di Rina Brundu. C’era un noce e raccoglievamo castagne. Erano di quei terreni comunali diventati, nel tempo, proprietà delle famiglie villanovesi e facevano la barba al villaggio adagiato sulla collina. Durante i primi anni di quella mia infanzia meravigliosa, venivano per lo più destinati alla coltivazione di patate, fagioli, zucchine e i raccolti erano spesso abbondanti. Ho ancora nel ricordo il momento in cui anch’io potei “dare una mano”; con una piccola zappa riuscivo a scavare il terreno docile che subito liberava grappoli di patate di ogni forma e dimensione, sporcate di terra ma a loro modo bellissime. E c’erano voci, risate, trilli d’uccelli tutt’attorno e il mormorìo del ruscello che scorreva ebbro di acqua pulita e lucente sotto il ponticello protetto dall’ombra di un grande noce.
La sera i sacchi di patate venivano caricati sul carro dello zio sul quale salivamo anche noi, allegri e festosi con le facce illuminate da gocce giallastre di sole al tramonto. Col finire dell’estate quegli orti, situati su entrambi i lati del grande stradone catramato che divideva in due il villaggio, si spegnevano lentamente. Le gramigne invadevano i solchi arati con tanta cura e fatica in primavera e la terra si addormentava pigra in attesa dell’autunno inoltrato e del lungo inverno. A metà novembre però, prima di lasciarsi andare completamente al meritato riposo, quei terreni ci regalavano un ultimo dono in forma di ricchi ricci verdastri che cadevano dai rami di due castagni frondosi mentre ancora intenti a proteggere i loro frutti prelibati. Raccogliere castagne era divertente quasi quanto cucinarle nelle lunghe serate invernali, quando fuori nevicava e la nonna, seduta ad un lato del focolare, filava la lana e ci raccontava le sue storie incredibili.
Che le storie della nonna avevano ritmi propri e implicavano una morale importante. Ricordavano un mondo povero di cose ma ricco di una dignità e di un orgoglio atavico e gigante. Un mondo edenico per elezione, dove la natura era madre benigna che faceva punto di ripagare la fatica ed ogni onesta goccia di sudore. Un mondo che io ho testimoniato al “tramonto”, così come al “tramonto” erano quei vecchi che lo avevano fatto vivere, lo avevano abitato, ammobiliato e in dato modo reso grande.
Nel 2004, durante la grande alluvione che colpì i territori del comune di Villagrande Strisaili, quell’universo mitico fu profanato in maniera grave. Una ferita dolorosa per le vittime che procurò e per la faciloneria con cui cancellò dalla faccia della terra parte della nostra storia. Fu così che se ne andò quel ponticello romantico dove scorreva il ruscello dall’acqua fredda e lucente, fu così che se ne andò l’orto protetto dall’ombra benigna del grande noce e, sull’altro lato della strada, i terreni dove raccoglievamo castagne. Ancora oggi, in barba ai finanziamenti pubblici elargiti per risanare la terra (ci sono stati? Se sì, mi chiedo che fine hanno fatto), la terra mostra la sua ferita aperta, il suo scheletro pietroso privato della sua carne e della sua pelle, del suo sangue asciugato da raggi di sole oramai indifferenti. Ancora oggi la primavera è diventata tutt’uno con l’inverno negli orti dove raccoglievamo le castagne e nell’aria triste di suo gli sparuti trilli degli uccelli imbrogliano per pietà il malinconico silenzio che li avvolge. Solenne.
Nota: dedicato alle vittime della recente alluvione in Sardegna; un’altra alluvione – questa – procurata non da una natura matrigna ma da una incapacità amministrativa e gestionale che è da tempo malattia conclamata nella mia isola natale. Causa un viaggio di lavoro non sono riuscita a trattare questo argomento prima sul sito ma ringrazio tutti coloro che mi hanno inviato delle email di vicinanza in questi giorni. Come sapete io abito in Irlanda, ad un tempo sono nata in Ogliastra, una zona che è stata fondamentalmente risparmiata in questa occasione. Rivolgiamo perciò ogni nostro pensiero alle popolazioni del centro-nord della Sardegna colpite da Cleopatra, sperando che questa sia l’ultima volta che qualcuno debba morire causa la nostra incapacità di fare. E di fare bene, soprattutto.
Featured image, un’immagine della vigna del nonno, a metà strada tra la marina di Tortolì e il comune di Villagrande. Anche questa vigna, un tempo florida, ricca di filari bellissimi è ora un altro dei tanti terreni sardi abbandonati al loro triste destino.
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