Reclusa in casa per due settimane causa morbillo (sì, a 28 anni: si può) ho avuto modo di familiarizzare con Spotify, the next big thing per quanto riguarda la musica digitale, finalmente approdato anche in Italia. Risultato? Nell’immenso archivio musicale sono andata alla ricerca delle mie “radici” musicali, brani dimenticati e ricordi ritrovati a base di pop punk degli anni ’90 e dei primi 2000.
C’è un prima e c’è un dopo, nella mia storia di amante della musica. Gli anni delle scuole medie e i primi anni del Liceo, come ho già avuto modo di dire (e più di una volta) hanno avuto come colonna sonora gruppi come i Green Day (quando Billie Joe sembrava più serio con i capelli verdi, che oggi con capelli e occhi tinti di nero), gli Offspring, i Blink 182, per citare i più noti, ma senza disdegnare band che chissà che fine hanno fatto. Lentamente ed inesorabilmente, crescendo, ho scoperto altra musica e mi sono orientata su altri generi, mi sono dimenticata di tante cose, ma la maggior parte dei ritornelli era ancora lì, pronta per essere canticchiata in un pomeriggio di convalescenza.
[Se siete iscritti a Spotify, siete dei trentenni nostalgici e apprezzate il genere, trovate qui la mia playlist]
Ognuno di noi ha la sua storia musicale, e chi ha avuto il suo apprendistato di ascoltatore nell’era pre-mp3 ha sicuramente perso molti pezzi per strada, vinili prestati e non restituiti, cassette il cui nastro si era inesorabilmente spezzato, scatoloni di vecchi cd stipati in cantina. Spotify, con il suo immenso e gratuito archivio musicale, apre nuovi universi a questa nicchia di fieri nostalgici musicali a cui appartengo a pieno titolo. Se non c’è tutto, su Spotify, poco ci manca; a nostra disposizione, online. Per i più ossessivo-compulsivi, c’è la possibilità di catalogare, riscoprire brani dimenticati grazie ai suggerimenti proposti dalla piattaforma, organizzare in playlist tematiche e condividere questo enorme patrimonio di musica e di ricordi.
Un aspetto davvero paradossale delle nuove tecnologie è proprio questo: permettere a noi che non siamo nativi digitali, di riscoprire, con nuovi gesti, cose antiche. Si può creare una versione digitale della “cassettine” che ascoltavamo con il nostro walkman, cercare su YouTube vecchi spot (fatelo, non ve ne pentirete) o sceneggiati televisivi, ritrovare gli amici di scuola su Facebook. Il futuro al servizio del passato, per arricchire il nostro presente. Mica male.
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