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Squallide brughiere e montagne verdi: quando Trento(doc) vale Parigi

Da Trentinowine

111122_bollicine_1 Sull’Adige di questa mattina leggo una bella paginata dedicata a Trentodoc firmata da pgh (Paolo Ghezzi). Essendo un bravo giornalista che lavora di fino, si tiene lontano dalle opinioni e si limita alla cronaca pura e semplice. Basta e avanza. Bastano i virgolettati per dare l’idea dell’orizzonte confusionario e surreale in cui navigano i vertici istituzionali delle bollicine trentine (uso questa parola perché in Trentino, purtroppo, non si fa solo metodo classico).

Mi permetto, in pausa pranzo, di fare alcune chiose.

Banalità (e amenità) vertiginose (e pretenziose): “Altro che le squallide brughiere di Franciacorta, le colline della nostra terra madre non hanno nulla da invidiare allo Champagne” (Elvio Fronza). Lo afferma il presidente di Consorzio Vini, non uno qualsiasi. Non il signor Rossi o il signor Bianchi. Ci mancava solo dicesse che Trento non ha niente da invidiare a Parigi. Bene: e come mai, dato per assodato (?) che le colline franciacortine sono squallide e le nostre montagne sono verdi, i bresciani vendono più bottiglie (1 milione e mezzo in più rispetto a Trentodoc) e fatturano il doppio (150 milioni di euro contro 70 milioni)? I numeri sono quelli che giravano lo scorso anno a dicembre nell’ambito di Bollicine su Trento (se in giro ce ne sono  altri più aggiornati, prego postarli). Questo se lo sono chiesto i vertici della promozione e della politica vitivinicola trentina? Perchè, caro presidente, che le nostre montagne fossero più belle delle colline lombarde, lo sapevamo già. E da quel dì. Il problema è che non le sappiamo vendere. Non le montagne, le bottiglie. Urgono una (dieci, cento, mille) sedute di autocoscienza.

Quando i buoi sono fuori dalla stalla…: “Non possiamo più finanziare le cattedrali del vino” (Tiziano Mellarini). Ci mancherebbe altro: dalla cittadella del vino di MezzaCorona sino alla fabbrica del duomo (e non parlo solo di lavori di muratura) della Viticoltori in Avio, passando per Nogaredo e Mori, le cattedrali sono già state finanziate. Eccome. Proviamo a fare due conti? Sarebbe bello ma ci vorrebbe un calcolatore della Nasa, per farli. E non ce l’ho. Quindi rimandiamo, almeno per oggi. Ma stando così le cose, a quale testa matta passerebbe mai per l’anticamera del cervello di finanziarne altre? E poi, l’assessore dice: “non possiamo più… “. Ma, non possiamo o non vogliamo? Perché, fra il verbo potere e il verbo volere c’è una gran bella differenza. Ed è una differenza che fa la differenza.

Talpa meccanica, ovvero le pupitres in galleria: “Un grande spazio comune per la sboccatura, in grotta o in galleria, o in una ex centrale” (Tiziano Mellarini). Grande, lo spazio. Mi raccomando. Lo vuole grande lo spazio l’assessore: dobbiamo conquistare il mondo a suon di bollicine. Fermatelo: dopo aver sfracellato il fondovalle con capannoni commercial-industriali, con strade, rotonde, tangenziali e tutto il resto, ora vogliamo anche talpizzare il sottosuolo per un pugno di puprites? D’accordo che il metodo classico ci piace, e ci fa anche guadagnare, ma insomma a tutto c’è un limite. Lasciamola in pace madre terra. O terra Madre. C’è da augurarsi che la scelta, se mai si concretizzerà, ricada negli spazi di Centrale Fies: l’idea, almeno questa, di uno spazio collettivo poco impattante, mi sembra buona.

Tutti per uno, uno per tutti… ognuno per sé: “Dobbiamo remare in un’unica direzione” (Tiziano Mellarini). Pojer e Sandri: IGT delle Dolomiti; Castel Noarna: VSQP; Letrari, Rotari, Methius: Talento-Trentodoc. Continuiamo? Ah, si: Marco Manica (Premiata Ditta Longariva): Metodo Martinotti. E qui siamo addirittura su un altro pianeta. In queste condizioni parlare di unità di intenti, e di remi, equivale ad aver perduto il principio di realtà. Anzi a non sapere nemmeno cosa sia, la realtà.

Per fortuna c’è Matteo… : “Bacia manina se confermiamo l’anno scorso” (Matteo Lunelli). Per fortuna c’è il giovane rampollo dell’impero Ferrari, non a caso un impero solido e ben diversificato nel settore beverage e non solo, a riportare tutti alla realtà. E a consigliare, numeri alla mano, di tenere i piedi per terra. Perchè le bollicine di Trento, a forza di raccontarcela lunga, anzi lunghissima, rischiamo di trasformarle in una bolla di sapone. E sarebbe un gran peccato.


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