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Spoon River d’Ogliastra 16: la Domenica delle Palme

Creato il 13 aprile 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
imagesdi Rina Brundu. La Domenica delle Palme? L’informazione, filtrata attraverso il continuato eloquio di una televisione sempre accesa che ormai non si ascolta più, mi ha colpito strano. Come quei rumori, quegli odori che senti per caso e che, come preservati dal sistema limbico, hanno la capacità di riportarti indietro nel tempo all’improvviso. Di riportare alla memoria momenti finiti, paesaggi e contesti dimenticati, volti e azioni di persone care, di spiriti andati.

A pensarci bene la Domenica delle Palme era giornata importante in Sardegna. Forse più importante della domenica di Pasqua. Ricordo che nei primi anni della mia infanzia, i fedeli usavano portare palme giallissime e intrecciate in chiesa. Anche nel mio paese. Nulla di strano se non fosse che Villanova era villaggio di montagna e le palme colà non vi crescevano. Non vi sono mai cresciute. Una tradizione copiata forse dalle zone di marina e portata fino a quel piccolo mondo sperduto tra Nuoro e Lanusei per essere in qualche modo a “sa moda”. Immagino.

Che poi don Vinante non era sacerdote da mettere molta attenzione alle esteriorità. Quella domenica lo riguardava in maniera “importante” ma per altre motivazioni. Se non ricordo male (e nonostante la ricorrenza da celebrarsi fosse altra), era proprio in quel giorno che leggeva le parti del Vangelo che narravano della flagellazione del Cristo e dell’attimo epocale in cui lui colui spirò, un istante che il nostro prete viveva così intensamente da scoppiare in un pianto accorato, angosciato, afflitto. È questo uno dei momenti della mia bellissima infanzia in Sardegna che sono rimasti più impressi nella memoria: le lacrime di don Vinante il giorno della Domenica delle Palme. Lacrime piene, sentite, importanti, che colavano sul suo volto bianco come fiume in piena, sgorganti da quell’indecifrabile punto del suo cuore che non aveva saputo arginare più il dolore, come un’impensabile breccia nella diga che a pochi chilometri di distanza sbarrava le acque del lago Flumendosa.

Bisogna sapere infatti che don Vinante, da robusto uomo trentino, era un personaggio che non piangeva mai convinto com’era che qualunque cosa capitasse e dovunque egli fosse “là c’era Dio”. Non piangeva davanti ad un sofferente, che pur non mancava di visitare, non piangeva davanti ad un moribondo, non piangeva davanti ad una qualsiasi disgrazia: viveva ogni accadimento del suo e del nostro presente relativizzato dalla sua significazione in quell’altro mondo di cui solamente lui pareva sapere con tanta certezza e sicumera e verso il quale anelava come nessun altro essere che io abbia mai incontrato.

Ritengo che tra i tanti orpelli di cui il cerimoniale cattolico necessita per rendere più tangibile ogni momento divinamente ispirato, quelle palme bellissime (insieme al presepio natalizio e alle bandiere il giorno della festa di San Basilio), fossero a lui gradite. Testimonianza degna e visibile di quell’altra “testimonianza” per lui decisamente più importante. Ho motivo di pensare che la tradizione di portare le palme in chiesa sia scomparsa da noi già molto tempo prima che don Vinante lasciasse il villaggio e se è stata reintrodotta successivamente non sarebbe comunque così importante, non come lo era allora. Almeno per me.

Da quel tempo in poi non ho più visto “palme”, frequentato messe o incontrato sacerdoti che piangevano addolorati per la morte del Cristo. La notte in cui don Vinante morì sognai un sole enorme tramontare dietro la curva accarezzata di una dolce montagna e nell’aria si udiva musica di violini. Da quell’astro gigante dipartivano infiniti raggi di luce rossiccia la cui traiettoria sembrava mirata, pensata a bella posta per raggiungere il cuore di altrettanti esseri, incluso il mio. E quando quel sole sparì l’atmosfera si fece decisamente più cupa. Mi sono interrogata spesso sul significato di quel sogno e mi sono chiesta quanto la mia ammirazione per quel sacerdote spilungone e incredibilmente dinamico abbia aiutato la coscienza a modellare un tale potentissimo ritratto onirico.

Ma a pensarci bene questo non è troppo importante, oggi che neppure quei ricordi mi paiono troppo importanti. Sono fatti, momenti, di un tempo che non c’é più e che dentro una dimensione digitale si esaltano o si annullano a seconda del “mood”. Il mood dell’istante che è tutto ciò che ci rimane, insieme a ombre giallissime di bellissime palme intrecciate.

Feature image, palme intrecciate dalla Rete (sito amsicora.net, grazie all’autore qualora passasse di qui).


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