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Sport Coaching on the Beach

Creato il 24 gennaio 2011 da Ekis Sport Coaching @Ekis_srl

Skateboard e Sport CoachingSkateboard e Sport CoachingSono solito parlare di Sport Coaching applicato al calcio, ma oggi farò un piccolo strappo alla regola. Il motivo è molto semplice: sono tornato lunedì scorso da un fantastico viaggio “on the road” nella mia amata California e mi è capitato di assistere ad una scena davvero molto significativa.

Ero a Venice Beach (una delle spiagge più famose di Los Angeles), c’era un bel sole e la temperatura era di 20 gradi circa. Camminando sul lungomare si incontrano personaggi molto bohemien, che fanno cose davvero strane e spettacolari… sembra di essere a teatro!

Venice è un tripudio di suoni, colori, bancarelle, mestieranti… c’è di tutto, ma proprio vicino alla riva del mare vedo alcuni ragazzi fare delle evoluzioni con lo Skateboard, decido di avvicinarmi e la scena è davvero molto simile a questa:

Ragazzi di tutte le età con i loro skate che fanno numeri da applausi. La mia attenzione va ad un ragazzo che avrà avuto più o meno 12 anni (le scuole erano ancora chiuse per le vacanze natalizie). Berretto da baseball storto, dal quale uscivano capelli biondissimi, camicia a scacchi aperta con sotto una larghissima maglietta della Burton (famosissima marca di Snowboard & Skateboard), jeans grigi a sigaretta e scarpe rigorosamente della Vans (altro famosissimo Street Brand).

Lui era l’unico che non girava in continuazione sui sali-scendi dello Skate Park, ma continuava a fare la stessa manovra: ricorsa, giù per una discesa, salto su una rampa e… bè, non riusciva mai a “chiudere il trick” (trad: fare la manovra in aria ed atterrare sullo skate). Atterrava sempre sui piedi o sulle ginocchia. Sono stato lì almeno 10 minuti ad osservarlo e lui imperterrito continuava a tentare, ma il risultato era sempre lo stesso.

Un paio di metri distante da me, c’era un signore sulla cinquantina, con una felpa dei Lakers che farfugliava qualcosa in inglese… e poco dopo chiama il ragazzo vicino a sé e gli dice qualcosa. Il ragazzo annuisce e torna a provare e riprovare… ma il risultato era sempre lo stesso. Dopo qualche altro minuto il signore richiama il ragazzo e gli parla, io decido di avvicinarmi. Aveva un inglese davvero troppo stretto per me, ma dopo un po’ capisco chiaramente un “Close your eyes”.

Ok, la cosa si iniziava a fare interessante: lì, praticamente in mezzo allo Skate Park, con tantissimi rumori di sottofondo, stava per fargli una visualizzazione… ratifico: la cosa si faceva MOLTO interessante!

Ammetto che capivo una parola su tre, un po’ per la distanza, ma soprattutto per lo slang e la velocità dell’eloquio, ma il concetto era chiarissimo: gli stava facendo visualizzare l’inizio e la fine del Trick e i vari “Again” erano un chiaro segnale che gli stava facendo ripetere la visualizzazione più e più volte nella mente. Ogni ripetizione durava circa una decina di secondi e i comandi erano molto semplici:

  1. Ready;
  2. Go;
  3. Faster;
  4. Jump;
  5. Land;
  6. Again!

Il ragazzo sembrava abituato a questo e la faceva lì in piedi, proprio a due passi da me.

Dopo circa 3 minuti di questa che era a tutti gli effetti una visualizzazione, il ragazzo prende lo Skate e ritorna sulla pista.

Io sono un amante delle storie a lieto fine e immaginavo già che ce l’avrebbe fatta al primo colpo, ma non andò proprio così: il primo tentativo fu molto simile a quelli precedenti, ma magri aveva solo bisogno di scaldarsi un po’… ci sta. Al secondo ce l’avrebbe fatta di sicuro!

Bè, non riuscì nemmeno al secondo e neanche al terzo. Ma qualcosa era cambiato: la traiettoria pre-salto era diversa e la spinta era maggiore, infatti il salto era decisamente più alto. Il fatto è che proprio non ce la faceva a chiudere quel trick.

Non c’è che dire, il ragazzo era motivato e perseverante, perché ad ogni caduta, si rialzava e tornava in posizione, senza batter ciglio. A volte però, la perseveranza non basta, perché come dice il saggio: “fare la stessa cosa pensando di ottenere un risultato diverso è sinonimo di pazzia”.

