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Roma, 20 Ottobre 2012
E intanto mi ero avvicinata alla fermata Metro. La colorata mandria della manifestazione CGIL sulla via del ritorno con lo sfondo del Colosseo, era uno spettacolo.
Mi ci sono infilata in mezzo. E ho fatto male. Sarei potuta restarmene un altro po’ a sognare, per quanto fosse possibile, che stesse sfilando la rabbia ultima, quell’alzata di testa che tanto servirebbe per restituire il giusto valore alle cose e, magari, un po’ di giustizia. Macché. La gente avanzava dimessa, e che tristezza sentire alcuni mugolare a mezza bocca Bella Ciao, la prima canzone che ho cantato su un pullman scolastico, quando andavo alla mia “scuola comunista”, entusiasta, gridandola senza capirla, da bambina insieme ad altri bambini. Erano i vecchietti, soprattutto loro, quelli che incitavano gli altri, quelli che alzavano i cori, ma scomposti e distratti, come fosse un’abitudine. Intrecciando i piedi dei turisti, che li guardavano basiti, con rassegnazione. Mi è dispiaciuto tanto, oggi è stato un giorno di dispiacimenti. E di pensieri fatti con la mente rivolta al passato. Infatti, mi sono tornate in mente frasi lette ieri in treno, durante il viaggio di ritorno:
La rivoluzione impossibile*
Marx appartiene alla tradizione giudaico-cristiana che ha del tempo una concezione escatologica dove alla fine (éschaton) si realizza quello che all’inizio era stato annunciato. La triade religiosa – colpa, redenzione, salvezza – ritrova la sua formulazione nell’omologa prospettiva dove il passato appare come male, la rivoluzione (al pari della redenzione) come riscatto, il futuro come progresso, che è poi la forma laicizzata della redenzione.
Come la redenzione, anche la rivoluzione prevede il rovesciamento del dominio del male in quello del bene, da questo tempo a un altro tempo. Al pari del popolo d’Israele, la classe operaia, scrive Marx, “ha fame e sete di giustizia”. E, come Isaia, attende “nuovi cieli e nuove terre”, così, la rivoluzione attende un futuro di giustizia. Forse per questo, come con le religioni, anche con le rivoluzioni si sono istituiti nuovi calendari per una nuova misurazione del tempo.
Se ora vogliamo toccare alcuni punti nodali del Capitale vediamo che Marx individua l’alienazione della condizione umana nel fatto che, al rapporto organico dell’uomo con la natura, il capitalismo ha sostituito il rapporto organico dell’uomo con il mercato. Ciò ha determinato una sorta di capovolgimento dei mezzi con i fini, per cui non più il “bisogno” come fine dell’attività lavorativa, ma il “prodotto” e il suo valore di scambio in vista della sempre maggiore acquisizione di denaro, da mezzo per produrre beni e soddisfare bisogni, diventa il fine, in vista del quale si producono beni e, solo se la cosa concorre a questo scopo, si soddisfano i bisogni.
Il risultato più evidente di questo capovolgimento è la reificazione dell’uomo dovuta al fatto che la cosa (res) vale in sé stessa e non in quanto mezzo per la soddisfazione di un bisogno umano. In questo modo la logica del mercato dischiude quello scenario che prevede il dominio della cosa sull’uomo, del prodotto sul produttore, perché, in un processo di totale reificazione, è la cosa a definire l’uomo, che così risulta oggettivato e definito dal genere della sua attività, la quale, a sua volta, non è più ricambio organico con la natura, ma pura produzione di merci, che non solo conducono vita autonoma rispetto ai bisogni umani, ma deifiniscono, attraverso la loro circolazione, il senso dell’attività umana e il valore delle cose.
E non si dica che, rispetto al tempo di Marx, le cose sono cambiate, se è vero, come tutti possiamo constatare, che, a livello di circolazione mondiale, le merci conoscono una libertà di movimento ancora sconosciuta a miliardi di uomini. In questo processo di totale mercificazione del lavoro, la specializzazione accelerata imposta dal mercato porta alla frammentazione dei processi lavorativi, alla loro parcellizzazione e quindi al loro inserimento nel sistema di divisione del lavoro, con un obnubilamento delle finalità ultime della produzione e l’esonero di responsabilità dei singoli lavoratori, a cui non può che risultare del tutto indifferente prestare la loro opera in una fabbrica di armi o in una produzione di generi alimentari. Le diverse finalità del loro lavoro non hanno più alcuna rilevanza.
La rivoluzione, possibile ai tempi di Marx, oggi non è più possibile, perché, se è vero come ci insegna Hegel che la rivoluzione è il conflitto tra due “volontà”, quella del servo e quella del signore, oggi sia il servo sia il signore si trovano non più su due fronti contrapposti, ma dalla stessa parte contro l’ineluttabilità di quella forma astratta, anonima e regolatrice di tutti gli scambi che si chiama mercato. Un Nessuno che regola la vita di tutti, anche se Omero ci ha avvertiti che “Nessuno” è pur sempre il nome di “qualcuno”.
Ma questo qualcuno non è di immediata evidenza.
La folla era davvero troppa perché potessi raggiungere la banchina, ho optato per un cambio con il bus. E quando sono scesa, ecco gli immancabili stormi. Ah, vedessi, gli stormi, come sono belli qui in città. Io li chiamo spesso, con irritazione, gli uccelli cacatori, visto quello che combinano mentre se la svolazzano impuniti, senza mostrare alcun rispetto per il mondo sottostante. Eppure la loro comparsa ha in sé qualcosa di struggente. È una di quelle visioni che ti bloccano col naso in su in ammirazione (sempre se non hai la macchina parcheggiata nei paraggi).
Era tutto molto bello qui, oggi. Davvero, molto, molto bello. Ma anche inutile.
*) Umberto Galimberti – il segreto della domanda, intorno alle cose umane e divine. Ed. Feltrinelli2011