoforte: il suo pacifico dinosauro addormentato.
Un pensiero tornò più volte a fargli pizzicare il mento. Avrebbe trovato i disegni? Quei disegni che lei aveva fatto, e che una volta tappezzavano ogni angolo del bar. Doveva pur esserne rimasto uno, chissà, anche solo uno scarabocchio su un tovagliolo. Gli disse che si era sbarazzata di tutto, e le sue decisioni raramente lasciavano un margine di ripensamento. Le poche cose salvate, custodite nei suoi cassetti, erano e sarebbero rimaste preziosissime. Nonostante non sapesse più dove fosse lei, o chi. A quel punto non gli interessava più.  Dalla porta entrava, ad intervalli quasi regolari, un pò di vento freddo. C'erano ancora delle persone che tornavano al bar per riprendere qualcosa. Non conosceva nessuno,  ma capiva lo stato d'animo di ognuno. Cercò di sbrigarsi per non rischiare di dover condividere l'intimità di quell'ora lunghissima con qualche sconosciuto, magari in cambio delle impressioni sul clima terribilmente rigido. Salutò, si guardò per l'ultima volta attorno, e uscì con la sua scatola. Finalmente era pronto a liberarsi di tutto il superfluo. L'idea di trovare qualche canzone banale, o frettolosamente costruita, gli procurava un vero fastidio. Solo qualche ritaglio, e poi avrebbe gettato tutto il resto. D'altronde anche lei aveva fatto così. Glielo avrebbe rimproverato di nuovo, se solo l'avesse incontrata in quel momento. Erano stati proprio i suoi disegni ad accendere la creatività di anni che sembravano destinati a morire senza luce. Per lei aveva migliorato la tecnica, aveva imparato e scoperto così tanto! Sperava di trovare tutto quello che aveva da dire e spremerlo in una sola ed unica canzone. Non ne era mai stato capace, eppure ci aveva provato. Doveva essere una dedica esatta. Quante volte ci aveva provato! Ne parlavano spesso, lì, allo Splinder Bar. Lo aveva convinto a suonare tra il fumo di sigarette e le stelle di plastica che accendevano il bancone di un'allegra malinconia. Le note correvano su scale a chiocciola, avvolgendosi in infinite combinazioni e mescolandosi alle tinte dei suoi pennelli. Ricominciò a contare gli anni sulla punta delle dita.
Era quello l'epilogo giusto? Le luci che tornano ad accendersi nella sala di un cinema ci colgono sempre impreparati. Un camion parcheggiò davanti al bar: erano venuti a ritirare il pianoforte. Sarebbe stato bello sapere che fine avrebbe fatto. Non aveva pensato alla possibilità di acquistarlo lui stesso, il proprietario del bar gli avrebbe fatto un ottimo prezzo. Meglio di no. Senza altri perché. C'era solo un' ultima cosa che poteva fare. Dopo aver appoggiato la scatolone per terra, tra le bottiglie di vetro, avanzò rapidamente verso i ragazzi che stavano portando fuori lo strumento. Con un gesto automatico e disinvolto sollevò l'anta superiore del pianoforte e vi infilò la mano. Una rapida frugata e sentì di aver trovato qualcosa. Con la stessa velocità ritirò la mano, diede una pacca al legno scrostato e ringraziò. Gli ci volle una sigaretta e un bel pò di aria fredda per calmare l'eccitazione. Era un foglio piegato in quattro parti, un disegno.
C'era la neve: un uomo in smoking suonava nel salone di un albergo e guardava fuori dalla finestra. Il cielo l'aveva disegnato lui, riempiendolo con le note che facevano da sottofondo a quell'immagine. Gli sembrò una trovata divertente, lei lo adorò per questo. Lo scatolone era ancora lì. Sembrò quasi non volesse fare un torto a quei pentagrammi, e li immaginò invidiosi e preoccupati in quello spazio angusto. Non gettò nulla, tutto era tornato ad essere indispensabile e prezioso, una sensazione che non provava da tempo. Fece spazio sul sedile posteriore e poggiò la scatola. Accese il motore e abbassò il finestrino per lasciare che l'aria gelida gli pungesse gli occhi. Salutò di sfuggita un amico che attraversava la strada. Le strade, umide e nere, si lasciavano sporcare dalle foglie già cadute. Dalle finestre accese si poteva sentire il calore della quotidianità, e l'abitudine della città non sembrava spaventarlo.
Mancava solo un mese a Natale.
(Il dipinto del post è di Ann Nooney: Closing Time.)
Alessio MacFlynn

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