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Sporcarsi le mani

Creato il 17 marzo 2013 da Povna @povna

Le mani sono la parte del corpo che maggiormente si sporca, sempre. Si sporcano le mani impilando mattoni col cemento, o coltivando il campo. Si sporcano le mani cucinando, magari meravigliosi manicaretti; oppure usandole abilmente sui corpi malati dell’uomo e della donna. Si sporcano le mani a scuola, è tutto inchiostro e gesso. Le mani, anche, si sporcano nel gioco. Sporcarsi le mani è, dunque, inevitabile; sporcarsi le mani è bello. Sporcarsi le mani è pure sano.
Non a caso, la spinta a lavarsi le mani continuamente, senza sosta, fa parte dei disturbi ossessivo-compulsivi. Così come a tutti è capitato di guardare con compassionevole tristezza quei figli affetti da genitori troppo protettivi in questo ambito: “hai toccato i giochi degli altri, non metterti le dita in bocca”, “ecco il fazzolettino all’amuchina, pulisciti”, “lavati le mani!”.
La ‘povna – che ha avuto la fortuna, e il privilegio, di vivere un’infanzia un po’ selvaggia (passata a scorrazzare nel pollaio e per i campi, su e giù col trattore per le vigne, o a mangiare, ancora così, sporchi di terra – ché una passata sul vestito tanto basta – i pomodori dell’orto) – proprio per questo non ha mai amato la metafora dello “sporcarsi le mani” accusatorio, applicata alla politica. Perché sa che la politica è appunto mediazione (il più possibile alta), e dunque non può essere interpretata, mai, come culto alla purezza; ma, viceversa, come capacità di sporcarsi le mani fino ai gomiti, cercando però di trarre, da tutto questo, un nuovo manufatto (un ortaggio, una casa, una riuscita operazione chirurgica, un dolce, un castello di sabbia). Così come sa anche, e con chiarezza (del resto, lo ricorda, nella figura di Pilato, quel grande repertorio di miti che è la Bibbia), che “lavarsi le mani” significa coltivare un malinteso senso di purezza, perché la pulizia può (forse) lavare nella percezione individuale la coscienza. Ma diventa, nei fatti, una patente per le azioni degli altri, un’autorizzazione preventiva a lasciar fare.
E’ una lezione su cui dovranno meditare, e molto, i deputati e i senatori del Movimento Cinque Stelle e Scelta civica, che hanno deciso, nella giornata di sabato scorso, in occasione dell’elezione dei Presidenti delle Camere, di non prendere parte – interpretando il Parlamento, tutto, come camera iperbarica, di sterilizzazione spinta. E’ una lezione su cui dovranno meditare i loro elettori e militanti (e la ‘povna si riferisce qui a quelli di Grillo, soprattutto) – che si sono riempiti la bocca, per settimane, di parole vuote come “pulizia”, oppure “tradimento”.
Ma è una lezione su cui – pensa la ‘povna – possiamo meditare tutti. E che ha portato anche a risultati, a loro modo, profondamente politici. Perché l’elezione di Grasso, al Senato, ha avuto il potere di scompattare il Movimento. Perché, di fronte a un necessario ballottaggio, alcuni senatori a Cinque Stelle hanno capito, e per la prima volta, che politica è sporcarsi le mani, appunto; e hanno scelto, rivendicandola, la libertà di mettersi le dita del naso senza chiedere l’autorizzazione preventiva a Beppe Grillo (ex articolo della Costituzione n. 67). Il risultato è che qualcuno è tornato a casa con la consapevolezza di avere rinunciato all’amuchina morale, per una volta – e che una scelta, per definizione, colora di colori la coscienza. A tutti gli altri, invece, gli alfieri delle schede bianche, resta la consapevolezza di avere continuato ad astenersi. Con ciò compiendo un’azione nuova e dirompente, e come tale mai vista, come votare uguale alla Binetti. E deve essere effettivamente con la certezza di avere dimostrato a tutto il paese il senso di una novità in diretta, che i senatori CinqueStelle hanno deciso di unire lietamente le loro schede bianche a quelle del partito di Casini.


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