In tanti preferiscono somministrarsi una (piccola) scossa elettrica piuttosto che trascorrere tra i sei e i quindici minuti da soli, seduti a pensare. Lo direbbero le ricerche di Timothy Wilson e colleghi, della University of Virginia, negli Stati Uniti, pubblicate qualche giorno fa.
La fatica di pensare
Al di là della scelta della scossa elettrica su cui tornerò tra un po’, molte delle persone che hanno partecipato a questi studi hanno trovato sgradevole il compito di stare a pensare senza fare nient’altro: senza leggere, ascoltare musica, navigare su internet ecc.
A quasi metà dei partecipanti non è piaciuto rimanersene seduti in silenzio, in compagnia dei propri pensieri. E questa sensazione non è cambiata quando ai partecipanti è stato consigliato di scegliere prima dell’esperimento un argomento su cui pensare (ad esempio, le vacanze che avrebbero fatto) né quando l’esperimento è stato condotto in un ambiente più confortevole di un laboratorio, cioè a casa loro.
In una situazione priva di stimoli esterni, per molti – studenti e lavoratori, giovani e meno giovani, uomini e donne – pensare è stata un’attività fastidiosa e noiosa e mantenere la concentrazione è stato faticoso.
Scossa!
Pensare e basta si è rivelato ancora più difficile quando i partecipanti avevano davvero un’alternativa, anche se questa alternativa al pensare era somministrarsi una leggera scossa elettrica. In questo caso la maggior parte degli uomini e un quarto delle donne hanno preferito darsi almeno una scossa elettrica.
Dicono Wilson e colleghi, i partecipanti che hanno trovato piacevole il compito di pensare hanno una buona capacità di sognare a occhi aperti e riescono a mantenere l’attenzione, aspetti legati al controllo della propria mente e dei propri pensieri. Diversamente, se non sono in grado di controllare il corso dei pensieri, le persone preferirebbero agire anziché pensare, anche quando agire significa fare qualcosa di sgradevole che normalmente si eviterebbe, ad esempio somministrarsi una scossa elettrica.
Nient’altro?
Questa serie di studi si presta ad altre considerazioni ancora. Restando nella scia del controllo del corso dei propri pensieri, possiamo forse ipotizzare che la fatica e la sgradevolezza del pensare siano legate alla difficoltà a entrare in contatto con se stessi, a coltivare quell’attitudine umana a guardarsi dentro che già i filosofi chiamavano introspezione. Se guardarsi dentro genera ansia, allora starsene un quarto d’ora da soli in una stanza a pensare può essere un’esperienza unicamente fastidiosa. E questo non sembrerebbe connesso al costante approvvigionamento di informazioni e stimoli dato dall’uso di social network e simili, dato che una identica difficoltà nel pensare l’hanno avuta anche persone con più di settant’anni molto probabilmente non abituate a una quotidianità con questo tipo di tecnologia.
La scelta del somministrarsi scosse elettriche credo vada collocata in un altro contesto di ragionamento. Al di là dello sgomento iniziale, queste ricerche mi pare infatti ci ricordino quanto l’essere umano sia curioso. Se siamo qui a parlarne è proprio grazie alle generazioni di uomini e donne che ci hanno preceduto e che hanno sentito il desiderio di conoscere il mondo, di esplorarlo e di raccontare ad agli cosa avevano visto. Da questo punto di vista, anche somministrarsi delle lievi scosse elettriche può suscitare curiosità e desiderio di esperienza, di vedere com’è.
Compiti per casa
- Sceglietevi una stanza in cui nessuno vi disturberà. Spegnete il cellulare e il computer. Azionate un timer che suoni dopo un quarto d’ora. Durante questo quarto d’ora dovete restare seduti e pensare a quello che volete. Non potete scrivere, leggere, passeggiare per la stanza, cantare, ascoltare musica, parlare ad alta voce. Potete solo pensare, seduti in silenzio.
- Sono passati i quindici minuti. Siete riusciti a pensare? Vi siete annoiati? O vi siete rilassati? Vi è piaciuto stare a pensare? Cosa ve ne pare ora dei partecipanti che si sono dati la scossa?
Per approfondire
Wilson TD et al. (2014). Just Think: The Challenges of the Disengaged Mind, Science 435 (6192), 75-77.
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