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Squadriglia di governo: secondo turno alla mensa

Creato il 14 febbraio 2014 da Albertocapece

grosz_TheWhiteSlaveAnna Lombroso per il Simplicissimus

Altro che politica liquida, altro che leader con le bollicine, che fa fare plin plin, altro che ordini del giorno bulgari, dietro alla morte del Pd, allo scavalcamento delle regole della rappresentanza, ampiamente avviate dal primato egemonico della decretazione governativa che ha confermato il ruolo notarile delle aule, promosse definitivamente da una deformità elettorale peggiorativa di una legge delegittimata dalla Corte, dietro alle liturgie di una monarchia che fa piazza pulita di procedure non solo formali, c’è il gran pieno, solido e pesante di una ideologia e di un sistema di governo che nulla ha a che fare con la democrazia.

Sarà rassicurata la signora Merkel sarà più tranquilla quella solida alleanza globale: il guappo si è messo fedelmente al loro servizio, anche tramite i suoi diretti superiori, e sta preparando quella che i commentatori chiamano “squadra di governo”, in modo che sia un piccolo esercito privato di vigilantes scrupolosi e ligi agli ordini di quella’implacabile sodalizio planetario, costituito da grandi patrimoni, da alti dirigenti del sistema finanziario, da politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, da tycoon dell’informazione, insomma da quella classe capitalistica transnazionale che domina il mondo e è cresciuta in paesi che si affacciano sullo scenario planetario grazie all’entità numerica e al patrimonio controllato e che rappresenta decine di trilioni di dollari e di euro che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri risparmi dei lavoratori,  e che vengono gestiti a totale discrezione dai dirigenti dei vari fondi, dalle compagnie di assicurazioni o altri organismi affini. Infatti li sceglie tra  quelli che qualcuno ha chiamato i capitalisti per procura, poteri forti per la facoltà che hanno di decidere le strategie di investimento, i piani di sviluppo, le linee di produzione anche di quel che resta dell’economia reale, suggeritori o fan ossequienti, “consigliori” o supporter.

È tra questi che va a pescare il candidato a ricoprire three sono meglio che one: premier, segretario, sindaco a simboleggiare allegoricamente il superamento definitivo dell’arcaico conflitto di interesse che potrebbe  sfociare in un presidente condannato, perché no? li sceglie tra delfini blasonati di dinastie politiche, che hanno a parole denunciato l’imperialismo Usa per poi mandare i rampolli a nutrirsi del verbo capitalistico in costosissimi college, tra imprenditori rampanti che dovrebbero rappresentare un nuovo ceto padronale, dinamico, spregiudicato, così moderno che creatività fa rima con informalità, che flessibilità coincide con precarietà. E che è convinto che i confini siano inutili ostacoli alla mobilità di capitali, produzioni  e persone, da spostare a seconda dei loro profitti compresi quelli illusori del gioco d’azzardo.  Li seleziona tra quei professionisti dell’economia, convertiti da teorici contabili in esultanti sociologi, abituati a guardare la società e a “analizzarla” da un desk di autorevole quotidiano, da un’aula di un’università privatissima, da un salotto caldo,  ben illuminato e popolato da affini, affiliati, fidelizzati, più uguali degli altri, tanto da poter agire potentemente sulle statistiche. Quelli innamorati delle partite Iva, dei radicamenti territoriali, di una società civile così garbata e ritrosa che proprio non si fa sentire oppure dice si. O anche li preleva tra i successori di quella società rampante, frequentatori di università oscure sia pure non albanesi, collezionisti di master in  parcheggi esclusivi, stanziali in think tank prestigiosi, ma estranei a normali occupazione, ignari di buste paga, benché non disoccupati, occupati come sono a ritenere una carriera sostitutiva del lavoro e meritata come un diritto.

Basta scorrere i nomi “anticipati” dai giornali: all’Economia Lucrezia Reichlin, figlia eccellente, economista che ha lavorato a lungo alla Bce quando presidente era Jean-Claude Trichet, sostenuta entusiasticamente da Draghi, allo Sviluppo economico   Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica, già dotato di lenti rosa per guardare la fine del tunnel, ma si fa anche il nome di Vittorio Colao, numero uno mondiale della Vodafone.  Ai Rapporti con il Parlamento potrebbe essere scelto Guerini,  Maria Elena Boschi alle Riforme, che sta già seguendo in segreteria del Pd, mentre Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly, sarebbe reclutato all’Agricoltura, che Vissani è troppo contigua alla vecchia guardia. Ma qualcosa si dovrà pur trovare Tito Boeri, Pier Carlo Padoan, Fabrizio Barca e Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Palazzo Strozzi ex banchiere vezzeggiato pubblicamente dalla promoter italiana di Tsipras, Barbara Spinelli, che valorizzò la sua inefficienza come una virtù. Oltre a qualche conferma doverosa tra renziani e diversamente renziani collaudati, si parla del fidanzato della grande evasora, noto per questo e per il gruppo di sostegno su Fb, Tabacci, di Madia, il pupazzo in forma di donna di Ichino, di Baricco, in sostituzione del più familiare Moccia forse, e in qualità di suggeritore di citazioni dotte con cui coprire l’analfabetismo di ritorno, e stiamo freschi, e perfino di un socialista, dopo uno scouting nel bestiario degli animali in estinzione.

Oltre all’estrazioni li unisce un pensiero unico: un’indole di “servizio” tendente alla distruttività che è la stessa del sistema finanziario, quel vortice che vuole dissolvere le strutture della società, decomporre lo Stato in favore dell’accumulazione privata, cannibalizzare gli strumenti della rappresentanza e della democrazia, cancellando il senso stesso della vita, se sta divorando sino al limite del collasso, le risorse naturali, se sta sfruttando fino alla dissipazione i beni comuni, se sta mandando in rovina beni culturali e bellezza, e fondando su questo il proprio trionfo. Che usano la crisi, trattata come una occasionale perversione o come un incidente naturale, imprevista e sorprendente quanto ne è illusoria la fine, come l’opportunità per imporre quell’economia informale che legittima l’elusione legale delle regole e la cancellazione di garanzie e diritti, per stravolgere procedure che potrebbero assicurare partecipazione ai processi decisionali in modo da smantellare l’edificio della sovranità, per sancire la condanna all’appartenenza a un contesto “detentivo” che condanna noi e le generazioni future a pagare un eterno debito come un cappio, esonerando loro in nome dell’ubbidienza, colpendo noi, meritatamente, se qualcuno li ha votati, anche pagando due euro, e se continuiamo a sopportarli come fossero transitori, proprio come la crisi, mentre la luce in fondo al tunnel è un treno che arriva in direzione ostinatamente contraria.

 


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