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Spoon River d’Ogliastra 20 – Funerali nel villaggio

Creato il 30 novembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
foto villanova 1970di Rina Brundu. Di tanto in tanto quelli del villaggio si rompono le balle e decidono di andarsene prima della grande chiamata, altri muoiono in silenzio, per lo più dimenticati. Nel villaggio, quando ero piccola io, ci conoscevamo tutti. Se poi le cose della vita ti hanno portato via da quelle contrade, accade che conservi memoria solo degli abitanti di allora, solo de “is mannos”. Ma accade anche che le loro vite ti restino scolpite dentro, e le segui mentre si spengono una ad una come stelle implose in un universo destinato a collassare.

Quando i funerali si susseguono l’uno dopo l’altro ti fermi a pensare. Ti ricordi di Tizio che ha passato una vita a spaccare legna nelle foreste d’intorno e con quella si è spaccato pure la schiena. In cambio ha avuto una esistenza dignitosa, una casa grande con cucina, soggiorno, salotto, infinite altre stanze, e cucinotto rustico da utilizzarsi d’estate e d’inverno per non “sporcare”, come impongono le feroci massaie di queste vallate. D’altro ha avuto ben poco: qualche amore infelice dimenticato presto e pochi pensieri “grandi”.

Ti ricordi di Caio che non ha mai conosciuto orizzonte diverso dalla linea dolce del Gennargentu e dalla sua ombra perenne, mentre Sempronio non ha potuto vantare destino migliore del suo. Così ti viene pure da chiederti perché hai dovuto testimoniare tutto questo? Cosa ti hanno insegnato quelle vite “esemplari”? Poco o niente, mi è venuto da pensare. O forse molto, moltissimo. Mi hanno insegnato che dati spiriti si conoscono a tendono a sperimentare insieme. Mi hanno insegnato che non importa a quale latitudine si trovino, in campagna o in città, nella city o in villaggio sperduto, i nostri spiriti vivono di irrequietezza, di sogni impossibili, traguardi iraggiungibili e anelano libertà. Mi hanno insegnato che a ben guardare l’avventura della vita è percorso sopravvalutato da alcuni per convincere i più che hanno imparato altrimenti.

Mi hanno insegnato che davanti alla “sofferta esperienza del vivere” ai piedi della Grande Montagna anche l’aspetto didattico è tutto sommato meno importante, forse perché io rispetto più i calli sulle mani dei Tizio, dei Caio, dei Sempronio invisibili che da millenni hanno faticato, lottato, sputato sangue tra i dirupi del Gennargentu che tutti i figli di papà cool & trendy messi insieme che pure ho avuto la “fortuna” di incontrare. Ora et in secula seculorum.


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