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Stanno tutti bene tranne meIntervista a Luisa Brancaccio

Creato il 25 novembre 2013 da Tiziana Zita @Cletterarie

62717_1533673275948_4181680_nL’ho finito e sono rimasta scioccata per mezza giornata e forse anche di più. Si legge in un pomeriggio, ma non è una lettura confortevole, gratificante, o accomodante. E’ una lettura che turba e disturba. Secondo alcuni è proprio questo il compito della letteratura, quello di sconvolgere il lettore che ormai è sempre più difficilmente sconvolgibile. Bene, qui ti arriva come una bastonata.
Lei, l’autrice, si chiama Luisa Brancaccio, è vegana, quarantenne, semi napoletana e legge solo quello che può servirle a migliorare la sua scrittura, tipo Faulkner.
In realtà, in Stanno tutti bene tranne me non sta bene proprio nessuno, ma come spesso accade nelle dinamiche famigliari, c’è un capro espiatorio dello squilibrio generale.
Luisa Brancaccio ama il minimalismo, ma ha il fuoco nelle mani. Ecco la sua intervista.

Quando hai cominciato a scrivere?
A 18, 19 anni, quindi tardi. A 18 anni sono stata cacciata di casa dai miei genitori e mi hanno prestato una casa in campagna, a Todi. Un artista, Alighiero Boetti, mi ha dato la sua casa a Todi per due anni. Io ho abitato in piena campagna, in Umbria, per due lunghissimi anni. Non c’era internet, non c’era televisione, non c’era niente.

Da sola?
Con un fidanzato. E quindi avevamo solo i libri. Io studiavo all’università. La prima cosa che ho iniziato a scrivere è stato un diario… minimo, minimalista, perché poi nella mia vita non succedeva niente. C’era tutti i giorni una passeggiata in campagna, l’osservazione degli insetti. Non c’era molto: eravamo in due, in inverno, in campagna.

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E’ stato un allenamento.
Sì, infatti dopo due anni sono tornata a Roma e avevo un allenamento alla scrittura tale che Anatole Fuksas mi ha proposto di scrivere un racconto per un’antologia che lui curava e quindi abbiamo pubblicato sia io che Niccolò (Ammaniti) i nostri primi racconti. Poi dopo pochi anni abbiamo scritto Seratina.

Che è il racconto pubblicato nel 1996 in Gioventù Cannibale. Com’è stato lavorare a quattro mani con Ammaniti?
Scrivevamo in momenti separati. Lui scriveva un pezzo, poi io lo leggevo, aggiungevo un altro pezzo, lui lo leggeva e aggiungeva un altro pezzo. Raramente eravamo seduti allo stesso scrittoio contemporaneamente. Abbiamo cercato di avere uno stile uniforme, però era facile perché eravamo talmente agli inizi e non avevamo un nostro stile.

Mentre per gli sceneggiatori è la normalità scrivere in due, o anche più di due, per gli scrittori è raro.
Penso che potevamo farlo perché eravamo molto giovani, più elastici e meno strutturati di adesso. Da scrittori adulti è difficile.

Su Wikipedia c’è scritto che sei una scrittrice splatter, è vero?
Non è vero niente di quello che c’è scritto su Wikipedia. La mia pagina è tutta sbagliata. Non scrivo per la televisione, o il cinema. Non sono una scrittrice splatter.

Leggi tanto, poco, o niente?
Leggo tanto.

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Libri di carta, o ebook?
Tutti e due. In viaggio porto ebook.

Saggi, romanzi, o poesie?
Leggo soprattutto narrativa. Poesia ne leggo poca, però leggo i saggi. Mi piace leggere la filosofia, le scienze, gli anarchici, la fisica. Ma quello che mi appassiona è la narrativa. Il motivo per cui scrivo è che mi piace leggere.

Quali generi preferisci?
Non amo molto la narrativa di genere. Non leggo molto i gialli. Mi piace molto la letteratura americana.

Leggi un libro alla volta, o tanti contemporaneamente?
In genere ne leggo due alla volta. Uno di giorno e uno di notte. Quello di giorno è un saggio, quello di notte è narrativa. Ora sto leggendo di giorno Plutarco e stanotte ho iniziato l’autobiografia di Simenon che ti consiglio perché ci sono quattro vite in una.

Memorie intime
Sei una che rilegge?
Non mi è capitato tanto spesso.

