J.J. Abrams
Già sapevamo che Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della Forza sarebbe stato appassionante, se non altro perché J.J. Abrams è molto bravo. Quel che temevamo è, però, che ne uscisse fuori un film revisionista, come Star Trek. Ebbene, Il risveglio della Forza è un magnifico film assolutamente ortodosso, più vicino alla trilogia originaria degli ultimi tre (è stato un colpo da maestro riportare Lawrence Kasdan alla sceneggiatura). La trilogia classica di Star Wars (1977-1983) era il racconto di un giovane; il suo modo è quello della primavera. Vedere una bella principessa, trovare una spada, uccidere il drago (o la Morte Nera)... Non per nulla Lucas vi immetteva quel medievismo romantico che nella cultura popolare americana era stato riscritto dai romanzi di Edgar Rice Burroughs (John Carter di Marte) e poi dai fumetti di Flash Gordon di Alex Raymond (nonché dalla loro trasposizione nei serial con Buster Crabbe). Lucas celebrava la space opera intrecciando genialmente discorso e metadiscorso (dal realismo ambientale del deserto di Tatooine al citazionismo ironico della taverna di Mos Eisley, per citare due luoghi fisici); e per questa via riportava nel cinema fantascientifico l’elemento mitico, in opposizione a quella fantascienza “adulta” ma spesso un po’ fredda che il cinema degli anni ’60 aveva elaborato (anche Lucas stesso: L’uomo che fuggì dal futuro). Passano tre lustri. Bella seppur inferiore alla prima, la seconda trilogia (1999-2005) è il racconto di un vecchio; e il suo modo è quello dell’autunno. Gli eroi allevano nel loro seno il loro futuro distruttore; la difesa della repubblica conduce alla sua fine. E’ significativo che i tre film dedichino largo spazio all’ambiguità della politica, tema totalmente assente nella prima trilogia. Il risveglio della Forza è un ritorno della saga allo spirito della primavera. E’ Lucas senza Lucas: la sua feconda contraddizione è di essere un parricidio attraverso il quale il padre rivive (nota che in una saga quale Star Wars, così profondamente intessuta del tema della rivolta contro il padre, ciò appare singolarmente appropriato). Se George Lucas ha ceduto i diritti e abbandonato i suoi personaggi, Abrams e Kasdan (con Bryan Burk) hanno elaborato una sceneggiatura profondamente lucassiana, nel senso che si abbevera allo spirito della prima trilogia. Torna in primo piano il tema vitalistico della rivolta del solitario; la Forza si riveglia, fin dal titolo, scorrendo nelle vene di chi ignora di possederla. Il film ha la struttura di un viaggio iniziatico. Riprende con forza quella corrente wagneriana – il tema del tradimento e della ribellione del sangue - che scorreva sotterranea in Lucas: tutto il ciclo Star Wars è un Anello del Nibelungo di padri contro figli e di figli contro padri, materiali o putativi (e di fratelli innamorati delle sorelle, se pensiamo al rapporto fra il primo e il secondo film). Rivestendo il film di splendide immagini fin dall’inizio (che geniale applicazione dell’apertura classica è che il gigantesco incrociatore spaziale nel suo passaggio eclissi completamente il pianeta ai nostri occhi!), Abrams assume lo schemadell’originario Guerre stellari del 1977 (il droide contenente un messaggio sul pianeta desertico, la potenza del male provvista di un’arma apocalittica, l’anti-Jedi mascherato…) per svilupparlo in un gioco di analogie e variazioni, onde il film vi si avvicina e se ne distanzia come se ci danzasse intorno. Il citazionismo è praticamente tutto interno alla saga, e ciò è dovuto al fatto che Lucas nel 1977 si riferiva a un universo fantastico esterno al suo racconto mentre oggi gli autori si muovono in uno starwarsversegià compiuto. Tuttavia, in un riuscitissimo personaggio digitale come Maz Kanata mi sembra risuonare l’eco di Thelma Ritter o Linda Hunt, caratteriste di donne anziane, sbrigative e asciuttamente materne. Persino l’umorismo semplice, allegro, giovanile che attraversa il film (Han Solo: “Ora si scappa – gli abbracci dopo!”) si riallaccia alla trilogia classica più che alla seconda – dove non è che l’umorismo mancasse, ma aveva un che di meno diretto, a tratti quasi meccanico. La forza dell’aggancio mitico non impedisce una torsione in senso realistico; un dettaglio interessante per esempio è la traccia insanguinata lasciata da un compagno morente (un amante?) sul casco del futuro ribelle Finn (nota che benché la morte sia ben presente la visione del sangue è rara in Star Wars). Dettaglio affascinante, il deserto del pianeta Jakku è costellato dei giganteschi relitti della guerra del racconto precedente, sparsi qua e là e saccheggiati dai mercanti di rottami. Nella seconda trilogia, noi spettatori eravamo nella posizione delle tre streghe del Macbeth: eravamo in grado di scrutare nei semi del tempo e dire quale grano germoglierà e quale no; anche da questa conoscenza veniva il carattere malinconico della storia. Ora, come nella trilogia originaria, siamo in preda all’ignoranza entusiasmante del futuro; possiamo fare ipotesi, ma siamo indifesi di fronte alle sorprese (e ve n’è un paio ne Il risveglio della Forza da far cascare la mascella come al gentiluomo morto de La sposa cadavere; se non che poi vediamo che rientrano perfettamente nella mitologia del ciclo). L’elemento agrodolce della riscoperta di un passato perduto è forte nel film. Se nel Guerre stellari del 1977, la Forza era considerata da molti un mito superstizioso (con le eccezioni contrapposte di Obi-wan Kenobi e Darth Vader), ne Il risveglio della Forza le stesse figure chiave della saga sfumano nella leggenda (Rey su Luke Skywalker: “Credevo fosse un mito”). Questo naturalmente non è privo di unaddentellato metacinematografico: i personaggi del mito considerano mitici i proprio antecessori (anche se è solo per poi vederseli comparire sotto gli occhi). Ciò rinforza la nostra percezione di assistere contemporaneamente a una doppia azione, l’ampliamento di un mito e la sua replica cerimoniale.
Magazine Cinema
Potrebbero interessarti anche :