St. Vincent de Van Nuys. O se preferite, St. Bill Murray.
St. Vincent è un film piccolissimo, che come molte cose piccole nasconde in sé un tesoro. La sceneggiatura, scritta nel 2011 da Theodore Melfi, è ben presto finita nella Black List di Hollywood tra i migliori script non ancora prodotti. Poteva rimanere chiusa in un cassetto ancora a lungo, poi per fortuna lo sceneggiatore ha deciso anche di dirigerla, regalandoci un film d’esordio super convenzionale (ogni tanto ce ne vuole qualcuno!) che però funziona alla grande. Tutto si svolge secondo i piani, con la commozione al punto giusto, così come il rallenty, la ripresa aerea, ecc. Il cocktail è dolce e il film non può non piacere.
St. Bill Murray, dicevamo. Non è da tutti avere un signor attore per il proprio debutto da regista. Theodore Melfi è riuscito ad accalappiare un Bill Murray che santifica il suo film con una performance da Dio, nei panni di un misantropo che, anche non volendo, finisce per fare amicizia con il vicino: un dodicenne sempre solo (la mamma lavora tutto il giorno). Vincent ne diventa così il babysitter, ma anche consigliere, mentore e un po’ zio. Il bambino lo ripagherà con una spontaneità d’animo che farà breccia nel suo apparente cuore di ghiaccio.
Nei panni del burbero che odia tutto e tutti inizialmente si era optato per Jack Nicholson, già esperto della parte dopo Qualcosa è cambiato. Poi la scelta è ricaduta di Murray. Ed è la scelta giusta, poiché toglie al personaggio quella patita maligna e quel ghigno sferzante che Nicholson non sarebbe riuscito a cancellare dal suo volto da eterno Joker.
St. Vincent è quindi uno di quei film che delizia lo spettatore tramite la pacatezza dei toni e una lieve poesia nella gestione di sequenze dove è la colonna sonora a fare il lavoro sporco. Lucciconi, grasse risate, un tocco di malinconia e qualche zampillo di freschezza da film indipendente. La giusta alchimia di elementi che rende St. Vincent uno di quei film che il cinema dimenticherà presto, ma il pubblico no.
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