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Le riserve accertate USA di petrolio e gas
Il rapporto Citigroup, che predice l’indipendenza energetica degli USA entro il 2020, si fonda su tre pilastri fondamentali: l’aumento delle riserve nazionali USA di petrolio e gas, la piena realizzazione delle infrastrutture necessarie al loro sfruttamento interno ed estero, la diminuzione relativa dei prezzi dell’energia USA rispetto ai prezzi del mercato internazionale.
L’aumento delle riserve nazionali viene collegato al boom della nuova tecnologia di fatturazione idraulica applicata a giacimenti finora considerati “non disponibili” per ragioni tecniche. Ma in realtà le modalità con cui si quantificano le riserve nazionali sono anche strettamente legate ai cicli di prezzo internazionale delle due materie prime. Infatti si parla di riserve di cui è comprovata la possibilità di sfruttamento alle condizioni attuali di economicità e tecnica operativa. Prezzi più alti tipicamente aumentano le riserve perché aumenta la porzione economicamente estraibile dei giacimenti già conteggiati. Il contrario succede con prezzi decrescenti. La EIA (Energy Information Administration), ha calcolato le riserve USA a fine 2010 pari a 25,2 Bb e 317,6 Tcf. Considerato che il prezzo di riferimento del petrolio americano (Cushing, Oklahoma WTI) è salito da 79,79 $/b nel 2010 a 95,84$/b nel 2011, è facile anticipare che le riserve USA di petrolio solo per questa ragione saliranno ancora nel prossimo rapporto EIA.
I prezzi in prospettiva
All’aumento della disponibilità di petrolio e gas americano ha corrisposto uno spostamento del combustibile usato per la produzione di elettricità a scapito del carbone (che è stato dirottato a basso costo sui mercati europei) e a favore del gas. Ma ciò non basta per assicurare la competitività del sistema industriale statunitense, soprattutto se le autorità permetteranno di esportare il gas, modificando a favore dei produttori il profilo del suo prezzo sul mercato interno. Ciò che non è avvenuto è il ben più rilevante calo dei prezzi dei carburanti. E questo per due ragioni fondamentali: la debolezza e l’inefficienza delle infrastrutture di spedizione/stoccaggio di petrolio/gas americano e la costante crescita della domanda internazionale da parte della Cina e delle altre nazioni emergenti. Per la competitività dell’industria USA è forse più determinante la politica inflazionistica della FED che non la crescita dell’attività estrattiva di petrolio/gas nazionale.
Le infrastrutture
Giocare sull’aumento di riserve è importante, ma più importante è aumentare la produzione e la commercializzazione dei prodotti. Per questo servono investimenti in infrastrutture. Il North Dakota (ND) è lontano dalle principali raffinerie e anche dagli oleodotti che portano il crudo estratto nell’area del Golfo. Circa 2000 camions al giorno fanno la spola sulle strade del ND fra le trivelle e i principali luoghi di stoccaggio e smistamento. Un’altra parte di crudo viene spedita tramite carri ferroviari a est ed a ovest. Con costi notevoli. Nuovi oleodotti o ampliamento di oleodotti esistenti sono programmati sulla direttrice Oklahoma-Texas e Oklahoma-Louisiana.
La vicenda dell’oleodotto Keystone XL (anche se riguarda il petrolio canadese) è significativa delle difficoltà che tale politica di investimenti incontra e costituisce per la sua esemplarità un buon indicatore per la fattibilità stessa di tale politica. Il Keystone XL è essenziale per garantire lo sviluppo dei giacimenti di sabbie bituminose dello Stato di Alberta (Canada) e nello stesso tempo per contribuire a stringere il gap fra produzione nord-americana e fabbisogno, fino alla possibilità per gli USA di diventarne gli esportatori. Lo stesso studio Citigroup quando parla di indipendenza energetica, fa riferimento al Nord America non agli USA. Data l’importanza strategica che quei giacimenti rivestono per il Canada, un eventuale cancellazione del progetto, farebbe sì che il Canada si rivolgerebbe al suo ovest (Cina, Giappone) dove troverebbe sicuramente interesse anche per la costruzione delle infrastrutture (oleodotti, terminali, porti) che gli mancano sulla costa del Pacifico. Un incubo geopolitico per ogni Amministrazione USA.
Gas e petrolio di scisto. Quanto durerà?
