Magazine Politica

STAN-Project: Dicotomie turkmene

Creato il 23 maggio 2014 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 23 maggio 2014 in Rubriche, STAN-Project, Turkmenistan with 0 Comments
di Giovanna Larcinese (testi) e Mario Trave (foto)

15

Un centinaio di metri separa la frontiera iraniana da quella turkmena. Attraversare questo percorso è un salto intercontinentale tra donne dai tratti russi ed occhi asiatici, veli colorati e denti d’oro, che hanno il ruolo sociale del mercato, comprando tappeti iraniani ed importandoli nel loro misterioso paese. All’improvviso le donne sono incaricate di un’importante ruolo sociale, anche se il loro impiego nel pulire e vangare le aiuole stradali ad ogni ora e temperatura, parrebbe più sfruttamento che una sostanziale emancipazione di genere.

Il Turkmenistan è stato più volte paragonato alla Corea del Nord per la sua apparentemente impenetrabile vita sociale e politica e per il mancato rispetto dei diritti umani più basilari. In questo contesto, il visto di transito per un massimo di cinque giorni è tutto ciò che viene concesso a coloro che non fanno business nel paese e fino al 2011 persino le Nazioni Unite hanno avuto difficoltà a varcare la frontiera d’ingresso. Nonostante oggi l’OSCE ed altre simili organizzazioni siano presenti nel paese, ONG e giornalisti non sono affatto incoraggiati ad entrare in Turkmenistan.

L’impressionante capitale nasconde nei suoi imponenti palazzi il segreto di una cosiddetta “democrazia” con la recente introduzione del sistema multipartitico alle elezioni presidenziali. Dalla scomparsa del vecchio presidente Nyazov, che ha governato per circa 20 anni nel paese, è entrato in carica il suo delfino Berdimuhammedow (2007), suo dentista personale e nelle voci locali, suo figlio illegittimo. Il problema del difficile radicamento democratico nell’area, come sostiene Terzani in Buonanotte signor Lenin, risiede nella vecchia struttura feudale precedente al comunismo e mai modificata da questo.

La capitale, Ashgabat, è stata tutta rinnovata rimpiazzando l’eredità del potere sovietico con enormi edifici in marmo bianco, statue dorate e un piano di costruzione edilizia massiccio. Parallelamente si lavora alla ri-costruzione identitaria, forzando spesso radici, tradizioni e specificità turkmene, andando alla ri-scoperta di poeti locali, letterati, medici e scienziati che hanno fatto l’onore della terra dei Turkmeni, il Turkmeni-stan. La lingua turkmena, per dare un esempio, è stata resa obbligatoria nelle scuole dal 1991 e dal 1995 tutti gli esami hanno dovuto essere svolti in turkmeno, a dispetto del russo, precedentemente lingua ufficiale, e della popolazione russa,  fetta consistente della popolazione del Turkmenistan.

Di sovietico nella capitale è rimasto davvero poco: le sole tracce rimaste sono un centro commerciale ospitato da un edificio a forma di missile, un monumento commemorativo delle vittime della seconda guerra mondiale e le numerose Lada, colorate automobili russe prodotte a Togliattigrad e considerate, per oltre vent’anni, un simbolo della city-life.

Tutto il centro è un’enorme area monumentale in bianco e oro, con poliziotti e militari a una ventina di metri l’uno dall’altro a controllare ogni singolo movimento intorno. La sensazione di controllo è massima e nelle guide turistiche è raccomandata la massima prudenza per le eventuali microspie nelle stanze degli hotel. Degli schermi enormi proiettano ad ogni ora le immagini del presidente che cavalca un cavallo o che sorride alla videocamera o quelle dei meravigliosi palazzi commissionati dal leader.

Nonostante ciò, nella periferia malandata di Ashgabat è possibile afferrare un’altra vita: se i muri dei palazzi che si affacciano sulla strada sono stati rinnovati, la loro parte interna, esposta al quartiere, ancora aspetta l’intervento dalla caduta dell’URSS, le strade scompaiono a favore del fango e persone modeste conducono vite semplici tra lavoro, scuola e fede. Essi non pagano il gas ed hanno prezzi bassissimi per il petrolio ma la loro libertà è ancora un serio punto di dibattito per le organizzazioni internazionali.

La maggior parte dei soldi che il Turkmenistan ottiene vendendo gas (è il quarto produttore mondiale, detiene il secondo giacimento al mondo ed è il più importante fornitore per la Cina) viene spesa “per la facciata”, l’immagine che il Turkmenistan, la nuova economia emergente -giocando a scacchi con Cina Russia e l’italiana ENI- vuole avere nel mondo. Per questa ragione, nonostante il tasso di crescita del 10% medio annuo (al 2013), scuola salute e istituzioni sociali soffrono di mancanza di finanziamenti, mentre il culto della personalità assorbe gran parte del budget.

OLTRE LA STEPPA

In Turkmenistan, considerando le strade che connettono le città, con un visto da cinque giorni è improbabile che si abbia abbastanza tempo per muoversi da Ashgabat e visitare il resto del paese. Tuttavia, con qualche sforzo, è possibile vedere anche la “provincia dell’impero”.

Una steppa immensa divide la capitale dal nord, un panorama pulito e giallo con qualche spruzzo di neve di tanto in tanto. Al passare del tempo il paesaggio resta uguale, con l’assenza di strade asfaltate, taxi saltellanti come in un rally e cammelli che attraversano il deserto del Karakoum. All’estremo nord si trova la frontiera più isolata del paese, con gente di confine pronta ad accogliere il forestiero, dopo il grande silenzio della capitale.

Ashgabat ci umilia” afferma un uomo di Konje Urgenc, la vecchia capitale della Corasmia prima dell’arrivo di Gengis Khan. Il disinteresse del governo risiede nel fatto che durante la dominazione russa la maggior parte della popolazione a Konje Urgenc era uzbeka ma è stata divisa dal proprio stato.

Il calore della gente è dovuto proprio al controllo meno opprimente riscontrato vicino ai palazzi del potere, e solo qui si può afferrare l’anima del paese, in realtà più mista di quanto non si pensi, dalle genealogie intrecciate, fedi animiste e con una maggiore libertà nel criticare la gestione del potere e la perdita di vantaggi rispetto al periodo dell’URSS. Sembra quasi che per essi l’arrivo di un forestiero rappresenti un’opportunità unica per condividere un malessere.

La città rivela anche la più antica costruzione islamica dell’area, diversi monumenti della Corasmia circondati dai pellegrini e un’emozionante collina della fertilità dove le donne danno un’immagine spettacolare dei loro rituali, con culle dondolanti e solidarietà al femminile. Spiritualità e tribalità sono rintracciabili anche nel centro cittadino: un enorme assembramento nasconde nel cerchio combattimenti tra cani e tra montoni, tutto il paese vi assiste e le scommesse fanno da carburante alla tensione del momento.

Passando per il bazaar infine, il cerchio si chiude: delle macchine spruzzano fango annunciando coi clacson il matrimonio di una giovane coppia e vi si ritrovano le donne a vendere gli stessi tappeti iraniani visti alla frontiera d’entrata. Solo allora si comprende il suono gentile del mercanteggiare turkmeno.

Tags: Asia centrale, fotogiornalismo, Giovanna Larcinese, Karakoum, Mario Trave, reportage, Turkmenistan, via della seta Categories: Rubriche, STAN-Project, Turkmenistan


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :