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“Le nuove Rimesse“, “Give Back“, “Pivot“: tre concetti-chiave che ho portato a casa dalla conferenza di Pesaro “Little Italy Big Italians“, dello scorso venerdì. Un momento di confronto estremamente utile, che ha dimostrato -una volta di più- come un numero sempre maggiore di attori sociali stia cominciando a interrogarsi sul problema della fuga dei talenti. E di come trasformare questo esodo in un movimento “circolare”, che permetta un vero e proprio intrscambio di intelligenze.
Vado sui tre punti menzionati sopra:
-”Le nuove Rimesse“: nell’emigrazione del passato, le rimesse erano soprattutto monetarie. L’emigrante andava all’estero per lavorare, accantonava parte dei guadagni e li spediva alla famiglia in Italia. Nell’emigrazione intellettuale del XXI° Secolo, questo non è più vero. Le rimesse si declinano in tre nuove tipologie: le competenze professionali di altissimo valore che i nostri “expats” acquisiscono fuori, e che possono riportare qui, in un’ottica di crescita del sistema-Paese; le partnership e le iniziative cross-border che si possono attivare tra i nostri professionisti all’estero e i loro colleghi in Italia, nell’ottica di una “win-win situation”; le semplici testimonianze che i giovani expats possono fornire, sui media o negli incontri pubblici, per aiutarci a fare il necessario salto di qualità.
-”Give Back“: un altro salto culturale fondamentale, da attuare al più presto. Occorre passare da una cultura latino-italiana del “do ut des”, su cui si imperniano le relazioni sociali del Belpaese (ti faccio un favore, ma tu me ne devi fare un altro), alla faccia del merito… per passare a una cultura anglosassone del “Give Back”. Concetto spiegato molto bene da Lorenzo Thione, l’inventore del motore di ricerca Bing. “Io ti faccio un favore o ti aiuto, ma senza alcun impegno. So che quanto semino oggi mi tornerà indietro in futuro in modo positivo, se non da te da qualcun altro che apprezza quanto faccio”. Come vedete, il salto culturale è enorme, tutto legato alla meritocrazia: si investe in qualcosa in cui si crede, senza ricavarne un profitto diretto, consci di innescare così un circolo virtuoso di crescita che si rifletterà positivamente anche su di noi. In Silicon Valley funziona: provare per credere!
-”Pivot“: concetto per me nuovo, introdotto ancora da Thione. Ed estremamente interessante, perché sta condizionando positivamente la crescita di molte aziende negli Usa. Parto con un’idea, ma sono sempre pronto a modificarla, anche radicalmente, in base alle esigenze del mercato e alle verifiche periodiche che svolgo. In un mercato produttivo e in un tessuto industriale molto ingessato e poco innovativo come quello italiano, anche questa è una perla di saggezza da non buttare.
Tre miniricette, quelle menzionate sopra, che possono rappresentare un ottimo punto di partenza per avviare un profondo cambio culturale e di passo in Italia.
Un Paese che ne ha un maledetto bisogno. Qualche dato recente per riflettere:
-i nostri giovani faticano il doppio rispetto ai coetanei europei per entrare nel mercato del lavoro. Quando anche ce la fanno, lo stipendio è di 800 euro… Siamo penultimi in classifica, davanti solo al Lussemburgo (fonte Datagiovani-Il Sole 24 Ore).
-secondo l’indagine Stella, nel 2010 l’occupazione a un anno dalla laurea è scesa al 38% per i “dottori” triennali, mentre per quelli magistrali resta al 64,5%. Davvero bassa la retribuzione media: 1133 euro, ben lontana dagli standard europei, e poco superiore a quella dei diplomati. Anche questa ricerca conferma che i tempi di ingresso nel mercato del lavoro si dilatano per i laureati, ormai siamo ben oltre il semestre.
-l’84% dei giovani teme per il proprio futuro lavorativo, secondo l’Osservatorio Confesercenti. Il dato sfiora ill 100% tra gli studenti.
-last but not least, l’inquadramento generale. Perché tutto ciò avviene? Semplice, basta dare un’occhiata ai dati macro della crescita: tra il 2000 e il 2007, periodo di bonanza, il Pil italiano è cresciuto solo dell’1,5% annuo, contro il 2,2% dell’Eurozona e il 2,6% degli Usa (dati Giovani di Confcommercio). Addirittura, se ci confrontiamo con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, scopriamo di essere in pauroso ritardo, rispetto a loro. Hanno collezionato un +4,8%. Spiega il direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella: “Occorre prendere coscienza della gravità di questa malattia di bassa crescita, anche perché si sono consumate le riserve date dai risparmi. Stiamo perdendo opportunità non solo planetarie, ma anche in mercati geograficamente prossimi ed economicamente dinamici. C’è una questione italiana, e da prima che se ne accorgessero i mercati internazionali“.
Così sempre più giovani scappano all’estero. Mentre quelli che già ci vivono hanno la soluzione in tasca per far ripartire il Paese.
Lancio un appello all’intero “sistema-Italia”: riportiamoli indietro e consegniamo loro le chiavi della stanza dei bottoni, prima che sia troppo tardi. Occorre fare presto. I segnali di cambiamento finalmente sono arrivati, ma il tempo perso è stato troppo. Non ne abbiamo altro da buttare.