Un importante ruolo lo gioca il sistema di regole applicabili alla concessione di superfici federali sfruttabili (onshore/offshore) ed al rilascio dei permessi per aprire nuovi pozzi (acronimo inglese APD). Occorre però fare una premessa tecnica: una trivella di estrazione di petrolio/gas di scisto non pesca in un unico “serbatoio” ma, una volta raggiunto lo strato di scisto, procede orizzontalmente per qualche decina/centinaia di metri, e “spreme” le rocce intorno. Questa tecnica comporta che dopo il primo anno di esercizio la produzione cala sensibilmente anche del 50% rendendosi necessario spostare la trivella in superficie. Di fatto l’aumento di produzione registrato negli ultimi tre anni nel bacino Bakken (+25%) ha comportato la moltiplicazione per 4 del numero di pozzi (attualmente circa 3500); ulteriori aumenti a questo tasso di crescita comporterebbe di arrivare a 10.000 trivelle ca. in pochi anni. A questo dato oggettivo va aggiunta l’osservazione per cui le procedure APD seguono leggi molto diverse se le domande riguardano terreni federali oppure non federali.
Per le superfici federali il Bureau of Land Management (BLM) riesce a smaltire attualmente circa 5000 richieste all’anno, molto meno delle 8000 e più smaltite negli anni 2006-2008 e questo per l’aumentata complessità della procedura. Inoltre una recente analisi ha evidenziato che il numero di concessioni su superfici federali rilasciate non è correlato al numero di siti effettivamente in attività (esplorazione o produzione): attualmente il 50% delle concessioni federali onshore ed il 73% di quelle offshore non sono in produzione. Per aumentare la produzione dalle concessioni federali, il Congresso ha pensato alla possibilità di introdurre una tassa per ogni acro di superficie non messo in produzione. Sebbene una simile tassa non garantirebbe l’aumento della produzione sulle superfici federali, almeno ridurrebbe la porzione di concessioni non sfruttate effettivamente.
Per quanto riguarda gli APD, una maggiore efficienza degli uffici del BLM potrebbe incentivare gli investitori a sfruttare maggiormente le superfici federali, ma resta il fatto che il tempo che trascorre fra il giorno della domanda ed il rilascio della risposta (autorizzazione/non autorizzazione) è passato da 218 giorni nel 2006 a 307 giorni nel 2011, semplicemente a causa della maggiore quantità di documentazione dovuta per legge. Al contrario sui terreni non federali gli Stati rilasciano APD anche in dieci giorni lasciando spesso alla contrattazione privata fra proprietario e operatore la risoluzione dei problemi che l’impianto provoca relativamente all’utilizzo della superficie e questo ha fatto crescere la corsa all’affitto dei terreni non federali da parte degli investitori (produttori e anche non).
Non deve quindi stupire che pressoché l’intero aumento di produzione di petrolio e gas statunitense è venuto da terreni non federali, che attualmente coprono il 75% della produzione nazionale di petrolio (ca. 4,6Mbd su un totale di 6,2Mbd nel 2012) e l’80% della produzione nazionale di gas (20,2 Tcf su un totale di 24,5Tcf nel 2012).
Le economie locali
Le economie locali stanno vivendo un vero e proprio boom economico legato all’estrazione di petrolio/gas di scisto. Negozi, ristoranti, pub’s, hotel, case in affitto, trasporto locale, camionisti e persino spogliarelliste crescono e vivono intorno a questo business. Questo rappresenta il dato forse più rilevante e caratteristico della nuova corsa degli USA verso il vero o presunto Independence Day: e cioè il totale coinvolgimento dei cittadini nei territori interessati. Molti contadini del ND ricevono royalties di qualche migliaia o anche decine di migliaia di dollari avendo contrattato una partecipazione nella società che opera sul loro terreno. Insomma molti stanno facendo un sacco di soldi ma nel farlo sono anche convinti di contribuire a fare la storia. E’ un fatto che la maggioranza degli americani è favorevole al progetto Keystone XL.
Fra tutte le problematiche illustrate crediamo che la più seria di tutte sia la questione delle infrastrutture. La loro presenza o assenza, la loro tecnologia e ubicazione, condizioneranno fortemente la struttura dei costi di produzione del petrolio e del gas americano. Ed è la battaglia sui prezzi relativi che deciderà la guerra per l’”indipendenza energetica” degli USA, che in realtà è la guerra per allargare il campo del confronto fra USA, URSS e Cina. Negli USA la vicenda Keystone XL è dominata dalla questione del “cambiamento climatico” e del “rischio ambientale”, cavalli di battaglia degli ambientalisti elettori di Obama. I sostenitori del progetto invece puntano sul lavoro per gli americani, sull’indipendenza energetica e sulla sconfitta dei “comunisti venezuelani” e degli “islamici africani/mediorientali”. Ecco allora che la vicenda Keystone XL, o meglio la forma della sua soluzione, sarà importante non solo per verificare la profondità del rimescolamento ed il nuovo equilibrio fra diversi, in qualche modo opposti, rapporti sociali che si formeranno negli USA nei prossimi decenni, ma anche per capire se l’Amministrazione Obama abbandonerà l’ideologia del “climate change” a favore di quella dell’”Independence Day”.