Quali sono i tuoi fondamentali? Gli autori preferiti?
Mi piace molto la letteratura americana, mi piace il minimalismo. Ho bisogno di un certo realismo nella narrativa. La letteratura americana è molto concreta. Mi piacciono molto i racconti brevi.

Mi pare di capire che più che una scrittrice di romanzi, sei una scrittrice di racconti. Anche Stanno tutti bene tranne me sono racconti collegati da un filo sottile. Il racconto è la tua cifra: ti piace leggerlo e scriverlo.
Questo tipo di libro, con racconti che si incrociano anche fortuitamente, mi piace molto. Mi piace anche nel cinema di Altman, quando ha girato i racconti di Carver. Il film si chiamava America oggi.

A proposito di racconti, la Munro ti piace?
Moltissimo. E’ una delle scrittrici che leggo per imparare. La Munro l’ho studiata. La leggo molto lentamente. Ha una bellissima scrittura. E’ uno dei pochi scrittori che ho riletto.

Chi altro ti piace?
Mi piace molto una scrittrice che si chiama Amy Hempel che è una scrittrice americana vivente, di racconti brevissimi. Poi mi piace moltissimo Mary Robison, un’altra minimalista. E’ difficile scegliere perché veramente la letteratura mi appassiona. Quello dei minimalisti americani è un gruppo che mi piace molto. Carver è stato fondamentale ed è un altro, insieme ad Alice Munro, che rileggo.

Perché ti piace più il racconto del romanzo?
Il racconto è breve, è più sottile… sottrae alla trama e per rinunciare alla trama hai bisogno di immagini simboliche molto forti. Comunichi in modo più poetico rispetto al romanzo lungo che si affida alla trama, alla vicenda. La qualità letteraria è più alta. Essendo più simbolico, la lettura del racconto è più attiva. Subisci meno la narrazione dei fatti. Sei stimolato a creare delle immagini. E’ una cosa a metà tra il romanzo e la poesia, il racconto. Per me la poesia non è abbastanza perché io ho bisogno della narrazione, però al minimo. Ho bisogno che mi lasci libera di creare immagini, di creare trama leggendo. Ho bisogno che la parte narrativa di un libro non mi schiacci. La qualità letteraria dei racconti brevi è più alta perché nella trama ti perdi. Perdi gran parte della tua attenzione e della tua concentrazione per descrivere i fatti. Libri lunghi con qualità letteraria molto alta sono difficili.

Però ce ne sono, vedi Proust.
Ce ne sono ma non sono tanti.

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Gli scrittori spesso hanno delle superstizioni, o delle strane abitudini…
No, io non ho una modalità bizzarra di scrittura. Ho bisogno di concentrazione, di solitudine, di tempo e scrivo meglio se non sono a Roma perché a Roma c’è la vita normale che mi invade con le bollette, il condominio, mentre se sono lontana riesco ad essere più concentrata, astratta. Viginia Woolf la mattina era terrorizzata perché si svegliava ed era in uno stato emotivo perfetto per scrivere. Molte persone appena sveglie si trovano in un momento di lucidità e di creatività ideale. Lei era terrorizzata di incontrare la cameriera perché con una semplice domanda, tipo: “Signora che cosa devo cucinare per il pranzo?” l’avrebbe riportata alla realtà, fatta di pranzo e di cena, alla vita normale e avrebbe perso quella concentrazione. Devi un po’ allontanarti dalla realtà e fuori da Roma, fuori dalla vita normale, è più facile per me. In viaggio scrivo molto.

“Eppure in questa donna c’è un’ostilità che lui non ha mai provato. C’è la necessità di fare la guerra, c’è energia spesa in armamenti, c’è violenza”.
Questa frase mi ha colpito, forse perché gli uomini, che da piccola mi sembravano il sesso forte, ora sembrano quasi rassegnati a un ruolo di secondo piano. E’ così, secondo te sono le donne il sesso forte?
Se intendi per “sesso forte” chi esercita il potere, no sono ancora gli uomini che hanno un esercizio del potere che è maggiore del nostro, soprattutto sociale. A parità di lavoro, guadagniamo di meno, non abbiamo cariche pubbliche molto alte… è ancora recente l’emancipazione della donna. Però se si intende di forza morale, allora sì perché la cultura femminile ci ha spinto a coltivare una forza morale e con questo intendo lo spessore umano di empatia, di capacità di sentimenti, di capire gli altri. Mentre nella cultura maschile è più una forza dominatrice.

