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"Is there anything you would not do for your family?"
Accostarsi a un universo dal culto tanto radicato come Star Trek passando esclusivamente per i Reboot di J.J. Abrams sembrerà un sacrilegio ai tanti Trekker che da tempo immemore coltivano la passione per le avventure dei personaggi nati dalla serie tv di Gene Roddenberry: solo i profondi conoscitori dell'opera originale saranno effettivamente in grado di individuare ogni omaggio e citazione, infedeltà e tradimento, luminosa trovata o cocente delusione, avendo ben chiaro nella memoria il ricordo di un fenomeno che, per il tempo in cui venne concepito, funzionava già alla perfezione.
Se però l'amore per ciò che è stato rischia in certi casi di trasformarsi nello scudo che pretende di respingere persino i pregi di un buon lavoro di attualizzazione, il cinema è uno strumento dalla fruibilità tanto immediata da aprire le porte delle sale a ogni spettatore senza discriminazioni e pregiudizi, lasciando che anche i neofiti possano iniziare il viaggio e tuffarsi in una galassia sconosciuta: chi scrive è approdato alla visione di Star Trek Into Darkness, sequel del fortunato e riuscito reboot del franchise datato 2009, per motivi poco utili alla causa spaziale e sapendone piuttosto poco della serie madre ( va dove ti porta il bisogno di vedere la performance di un attore potrebbe diventare il mio nuovo motto di vita), ma ciò non toglie che visto con occhi meramente cinematografici e non come il riflesso di un lontano passato l'ultima fatica di J.J. Abrams sia una giostra divertente e mozzafiato dalla quale non vorresti più scendere, capace di mixare senza forzature l'elevatissima domanda di azione con un'attenta e mai scontata crescita dei personaggi regalandoci quello che a buon diritto può definirsi uno dei blockbuster più belli e riusciti della stagione.
Dopo aver dedicato ampio spazio alle origini dei protagonisti e al loro percorso di formazione nel primo capitolo, con Into Darkness la sceneggiatura di Alex Kurtzman, Roberto Orci e Damon Lindelof può permettersi di dare ai suoi protagonisti un arco narrativo più completo e compatto, mettendo costantemente alla prova gli storici e apparentemente immutabili tratti del loro carattere sotto il peso della tragicità degli eventi senza però rinunciare a stemperare il tutto con la giusta e benvenuta dose di ironia.
A segnare i viaggi della Nave Spaziale Enterprise è ancora una volta lo spettro della nostra attualità, pronta a proiettare la sua ombra terrorizzante, imprevedibile e spietata anche su un lontano e avveniristico futuro: la serie classica voleva abbattere le barriere della Guerra Fredda trasformando un equipaggio composto da Americani, Africani, Russi e Cinesi in una grande famiglia dove gli uni potevano ciecamente contare sugli altri( un progetto piuttosto ambizioso per un prodotto andato in onda negli anni 60'), ma ad infestare i nostri incubi oggi non sono più le discriminazioni razziali o gli attriti sotterranei fra USA e URSS bensì la rete invisibile del terrorismo, che come un ragno si muove paziente sotto di noi unendo e tagliando i fili fra i potenti al di là di ogni nostra possibile comprensione.
Se è John Harrison(la cui vera identità non riveliamo per coerenza, per quanto ormai sia stata ampiamente sdoganata) a vestire formalmente i panni di un villain "moderno" che sa come convincere un padre disperato a farsi materiale esecutore di un devastante attentato a Londra e non esita a far schiantare intenzionalmente la sua nave nel centro di San Francisco seminando morte e distruzione( il riferimento all'11 settembre è fin troppo evidente) a sprofondare davvero Into Darkness è piuttosto la flotta stellare stessa, piegata sotto l'ambizioso disegno di quell'Ammiraglio che avrebbe dovuto guidarla e che ne ha invece tradito palesemente gli ideali: interpretato da Peter Weller, Alexander Marcus è in fondo un cattivo ben più minaccioso e inquietante, l'uomo che non si fa scrupoli a risvegliare un'arma di distruzione di massa al solo fine di scatenare una guerra e realizzare le proprie ambizioni militari perchè la pace non era abbastanza appagante.
Ricattato dall'Ammiraglio e messo a servizio della sua grande visione John Harrison insegue una vendetta che non possiamo ne vogliamo, a dispetto della comunque innegabile negatività del personaggio, condannare fino in fondo: la nuova nemesi dell'Enterprise è un superuomo imbattibile per fisico e intelletto, raffinato manipolatore dal linguaggio forbito reso grande da una scrittura che valorizza al meglio le sue motivazioni non rendendo mai netta la linea di demarcazione fra bene e male.
A fare la differenza e a rendere Harrison davvero irresistibile è però soprattutto il fascino e il carisma di Benedict Cumberbatch, appena salito a bordo dell'Enterprise e subito pronto a prendere il completo controllo della scena facendo scomparire chiunque nei paraggi stia tentando di recitare la sua parte: elegante e insidioso come un serpente, l'attore britannico incanta e ammalia costruendo un personaggio dotato di gravitas e determinazione invidiabili ma al tempo stesso incredibilmente umano nel perseguire la sua personale e spietata crociata per salvare quel che resta del suo equipaggio, l'unica famiglia che abbia mai avuto( la sofferta confessione sulle sue origini, affidata fra le lacrime al primo piano della telecamera, sa essere meravigliosamente dolorosa in un modo che non ti aspetti).
Alle prese con l'ingrato compito di coprire una voce inconfondibile, Simone D'Andrea fa effettivamente un buon lavoro nel tentativo di reinterpretare il timbro freddo e uniforme scelto da Benedict Cumberbatch, ma la calda voce da brivido dell'attore già in altri contesti impossibile da dimenticare qui diventa un ingrediente gustoso e irrinunciabile, per amplificare la presenza scenica di quest'uomo in nero dagli occhi di ghiaccio che con poche battute riesce già a far tremare i muri e a neutralizzare ogni tentativo di reazione proveniente dal fronte dei buoni: in questo particolare caso, la lingua originale sarebbe davvero una necessità.
A difendere il bene ci sono sempre Kirk e Spock, entrambi spinti da Harrison ad affrontare i propri demoni e ad imparare la più dolorosa delle lezioni. Per Kirk, lo scontro è un occasione propizia per vedere riflessa nel suo avversario l'immagine, per quanto oscura, di cosa si dovrebbe pretendere da un vero capitano e di quanto sia necessario rischiare e sacrificare per essere degno di sedere sulla poltrona di comando: Chris Pine fa visibilmente uno sforzo notevole per dare al suo Kirk lo spessore necessario ma il temperamento scontante, l'immaturità e l'indole impulsiva e appassionata del suo personaggio si sposano bene con le possibili incertezze della sua performance, lasciandoci il ritratto credibile di un ragazzo giovane e inesperto che ha ancora molto da imparare.
Un percorso inverso deve intraprendere invece lo Spock dell'ottimo Zachary Quinto, chiamato a rinunciare alla sua imperturbabile razionalità per lasciare spazio a un lato umano che pretende sentimenti dall'impatto devastante come il dolore, la vendetta e soprattutto l'amore e l'amicizia.
Il resto dell'equipaggio guadagna in simpatia e porta a termine la sua missione al meglio soprattutto grazie allo Scotty del sempre divertente Simon Pegg, al delizioso Chekov di Anton Yelchin che possiamo anche ufficialmente dichiarare la nuova Mascotte dell'Enterprise e alla dolce Uhura di Zoe Saldana, mentre un plot device non del tutto riuscito è la Carol Marcus di Alice Eve, che probabilmente non mancherà di avere maggiore spazio in un probabile sequel ma al momento resta più che altro legata ad una scena abbastanza gratuita e non particolarmente utile: i fan della serie storica potranno comunque gioire per il breve ma efficace cameo di Leonard Nimoy, che diventa per l'occasione il deus ex machina essenziale per chiudere definitivamente i conti col nemico.
Star Trek into Darkness non avrebbe però funzionato allo stesso modo senza J.J. Abrams dietro la macchina da presa: c'è qualcosa di profondamente Spielberghiano nel modo di raccontare storie del regista di Super 8, espresso con costanza dall'amore per una narrazione che non vuole cedere terreno e che lanciata in corsa senza stacchi cerca ancora di accendere stupore e meraviglia, negli occhi di quel bambino sognatore che dentro di noi non si è mai addormentato e che è impaziente di vivere una nuova avventura; mentre la piccola navicella con a bordo Kirk, Spock e Uruha si insinua in fretta e furia fra gli stretti passaggi del territorio dei Klingon, è difficile non tornare con la memoria a quando insieme al caro Professor Jones e ai suoi amici abbiamo rischiato il tutto per tutto per uscire dalle profonde gallerie della miniera di Shankara, a bordo di un carrello sgangherato senza freni e inseguiti da nemici feroci e spietati.
Steven Spielberg ha al suo fianco il fedelissimo John Williams, ma per costruire la sua magia Abrams ha comunque trovato in Michael Giacchino un alleato di ferro: la colonna sonora dà vita al frenetico viaggio dell'Enterprise con orchestrazioni a dir poco scoppiettanti( The Kronos Wartet e San Fran Hustle le migliori), non dimenticando l'eredità di un primo capitolo che porta con sé il vivace crescendo del tema portante di Star Trek così come le sue sonorità più indulgenti e malinconiche; è però con le vertiginose scale del tema di John Harrison, inquietanti volubili e solenni quanto il personaggio di cui raccolgono intensi sguardi e lunghi silenzi, che il lavoro di Giacchino per Into Darkness raggiunge vette straordinarie.
La Guerra fra Trekker e non è sempre aperta, ma al di là dei possibili reclami dei fan più esigenti o del poco interesse per la materia classica da parte degli infedeli, J.J. Abrams ha senza dubbio confezionato per gli spettatori l'unico film in grado di scavalcare le fazioni e proclamare una tregua: un grande spettacolo che funziona a dovere e riesce a farci emozionare, commuovere e divertire come bambini, pronti ad arrivare dove nessuno è mai giunto prima.
Ps: 3D o non 3D- non ho visto il film in 3D, quindi non posso esprimermi sulla sua possibile rilevanza: le mirabolanti sequenze spaziali e gli scenari distruttivi dell'inseguimento finale di San Francisco avrebbero probabilmente tratto giovamento dalla stereoscopia, ma anche senza il ritmo del film non ne ha comunque sofferto. Non potere accedere a una visione in Imax resterà invece per sempre fonte di magone. Les Flares yes or no? Con nostra immensa gioia l'eccessivo numero di Lens Flare presenti nel primo episodio, talmente tante da quasi sporcare e compromettere la resa dell'immagine, è finalmente calato. Well done J.J. The Benedict Cumberbatch Situation- ok, ormai lo sapete e lo sanno pure i Triboli che qui si è approdati a Trek perchè si vuole benissimo ( ma giusto un tantino) a quel grandissimo attore che è Benedict Cumberbatch. Ciò non toglie che io sia stata lietissima di smentire i miei pregiudiziacci su Star Trek e di scoprire che i film di Abrams( tranquilli, ho visto anche il primo che credete) funzionano alla grande. Comunque si, confesso, ho strilolato il braccio della mia compagna di visione diverse volte prima di abbracciare la poltrona e per circa due ore sono tornata a essere una ragazzina undicenne felice sospirante e incapace di stare ferma 5 minuti (ma non preoccupatevi, dato che in sala eravamo in 4 la cosa non ha creato problemi di ordine pubblico). This is all your doing Sir, Thank you. The Empty Theater: come dicevo, alla seconda settimana di programmazione in sala eravamo giusto in 4. Lo so che qui la fantascienza e Star Trek in particolare non tirano molto, ma poi mi dovete spiegare perchè Nave Spaziale per Nave Spaziale avete preferito quella della famiglia Smith (alias, After Earth). Tristezza a palate. The Star Wars Front: dati i risultati registrati a questo giro, mi sembra che le premesse per il famigerato Episodio VII di Star Wars siano positive. Ti sei preso una gran bella responsability J.J., Good Luck.
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