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Sportività made in Italy

Creato il 12 agosto 2012 da Dave @Davide

di Davide PiacenzaS

pesso si sentono espressioni di diffidenza e pregiudizio nei confronti dei prodotti fabbricati o lavorati in Cina. Ieri, però, a Pechino – in un poco lusinghiero rovescio dei ruoli – è stato il prodotto per eccellenza del made in Italy, il calcio, a non fare una bellissima figura. Si è giocata – lo sapete tutti – Juventus-Napoli, valevole per la Supercoppa Italiana. La partita è finita 4-2 per la compagine bianconera, che ha goduto di tre episodi favorevoli. Nell’ordine:

  • Il rigore accordato alla Juventus per fallo di Fernandez su Vucinic. Come potrà notarequalunque tifoso, il contatto c’è: il partenopeo non prende la palla ma va diretto sulle gambe. Scandalo? A me, sinceramente, sembra proprio di no.
  • L’espulsione di Goran Pandev, attaccante del Napoli, per offese alla terna arbitrale a 4′ dalla fine dei tempi regolamentari. Da regolamento, il cartellino rosso ci sta. A quelli che si affrettano a ricordare che Totti si è reso protagonista di episodi simili in passato, senza che l’arbitro intervenisse, dico che anche io ho conosciuto persone che non hanno mai pagato le tasse; ciononostante, continuo a ritenere giusto perseguire chi lo fa.
  • L’espulsione di Juan Zuniga, per somma di ammonizioni, pochi minuti dopo. Il giocatore del Napoli, che spesso si fa notare per la sua animosità, ha meritato entrambi i cartellini. Così mi è parso.

Sportività made in Italy
Ma questo è soltanto calcio, ed è perfettamente plausibile avere opinioni differenti in merito all’operato arbitrale. Lo è sempre stato. Quello a cui si stenta a credere, dopo una partita del genere, è che giornali a tiratura nazionale pubblichino prime pagine scandalizzate e indignate (qui quella del Corriere dello Sport, “Super vergogna, la partita l’hanno decisa loro”) come davanti a una truffa o a un crimine contro persone indifese. Ciò che veramente fa aggrottare le sopracciglia è vedere stimate firme del giornalismo italiano – non faccio nomi, ma è sufficiente utilizzare quotidianamente Twitter per sapere di chi parlo – diventare ultrà da tastiera, insultare, insinuare e calunniare. Siamo d’accordo con Churchill nell’affermare che “gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”, per carità. Ma a tutto c’è un limite.

E quel limite dovrebbe essere posto, a ragion di logica, nell’essenza stessa del calcio, che è innanzitutto una federazione riconosciuta dai tesserati, innanzitutto un’istituzione con delle regole. Innanzitutto un gioco (che dovrebbe essere) disciplinato. E allora perché, a partita finita, decidere di disertare la premiazione? Perché, caro De Laurentiis? Perché, Mazzarri? Che messaggio si vuole dare, tenendo chiusi 11 ragazzi negli spogliatoi? “Il Napoli si oppone a questo schifo”? Ma non c’è stato nessuno schifo, signori miei, e se guardate il calcio da anni sapete bene che si vede regolarmente di molto, molto peggio. Il solo fatto di vedere 3 cartellini rossi non può far gridare allo scandalo, esattamente come tre multe prese nello stesso quartiere non sono un complotto. Cos’altro, allora? “Il Napoli non accetta la vittoria della Juventus”? Allora non doveva presentarsi sul campo di Pechino, dacché questa evenienza aveva il 50% delle probabilità di verificarsi.

“Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. (W. Churchill)

Non mi sento – né mi sono mai sentito – uno di quei tifosi disposti a “perdonare” tutto alla propria squadra, a sostenerla quando ha visibilmente torto o a strapparsi i capelli per uscire vincente da una discussione calcistica. Chi mi legge da qualche tempo lo sa: sono uno juventino che ce la mette tutta per essere obiettivo, laddove altri si limitano a berciare slogan e sfottò. Ma proprio per questo continuo a ritenere fuori dal mondo questo porre l’indice su complotti, ladrocini e persone corrotte e senza dignità ad ogni episodio dubbio. Ho letto che l’arbitro della partita, il sig. Mazzoleni, sarebbe un “venduto” almeno da una decina di sedicenti giornalisti di testate nazionali, ieri.

Ecco allora che, forse, le cose vanno cambiate. La mentalità che porta a disertare una premiazione di un trofeo (peraltro all’estero, sotto quello che dovrebbe essere l’occhio critico degli osservatori internazionali) è un limite congenito di un approccio allo sport che non ha più nulla a che vedere con lo sport stesso. Prima ancora di ogni possibile torto arbitrale o supposto trattamento di favore, ciò che marchia il nostro calcio made in Italy per ora è l’assenza di una cultura della sconfitta. E questa mancanza di responsabilità non è un problema solo di Napoli o De Laurentiis, ovviamente. Speriamo di non doverne pagare le conseguenze.


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