Alighiero Boetti
Che ne pensi della letteratura italiana contemporanea?
Non la seguo per cui non la so giudicare.

Che rapporto hai con i social network? Quali e quanto li usi?
Ho solo Facebook e in genere mi innervosisce perché trovo irritante sentire che cosa pensano le persone. Io la penso sempre diversamente. Poi lo trovo socialmente devastante e tutti i luoghi comuni su facebook secondo me sono assolutamente veri: portano solitudine, isolamento, frammentazione del pensiero in piccole frasi, il dover metter “mi piace”. In questo periodo della pubblicazione del libro però mi fa molto piacere essere raggiungibile dai lettori. Sto vivendo la parte bella dei social network che è il fatto che un lettore può scrivermi direttamente che cosa pensa. Questo sta succedendo molto frequentemente ed è molto emozionante. E’ molto gratificante avere rapporti stretti, intimi, con persone sconosciute che però hanno letto il tuo libro quindi poi sono vicinissime. Comunque passo anche lunghi periodi senza Facebook. Poi io sono ad Alicudi almeno tre mesi all’anno e lì non ho internet.

Sei una viaggiatrice?
Sono più di una viaggiatrice, sono proprio nomade. A Roma non ci sto più di quattro mesi all’anno. Non faccio il viaggio breve, ma vado ad abitare nelle altre città. Per esempio adesso a gennaio parto per la Thailandia e ci sto tre mesi, che è il minimo per me. Il viaggio meno di tre mesi mi sconcerta. Quindi più che viaggiatrice sono nomade. Vado e conquisto il territorio. Faccio amicizia col barista sotto casa che quando ci vado non mi deve più chiedere che cosa voglio per colazione, ma già lo sa.

Questo in Thailandia?
In tutto il mondo. Finché io non riesco a ottenere di entrare in un bar e chiedere “il solito”, non sto bene. Poi quando ci riesco torno a Roma. Sono tra nomade e colonialista. Vado e occupo il territorio. Mi piace moltissimo viaggiare, mi sembra di abbattere barriere menatali, aprire la mente, relativizzare il mio mondo.

Ad Alicudi non c’è neanche il barista, non c’è il collegamento a internet quindi ci puoi tornare tranquillamente…
Alicudi è un’esperienza fortissima nella mia vita. Si fa una vita molto faticosa. A casa mia non c’è né elettricità, né acqua, per cui faccio una vita completamente diversa. La contemplazione occupa moltissime ore nella giornata perché c’è il terrazzo. Vedi il mare, il cielo, il panorama. E’ una cosa che a Roma io non faccio mai di stare ferma a guardare qualcosa. Lì lo faccio per ore.

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E quindi vivi seguendo la luce del sole?
Con le candele, con un po’ di lampade a energia solare – una conquista recente – si può leggere la notte. Mi lavo con l’acqua del pozzo che viene riscaldata al sole perché è fredda e non c’è lo scaldabagno. Mi piace la vita arcaica che faccio ad Alicudi. Anche se dopo un po’ ho bisogno di ritornare in città, ma quella disperazione di Margherita (la protagonista) di aver passato la giornata a fare la spesa, andare dal commercialista, pagare le bollette, andare in banca, in lavanderia, io la conosco e mi fa malissimo.

Sì, ma una vita troppo contemplativa non è deprimente?
Non intendevo questo. Io ho una vita super rock and roll. Quando mi dicono: “Com’è che hai scritto dopo tanti anni?” “C’ho avuto da fare. Ho vissuto intanto”.

Che rapporto c’è fra la letteratura e la vita?
Non so rispondere. Ci dovrei

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pensare settimane. Posso chiamarti tra una settimana?

Va bene, aspetto.
Però tra la letteratura e la vita non ci deve essere tutto questo rapporto perché so di gente che non legge niente. Evidentemente si può vivere anche senza leggere niente e vivere felici nonostante non si abbia nessun rapporto con la letteratura. Per quelli che ce l’hanno il rapporto con la letteratura, che sono quindici in tutta Italia suppongo, ci devo pensare una settimana.

Se potessi scegliere tra volare, essere un uomo e diventare invisibile?
Quello che mi piace fare è cambiare, mi piace moltissimo cambiare. Quindi provare, assaggiare, poter cambiare abitudini, stile di vita, paese, per cui se io potessi provare una giornata a vivere da uomo, una a essere invisibile e una a farmi una volata, ecco sarei felice.


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