Ma è proprio qui che entra in gioco il Coach, che in questo caso è il signore con la felpa dei Lakers. Chiama a sé il ragazzo, gli fa notare che ha saltato più in alto e gli chiede cosa c’è che non va, il ragazzo un po’ scocciato gli fa capire non aveva chiari i passaggi che avrebbe dovuto compiere nella fase di volo. Credo sia un po’ come quando si impara a guidare: le prime volte si deve pensare a tutti i passaggi: molla la frizione, dai gas… troppo gas, metti la freccia, guarda lo specchietto, frizione, metti la seconda… no quella è la quarta… etc. Ma facendole e rifacendole diventano automatiche, inconsce… ripeto: FACENDOLE E RIFACENDOLE!

Il signore allora, porta il ragazzo sulla spiaggia (a fianco della pista), si siede con lui ed iniziano a disegnare sulla sabbia umida ogni singolo passaggio. Io ero ad una distanza di circa 5 metri e non sentivo le loro parole, ma vedevo chiaramente le scritte.

Sono rimasti lì seduti circa 5 minuti, non di più, dopodiché tornano verso la pista (per fortuna vicino a dove ero io), ma prima di ricominciare il signore fa sdraiare il ragazzo con la schiena sullo Skate e gli fa chiudere gli occhi.

La cosa continuava ad essere PARECCHIO interessante ;-).

Questa volta gli fa visualizzare tutti i vari passaggi, uno ad uno: partendo dal primo ripetendolo 4/5 volte, dopodiché 4/5 volte il secondo, ma anticipato sempre dal primo. Ora era la volta del terzo, ma preceduto dal primo e dal secondo e così via… sulla sabbia erano elencati 5 punti e così fecero.

L’ultimo esercizio che il signore fece fare al ragazzo fu fargli fare il percorso correndo, abbozzando ogni movimento (un po’ come fanno i ballerini in prova). lo ha fatto un paio di volte dopodiché ha preso lo Skate.

Ammetto che io ero davvero emozionato, mi sentivo un privilegiato: ero a Venice Beach, in una splendida giornata di sole e stavo assistendo ad una Street Sport Coaching… e davvero speravo in quel lieto fine di cui parlavo prima!

Bè, il momento era arrivato, cenno d’intesa con il Coach e via… ma il primo tentativo non riuscì. Il fatto è che era tutto molto cambiato: si intuiva la figura del trick che voleva fare. Al secondo tentativo atterrò con entrambi i piedi sulla tavola, ma non c’era l’equilibrio per rimanerci sopra… davvero per poco!

La sensazione che avevo era un po’ come quella che si ha quando una squadra ha in mano il pallino del gioco, l’inerzia della partita è dalla sua parte e prima o poi segna… è una di quelle regole non scritte, ma che funzionano sempre.

E infatti, il terzo tentativo fu quasi prefetto (ci fu una piccolissima sbavatura), il signore fece un “Yeeah” e il ragazzo abbozzò un sorriso sotto la visiera del suo cappello da baseball!

Ecco il mio lieto fine e bello gongolante (anche se non avevo fatto davvero niente se non stare a guardare) raggiunsi gli altri ragazzi del mio gruppo che si erano fermati a fare colazione.

Avevo vissuto una fantastica esperienza e il tutto in uno scenario davvero unico. Sinceramente non so se quel signore avesse mai sentito parare di Pnl (o più probabilmente NLP), visualizzazioni, coaching, etc. ma quel che conta è che ha fatto da Coach a quel ragazzo… aiutandolo non tanto tecnicamente, ma a vedere prima il “film completo” e in seguito i “singoli fotogrammi”. Facendogli capire che c’era un modo “giusto” di procedere. Facendogli capire che a volte bisogna fermarsi un attimo a ragionare. Perché anche la mosca che sbatte in continuazione contro il vetro è perseverante, ma se solo si fermasse a ragionare magari vedrebbe che l’altra anta è aperta.

Mi rendo conto che in questo articolo ho ripreso concetti più e più volte analizzati nelle pagine del Blog, ma l’obiettivo è quello di portarti un esempio concretissimo e freschissimo del fatto che spesso abbiamo tutte le capacità per ottenere performance di alto livello, ma utilizziamo gli strumenti sbagliati o ci focalizziamo su strategie che non portano al risultato e magari il dubbio del “Non ci riesco, è troppo per me” inizia ad insinuarsi nel nostro dialogo interno.

Mio nonno mi ha sempre parlato con esempi ed uno suo molto caro era questo: “Una forchetta è molto simile ad in cucchiaio, ma prova a mangiarci il brodo!”.  Detta in dialetto suona molto meglio ;-).

Il ruolo del Mental Coach è quello di farti appoggiare la forchetta (che è utilissima in altri casi) e aiutarti a notare che proprio lì accanto a te c’è un magnifico cucchiaioperfetto per il brodo!

Ah quasi dimenticavo: il trick che quel ragazzo ha eseguito è un 360 Hardflip, nel video qui sotto puoi capire di che parlo.

Giuseppe Montanari
Di Giuseppe Montanari


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