
"American Sniper", di Clint Eastwood
E anche per quest'anno si chiude... la stagione cinematografica va in archivio ed è, ovviamente, tempo di bilanci. Con grande piacere, devo ammettere che non è stato affatto facile scegliere i sette migliori film dell'anno, complice un'inusitata abbondanza alla quale non eravamo davvero abituati...Sì, è stata un'ottima annata, che è andata oltre ogni rosea aspettativa: parlo ovviamente di qualità artistica e non di quantità (per la classifica "ragionata" sugli incassi e i gusti del pubblico, l'appuntamento è per la prossima settimana), ma era da tempo che il sottoscritto non premiava con le cinque stelle (ovvero il massimo dei voti) ben cinque pellicole nell'arco della singola stagione, oltre ad un cospicuo numero di "quattro stelle", cioè la soglia dell'eccellenza.
Come si evince dai titoli sotto, è stata la stagione della grande rivincita del cinema americano, presente con ben quattro titoli su sette (a cui si aggiunge il canadese Mommy), e noi spettatori europei, da sempre troppo schizzinosi e diffidenti verso tutto quello che arriva da oltreoceano, dobbiamo avere l'onestà intellettuale di ammetterlo. E in questa classifica ci sono sia i grandi vecchi (come Eastwood e Mann, ai primi due posti) sia cineasti del presente e del futuro (Miller, Linklater e Dolan). L'Italia se la cava con Nanni Moretti nella top-seven, ma sono parecchi i nostri film che stazionano ai margini dell' "olimpo", a testimonianza della ritrovata vitalità delle nostre produzioni.

"Blackhat", di Michael Mann
La qualità della stagione si giudica anche (anzi, soprattutto) dalle esclusioni eccellenti: sono tanti infatti i bei film che non sono entrati in questa classifica ma che avrebbero meritato di esserci... a cominciare da Birdman, fresco trionfatore agli oscar e apprezzatissimo anche dalla critica, per non parlare dell'ultimo Mad Max, fino a Vizio di Forma, Whiplash, e come detto a molte pellicole italiane: pensiamo a Youth - La giovinezza, Hungry Hearts, Anime nere, Il giovane favoloso, Torneranno i prati...Insomma, una stagione da incorniciare e che sarà dura da ripetere.
Qui sotto ci sono le mie scelte: a voi la facoltà, se vorrete, di criticare, aggiungere, commentare... è sempre e solo un gioco, a cui è divertente partecipare!

La storia (dis)umana e privata di un uomo divenuto eroe suo malgrado diventa per Eastwood il leit-motiv per una durissima e spietata riflessione su un paese terribilmente bisognoso di eroi, eppure incredibilmente avaro verso di essi. Un film americano fino al midollo, moralmente irreprensibile, per nulla agiografico (al contrario di quanto riportato da tante critiche preconcette), che alterna magistrali sequenze d'azione a scene di vita familiare drammaticamente vuote e disagevoli. Clint ormai può permettersi tutto, anche un finale patriottico e commovente che forse irrita il pubblico occidentale ma rispetta la storia e la cultura di un grande paese pieno di contraddizioni. Capolavoro.

Un film clamorosamente bello da vedere, pura goduria per gli occhi, che segna il grande ritorno di Michael Mann e del suo cinema malinconico, dolente, fatto di atmosfere, sguardi, abbandoni, frasi smozzicate ed emozioni rimaste in gola. La trama è solo il pretesto per una pellicola fascinosa ed elegante, romantica e affabulatoria, con la solita regia da capogiro e i dettagli che fanno la differenza. E poi, ovviamente, le consuete scene d'azione che tolgono il fiato: gli ultimi venti minuti del film, con cacciatore e preda che si inseguono nel bel mezzo di una celebrazione religiosa, tra ali di folla impassibile e indifferente a tutto, sono forse la sequenza più bella dell'intera stagione cinematografica. Vedere per credere.

Attenzione a Bennett Miller, cineasta poco prolifico ma che non sbaglia un colpo, confermandosi uno dei registi americani più lucidi e attenti dell'ultima generazione. Foxcatcher racconta una storiaccia fatta di soldi e miseria, sentimenti sopiti e non corrisposti, dolore e solitudine, frustrazione e rabbia repressa. Un ritratto agghiacciante del mondo di oggi e della società statunitense in particolare: il paese delle "seconde occasioni" non esiste più e la luce in fondo al tunnel è solo un'abbagliante illusione... un viaggio senza ritorno nel lato oscuro del Sogno Americano, dove tutti i protagonisti, inevitabilmente, sono portati all'autodistruzione.

Più che un film, un progetto nato da un'idea tanto folle quanto straordinaria: seguire la crescita e la maturazione di un ragazzo dall'infanzia fino all'adolescenza, girando le riprese anno per anno per undici anni, con gli stessi protagonisti che "invecchiano" sullo schermo senza bisogno di effetti speciali... il grande merito del film è quello di mostrare la naturalezza della vita e la bellezza dello stare al mondo, una splendida riflessione sul tempo e sulla capacità di accettarlo: Boyhood ha il pregio, enorme, di farti apprezzare nello stesso momento la magia del cinema e della vita, anche per chi considera la propria esistenza come la più ordinaria possibile. Perchè la nostra vita, come quella di tutti gli altri, è una bellissima storia che merita di essere raccontata.

Diciamola tutta... nessuno si aspettava da Moretti un film così intimo e privato, dove il più schivo e altezzoso dei registi italiani si mette coraggiosamente a nudo come mai aveva fatto prima, complice un evento infausto e totalizzante come quello della morte di un genitore. Mia Madre è uno splendido dramma umano ma anche un importante film politico (come tutti i film di Moretti), dove il cineasta romano ci parla dell'unica politica oggi possibile: quella praticata dalle persone perbene che, disgustate dai palazzi del potere, si prodigano con tutte le forze per migliorare l'esistenza del prossimo. Un Moretti fragile e per una volta umile, che grida al mondo la propria inadeguatezza e si rifugia negli affetti profondi, mostrando i suoi punti deboli affinchè ognuno capisca quali siano le vere priorità della vita.

Un film assolutamente folle e stralunato, eppure geniale nel mettere in scena un teatro dell'assurdo che gli è valso il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Pellicola grottesca, piena di umorismo feroce, livida come (tutti) i personaggi che descrive: Andersson fotografa con sarcasmo e pietà cristiana un'umanità spaventosamente gretta, indegna di vivere... il suo è un film sull'insensatezza della società moderna, palesemente votata all'autodistruzione. Si ride e si piange, godendo di uno stile spiazzante e unico che ricorda il Kaurismaki prima maniera. Gli uomini sono ridotti a piccoli freaks compassionevoli non più intelligenti del piccione impagliato che li osserva dall'alto. Se si è disposti ad abbandonarsi alle immagini e aprire la mente, possiamo assistere ad un'opera unica nel suo genere.

Compiaciuto? Ruffiano? Autoreferenziale? Forse un po' sì... ma quando ti chiami Xavier Dolan e sei così bravo, maledettamente bravo, certe cose te le puoi anche permettere. Mommy è un film di incontenibile potenza visiva ed evocativa: racconta una storia universale, drammatica, adatta a tutte le latitudini, e lo fa con lo stile e la classe di un veterano. Tre persone unite dall'amore e dalla pazzesca voglia di vivere, pur con tutti i problemi che vengono dalla dura quotidianità. Un film dalla vitalità prorompente, capace di contagiare lo spettatore e regalargli momenti di assoluta commozione. Un concentrato di emozioni forti che sbalordisce, provoca, colpisce al cuore. Cinema allo stato puro.
