Magazine Cinema
di Harmory Korine
con Vanessa Hudgens, Selena Gomes, James Franco
Usa, 2012
durata, 92
A luci spente il cinema di Harmory Korine sembra non esistere più, eppure se la sala riprendesse a proiettare “Spring Breakers” non si potrebbe fare a meno di restare a guardare. E’ così il cinema del regista americano, ancorato alle sensazioni prodotte da contaminazioni visivo uditive concentrate nell’immagine filmica. Ogni fotogramma è un pulsare d’informazioni che sgretolano il linguaggio narrativo rendendolo plasmabile a qualsiasi tipo di variante. In questo modo la vacanza da sballo di quattro ragazzine ed il loro incontro con il lupo cattivo si sfrangia in un germogliare di detour narrativi che intercettano gli stati d’animo dei “bodies at work” che frequentano le sue storie. Se in precedenza Korine aveva dato in pasto al pubblico le conseguenze di uno spaesamento in cui il corpo era sempre il terminale di una alienazione violenta e disperata, è con "Spring Breakers" che il Korine scrittore riesce a fondere l'immaginario freaks emerso nelle opere da lui dirette ("Julien Donken Boy" e "Gummo"), oggi presente nel gangsta rap di James Franco ma anche nel ritratto più laterale dei due gemelli che circuiscono le ragazze durante i rave party, con quello altrettanto deviante ma esteriormente perfetto prestato a Larry Clark, pensiamo alle sceneggiature di "Kids" del 1995 e di "Ken Park" del 2002. Il risultato è un’opera la cui attenzione estetica inizia e finisce con l'immaginario da dive mignon Selena Gomes e Vanessa Hudgens,assoldate per l'occasione, ed esposte a pubblico ludibrio, con bikini succinti e sguardi da lolite. In questo modo ad esistere non sono i loro personaggi, di fatto declassati dal fuori sincrono che sfalsa dialoghi e sequenze, bensì il divismo che le due star si portano dietro. Non c’è un solo momento del film infatti in cui pensiamo di avere di fronte Faith e Candy perchè Korine attraverso il non ruolo assegnato alle attrici focalizza e fa vivere desideri e speranze della generazione a cui fanno riferimento. Aiuta a capire l'intento del regista la struttura dell'opera che Korine organizza con un racconto dall'ossatura apparentemente classica, in cui però, l'inizio e la fine sono solo i gusci di un nocciolo che potrebbe fare a meno, per il suo loop visivo e la natura onirica - "è tutto un sogno" dichiara Alien mentre insieme alle sue girls si appresta alla resa dei conti - di qualsiasi logica di consequenzialità, che invece Korine in qualche modo rendeattraverso gli sviluppi dell'episodio dedicato allo scontro tra Alien ed un altro boss locale, inseriti di tanto in tanto per fornire concretezza e cronologicità al meccanismo, ma che in definita risultano le parti più deboli, sicuramente quelle più rassicuranti, perchè individuano un male concreto, fatto di armi da fuoco ed odore di cordite, e lasciano in disparte il malessere doloroso e profondo di quella gioventù bruciata. Diario intimo e confessione collettiva il film è il manifesto di un Easton Ellis tamarro che cita internet e la televisione, Mtv e pure Scarface, e fa del suo Alien una versione proletaria del Patrik Bateman di "American Psycho"(2000), con l'elogio di Britney Spears al posto di quello di Whitney Houston, celebrato sul filo di una follia che sfocerà nel drammatico finale. Prendere o lasciare, come sempre capita con Harmory Korine.
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