Magazine Lavoro
Quel che conta de "Il caso Spotlight" (già presentato a Venezia fuori concorso), dal 18 febbraio sugli schermi italiani, non è tanto la capacità del regista Thomas McCarthy, quanto il coraggio nel scegliere un tema delicato, scabroso, inquietante. Quello di sacerdoti cattolici che non sanno controllare i propri sensi, abbandonano il "voto di castità", abbracciano il "demone" del desiderio sessuale. Per scatenare i propri desideri repressi non su uomini o donne adulte, ma su bambini, ragazzi. É quella che chiamano pedofilia e che suscita, soprattutto fra i credenti, orrore e ribrezzo.
Il film non è frutto della fantasia di abili sceneggiatori, ma é tratto dal libro (premio Pulitzer nel 2003) col titolo italiano "Tradimento" (Mondadori). Gli autori sono un gruppo di cronisti di un giornale locale, il Boston Globe", riuniti in un gruppo chiamato davvero "Spotlight". Costoro avevano condotto, nel 2001, sotto la guida del nuovissimo direttore, voglioso di risalire la china delle vendite, un'inchiesta accurata e travolgente. Un film potente, assillante, senza un attimo di tregua, con attori di grande spessore (a cominciare da Michael Keaton). I protagonisti sono proprio i giornalisti. Con loro altri protagonisti, quasi sempre solo nominati e non rappresentati, sono i preti: una novantina quelli scoperti nelle loro nefandezze. Fino al cardinale, alla fine spostato, "per punizione", in un'importante basilica romana (un particolare che suscita risatine amaramente ironiche tra il pubblico dell'anteprima stampa a Roma).
Un film, certo, che rappresenta un atto d'accusa un po' tagliato con l'accetta, nel senso che non approfondisce le figure sia delle vittime che dei persecutori e fa cadere un'ombra pesante sulla chiesa cattolica che appare tutta intera sul banco degli imputati. A nulla sono valse le prese di posizione di Papa Francesco, la sua volontà di stroncare fenomeni criminali come quelli denunciati nel film. C'é però da osservare che il ricorso alla pedofilia e non solo, tra gli ecclesiastici, non è solo riservato agli americani di Boston. Chi non ha mai sentito episodi del genere raccontati anche in Italia? E del resto la storia, la letteratura, i pettegolezzi paesani sono ricolmi di racconti, spesso boccacceschi, riferiti a vicende di carattere sessuale (non solo pedofilo) e che coinvolgono preti o suore.
Sono fatti e narrazioni che fanno pensare come la Chiesa dovrebbe cominciare a riflettere , per risolvere il problema, non tanto sui provvedimenti disciplinari, più o meno efficaci, quanto sulle cause che provocano le devianze. Io credo che esse derivino da uno stato di repressione, da una specie di gabbia feroce, in cui vivono quotidianamente uomini e donne della chiesa, costretti alla castità, obbligati a considerare l'atto sessuale, non come il prolungamento di un sorriso, di una carezza, non come un atto d'amore, ma come un innaturale demone peccaminoso, da scacciare. Forse eliminando il voto di castità si potrebbero eliminare davvero le "insidie della carne" che portano alla fine allo sfruttamento abominevole dei fanciulli.
Una scelta difficile, certo, ma questa potrebbe essere la lezione che viene da "Il caso Spotlight". Mentre un altra lezione viene per i giornalisti. Mi è capitato di sentire in un video di "Repubblica" una parte dell'intervento del nuovo direttore Calabresi alla prima riunione di redazione. Con proposte interessanti sul rapporto nuovo che deve esistere tra giornale digitale e giornale di carta. Col primo puntato più sulle notizie e il secondo più sugli approfondimenti. Mi è balzato alla mente il confronto con il nuovo direttore del "Boston Globe". Quello che incitava al "giornalismo investigativo" non solo come ideale, ma anche per affrontare una crisi che azzera le edicole. Magari per investigare, mi vien da pensare, non solo sugli scandali sessuali, ma su tante problematiche che assillano i cittadini. Dalla mancanza di lavoro, agli ospedali, ai trasporti. Insomma accendiamo "Spotlight" ovunque.
Bruno Ugolini