I resti di una supernova Ia (SNR 0509-67.5). Crediti: NASA
Le supernovae di tipo Ia sono esplosioni stellari tutte molto simili tra loro e anche per questo piuttosto preziose per gli astronomi. Vengono infatti utilizzate come “candele standard“, ovvero come “metro” cosmologico per misurare le distanze nello spazio. Questo grazie al fatto che la loro luminosità apparente dipende quasi esclusivamente dalla distanza a cui si trovano, e dal momento che pensiamo di conoscere piuttosto bene anche la loro luminosità propria – perché è possibile ricavarla dalla velocità con la quale si smorza la luce dell’esplosione – dalla relazione tra le due luminosità possiamo ottenere proprio la distanza delle galassie in cui l’esplosione è avvenuta.
Non solo. Una volta nota la distanza delle supernovae, quando mettiamo in relazione questa misura con il loro redshift (lo spostamento verso il rosso che si registra nello spettro di una sorgente luminosa e che dipendente dalla sua velocità di allontanamento) possiamo anche capire come è cambiata la velocità di espansione dell’universo nel tempo.
Fino a oggi pensavamo di conoscerle piuttosto bene insomma, ma uno studio, guidato da Richard Scalzo della Australian National University, ha dimostrato che le cose non stanno esattamente così. Le nane bianche al carbonio-ossigeno che esplodendo danno vita alle supernovae di tipo Ia avrebbero infatti, secondo la nuova ricerca, uno spettro di masse più ampio di quello aspettato. Questo costringerebbe a rivedere i modelli teorici che descrivono i processi alla base delle esplosioni. L’analisi è in corso di pubblicazione nelle Montly Notices della Royal Astronomical Society ed è disponibile on-line come preprint su arXiv.
Le supernovae Ia sono così simili, si pensava finora, perché le quantità di carburante e i meccanismi di esplosione sono sempre gli stessi. L’ipotesi principale era infatti che le nane bianche al carbonio-ossigeno, progenitrici delle supernovae, diventassero sempre più pesanti catturando massa aggiuntiva (sottraendola da una stella compagna o fondendosi con un’altra nana bianca) fino al cosiddetto limite di Chandrasekhar ( cioè 1,4 volte la massa del Sole) raggiunto il quale si verificava l’esplosione.”Il limite di Chandrasekhar è stato a lungo presentato dai cosmologi come il più probabile motivo per cui le luminosità delle supernovae di tipo Ia sono così uniformi e, cosa più importante, del perché non ci si aspetta che si modifichino sistematicamente a redshift più alti”, dice il cosmologo Greg Aldering, a capo del Nearby Supernova Factory (SNfactory) dei Berkeley Lab, che ha preso parte allo studio. D’altra parte, “il limite di Chandrasekhar è imposto dalla meccanica quantistica e deve valere allo stesso modo anche per le supernovae più lontane”. Tuttavia , secondo Scalzo , “le nane bianche al carbonio-ossigeno più massicce tra quelle di recente formazione sono di circa 1,2 masse solari. Perché possano avvicinarsi al limite di Chandrasekhar troppi fattori dovrebbero allinearsi perfettamente per poter permettere loro di accumulare le restanti 0,2 masse solari necessarie”. Il team di ricerca ha così deciso di andare a determinare l’energia totale degli spettri di 19 supernovae Ia, 13 scoperte dal SNfactory e 6 scoperte da altri. Tutte sono stati poi nuovamente analizzate dallo spettrografo del SNfactory, chiamato SNIFS (SuperNova Integral Field Spectrograph) e che fa parte del telescopio di 2,2 metri dell’università delle Hawaii. E secondo queste nuove ananlisi, le nane bianche che danno poi vita alle supernovae si presentano in uno spettro di masse diverse. La maggior parte sono vicine o leggermente al di sotto della massa di Chandrasekhar, e una piccola parte riesce anche in qualche modo a superarla.Una volta stabilito che le nane bianche che esplodono come supernovae di tipo Ia hanno una gamma di masse sufficientemente ampia da smentire il modello basato sul limite di Chandrasekhar, rimane da capire che cos’è che innesca le supernovae di questo tipo. Le ipotesi che rimangono sul tavolo sono quelle dei modelli teorici che non sono stati scartati dopo questo nuovo studio. Una nana bianca al carbonio-ossigeno potrebbe per esempio accumulare elio, elemento che fa esplodere più facilmente il carbonio (risultando in questo caso in una doppia detonazione). Ma ci sono altri modelli “superstiti” che andranno testati, e con il tempo capiremo meglio le dinamiche dietro a queste esplosioni. Quello che è sicuro, dicono i ricercatori, è che la ”rete di sicurezza” psicologica che il limite di Chandrasekhar offriva come spiegazione al fenomeno è andata perduta.Di diversa opinione è Enrico Cappellaro dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova: “In effetti – dice l’astronomo ordinario – nei libri di scuola si trova che le SNIa sono l’esplosione di nane bianche che raggiungono la massa di Chandrasecker e questo, tra l’altro, spiegherebbe il fatto che sono tutte uguali. Tuttavia – aggiunge – sono almeno 20 anni che sappiamo che le SNIa non sono tutte uguali, ma mostrano variazioni nella luminosità’ correlate con una diversa evoluzione delle curve di luce. I modelli teorici hanno mostrato che queste variazioni corrispondono a differenze di massa nel materiale espulso dall’esplosione che, lo ricordo, distrugge completamente la stella”.
“Questo lavoro – continua Cappellaro – sulla base di nuovi dati di grande qualità’, sposa questa interpretazione. Bisogna però dire che altri ricercatori sono dell’opinione che i modelli siano incompleti e che ci sia una frazione del materiale espulso che non riusciamo a misurare. Secondo questa interpretazione, almeno nei casi normali, la massa totale della nana bianca è sempre quella canonica e le differenze di luminosità’ hanno altre spiegazioni. Mi pare di poter dire che anche dopo questo lavoro la controversia rimane aperta”.
“Certo – conclude – rinunciare al paradigma standard avrebbe delle conseguenze importanti e, in particolare, dovremmo rivedere tutto quello che pensavamo di sapere sui meccanismi di esplosione. Nonostante negli ultimi anni diversi ricercatori abbiano provato a lavorare in questa direzione per una ragione o l’altra i meccanismi proposti non hanno superato l’esame delle osservazioni. La caccia dunque continua”.
Fonte: Media INAF | Scritto da Matteo De Giuli