Un nuovo rapporto di Edward Morse, analista del Citigroup, (Energy 2020: Independence Day) annuncia una radicale ristrutturazione dell’industria globale dell’energia, dacché gli USA, entro pochi anni, si trasformeranno da importatori netti ad esportatori netti di petrolio e gas. La combinazione di consumi interni declinanti e di crescenti quantitativi prodotti nazionalmente, ha portato nel 2012 le importazioni nord-americane al livello minimo dei dieci anni passati: circa 8 milioni di barili al giorno (mbd). I pozzi on-shore del Texas e del North Dakota da soli hanno contribuito con un aumento di 1,16 mbd alla produzione nazionale, grazie al crescente utilizzo della tecnologia di fatturazione idraulica che rende disponibile il petrolio intrappolato in rocce profonde e così poco porose (circa 5% di porosità) da renderle finora inutilizzabili. Si consideri che la porosità delle rocce saudite arriva al 35%, tanto da far dire ad un analista americano: “loro stano drenando una piscina, mentre noi dobbiamo spremere una spugna”.
Il rapporto Citi, estrapolando al 2020 queste tendenze, vede un futuro roseo per gli USA che potranno prolungare il loro stato di superpotenza grazie a questa rivoluzionaria tecnologia e che garantisce un nuovo impulso di sviluppo industriale a costi energetici bassi. Non solo, ma parallelamente si prospettano difficoltà crescenti per tutti gli altri paesi produttori di petrolio che troveranno sempre più difficile mantenere le loro quote di esportazione in un mercato del petrolio a prezzi decrescenti. Ed in ogni caso vedranno diminuire drasticamente le loro entrate finanziarie. La quotazione media del Brent (riferimento internazionale) potrebbe calare dagli attuali 90-120 $/barile a 70-90 $/barile per la fine del decennio, cioè al di sotto del costo di estrazione per numerose nazioni come Nigeria e Venezuela. Per la Russia, Citi stima che una quotazione del Brent che non superasse 90 $/barile a fine 2013, provocherebbe nei prossimi cinque anni una riduzione del PIL russo pari al 3%.
Nello stesso periodo gli USA sarebbero impegnati nella costruzione di nuovi oleodotti e nuovi collegamenti ferroviari per collegare i pozzi degli stati interni con le coste dove sono situate le raffinerie e dove potranno essere costruiti nuovi terminali per l’esportazione del petrolio nord-americano (è da notare che il rapporto dà per scontato un totale allineamento del Canada alla “causa statunitense” e quando parla di zero-import lo intende al netto delle importazioni dal Canada).
Citi si aspetta che il 30% dei veicoli pesanti saranno dotati di motori a metano o GPL già nel 2015, il che, insieme ai nuovi standards di consumo per il mercato delle nuove auto, potrà ridurre il fabbisogno di benzina e diesel riflettendosi in una minor consumo nazionale di petrolio per circa 2 mbd. Il portafoglio ordini della società American Railcar Industries a fine 2012 era pari a 61400 pezzi di cui tre quarti carri-cisterna.
Ma gli effetti più fondamentali si vedranno a livello geopolitico. Già l’anno scorso le importazioni USA dall’Africa Occidentale sono calate drasticamente. Morse prevede che il petrolio statunitense potrebbe a breve termine sostituire totalmente quello africano nelle raffinerie sull’Atlantico, servite via ferrovia, ed addirittura servire via mare le raffinerie del Canada Orientale, battendo la concorrenza del petrolio africano. Entro il 2014 il petrolio canadese dovrebbe arrivare via oleodotto nella Costa del Golfo, spiazzando gli attuali fornitori come Kuwait, Arabia Saudita, Venezuela, Messico, o costringendoli a drastici sconti di prezzo per mantenere le loro quote di mercato.
Non solo, Morse si aspetta che il petrolio canadese possa essere esportato nella regione del Pacifico a partire dalla Costa del Golfo statunitense, riuscendo a stabilire il prezzo di riferimento di quella zona. Ed anche il petrolio americano potrebbe essere venduto se il Congresso togliesse il veto attualmente esistente all’esportazione di petrolio di produzione nazionale.
Inutile dire che il rapporto di Citigroup ha suscitato una vivace discussione interna alle autorità statunitensi, risultando ancora più aggressivo del famoso rapporto IEA che parlava degli Stati Uniti come possibili esportatori di petrolio e gas a partire dal 2035.
Vedremo nella seconda parte, quali possono essere le implicazioni e le condizioni strutturali, sociali e normative necessarie per la prospettata “Indipendenza Energetica” degli USA.