La risposta è intuitiva solo per gli addetti ai lavori, e Il Sole 24 Ore dà la fotografia migliore.
Ma anche il giornale di Confindustria accenna soltanto al vero vincitore di questa fase: le banche. Il fatto che siano tornati investitori disponibili a comprare titoli di stato europei ha
fatto levitare i prezzi di questi titoli. Chi li aveva in portafoglio - soprattutto le banche - può ricalcolare dei guadagni importanti.
Chi li aveva acquistati anche quando il prezzo era ai minimi sta brindando (se vende, altrimenti attende lo stacco delle cedole e poi si vedrà).
Ma la mossa che ha reso euforiche le banche - e il valore azionario delle stesse, in borsa - è la scelta della Bce di elargire prestiti in quantità illimitata al tasso di interesse dell'1%. Questo solleva gli istituti privati più traballanti dalla necessità di emettere propri bond a tassi di interesse alti (5-7%, dice il Sole), perché possono approvvigionarsi praticamente a tasso zero.
Ma che ci faranno con quei soldi presi in prestito? Probabilmente li investiranno in titoli di stato, di paesi comunque meno traballanti, che rendono molto di più di quanto le banche non dovranno pagare in interessi alla Bce. In definitiva, un nuovo trasferimento di fondi pubblici alle banche private (in doppia versione: la prima tramite la Bce, comunque "coperta" dagli stati nazionali, la secondo tramite le cedole sui titoli di stato).
E l'economia reale? Si fotta, dicono le stesse banche. Non si prestano soldi fra loro, figuriamoci alla clientela "retail". La crisi dunque si avvita di un altro giro. Se nessuno crea ricchezza reale e turri speculano su pezzi di carta, il botto è sempre dietro l'angolo. Non serve essere marxisti per capirlo. Basta anche un keynesiano semplice.
***Ecco chi vince con il crollo dei tassi di... Maximilian Cellino
Si fa presto a dire spread. Il calo sotto la soglia del 4% del tanto temuto differenziale di rendimento fra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi è di sicuro una buona notizia per il nostro paese, ma i risvolti favorevoli per banche, investitori, famiglie e imprese non sono poi così immediati quanto lo sono per i conti dello Stato.
Tutto ha origine dalla politica espansiva attuata negli ultimi tempi dalla Banca centrale europea (Bce) e da quei 489 miliardi di euro di prestiti a 3 anni alle banche con cui Francoforte ha letteralmente inondato i mercati lo scorso 21 dicembre.
È stata soprattutto quella mossa – insieme naturalmente alle misure messe in atto dal governo Monti e ai passi avanti compiuti dall'Europa sulla disciplina di bilancio – ad allontanare le nubi dall'Italia, ma il meccanismo di trasmissione della politica monetaria all'economia reale, cioè alle famiglie e alle imprese, sa essere complesso e a tratti tortuoso. In teoria, come si vede nel grafico a fianco, gli istituti dovrebbero utilizzare la liquidità per abbassare i costi di finanziamento attraverso diversi canali e in definitiva girare i benefici alla clientela sotto forma di prestiti a tassi più accessibili di quelli attuali, ma il processo è graduale e richiede ben più di un mese. Per questo gli effetti della riduzione dello spread, almeno per il momento, si fanno sentire in misura diversa sui diversi attori che muovono le leve della crescita economica.
Banche
Gli istituti di credito hanno finora tratto i maggiori benefici dalle iniezioni di liquidità targate Bce. Prima di tutto perché ottenere denaro all'1% per 3 anni permette di abbassare sensibilmente il costo della raccolta a medio termine (viste le condizioni attuali, sarebbe difficile per le banche emettere bond a 3 anni pagando tassi inferiori al 5-7%), ma anche perché con quei fondi molte banche potranno ritirare dal mercato prestiti ben più onerosi (come ha fatto UniCredit con il buy-back di titoli subordinati) ottenendo plusvalenze tutt'altro che disprezzabili.
Una parte del denaro, infine, è già stata destinata e potrebbe essere ancora di più utilizzata in futuro per riacquistare titoli di Stato italiani ed è qui che entra in scena il famigerato spread. I riacquisti hanno infatti favorito un sensibile recupero dei prezzi di BoT e BTp e la conseguente discesa dei rendimenti, propiziando quindi il restringimento del differenziale con la Germania che oggi osserviamo. Questo fenomeno ha però un ulteriore risvolto positivo per le banche, dato che lo spread è anche sinonimo di affidabilità del «Sistema Italia» e al suo valore è legato a doppio filo il costo della raccolta di denaro attraverso i canali tradizionali. In altre parole, se la tendenza dovesse proseguire, gli istituti italiani potrebbero tornare sul mercato per emettere bond (due giorni fa Intesa Sanpaolo l'ha fatto, ma a caro prezzo), anche se raggiungere un risultato simile occorrerà forse ancora del tempo.
Investitori
Chi l'impatto lo ha visto immediatamente è il risparmiatore che ha azzardato l'acquisto di BTp nella fase più critica. Il fatto che lo spread (e quindi il rendimento) sia calato sensibilmente nelle ultime settimane ha come controparte un rialzo dei prezzi: a vendere oggi i titoli acquistati a novembre si realizzerebbe un discreto guadagno, soprattutto se si sono scelte scadenze comprese fra 2 e 5 anni (qui lo scarto rispetto alla Germania si è ridotto rispettivamente a 288 e 356 punti base). Per chi invece si trova adesso di fronte a una decisione di investimento, il meccanismo innescato dalla mossa Bce ha tolto alcune occasioni irripetibili, soprattutto sui BoT, ma ha anche permesso di fare un significativo passo avanti verso la normalizzazione: da ora in poi si potrà probabilmente tornare a costruire un portafoglio secondo i canoni consueti, e cioè a considerare quel rapporto fra rischio e rendimento offerto dalle diverse scadenze che era stato sovvertito nei giorni dell'autunno caldo dei mercati.
Famiglie e imprese
Sull'ultimo anello della catena, quello produttivo, si stanno invece ancora scaricando tutti gli effetti della bufera finanziaria ed economica. L'impennata degli spread sui mutui di nuova erogazione per le famiglie e i tassi quasi proibitivi a cui certe imprese possono ottenere i finanziamenti sono al tempo stesso la parte più evidente di un «credit crunch» che ormai è impossibile da negare e un problema difficile da risolvere a breve, con buona pace dello spread (sul Bund) che scende. I banchieri provano a difendersi spiegando che sono anche le stesse imprese, sfiduciate e colpite dalla crisi, a non chiedere denaro: opinione che ha il suo fondamento, ma che fa assomigliare il mercato del credito italiano a un cane che si morde la coda.*** fonte