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Stasera alle 21,15 su Rai Movie Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar

Creato il 28 aprile 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre) è un film del 1999 scritto e diretto da Pedro Almodóvar. Presentato in concorso al 52º Festival di Cannes, ha vinto il premio per la miglior regia. Il film è uscito nei cinema italiani il 17 settembre 1999. Le riprese si sono svolte dal 5 ottobre 1998 al 28 novembre dello stesso anno.

Manuela vive sola con il figlio Esteban. I due sono molto uniti, li dividono solo diciotto anni,potrebbero essere fratello e sorella. La madre lavora all’ospedale Ramon y Cajal come coordinatrice dell’organizzazione Nazionale dei Trapianti. Per festeggiare il suo diaciassettesimo compleanno, Manuela ed Esteban vanno a teatro a vedere Un tramchiamato desiderio. Madre e figlio condividono lammirazione per Huma Rojo, lattrice cheinterpreta il personaggio di Blanche Dubois. Venti anni prima, con un gruppo amatoriale del suo paese Manuela aveva rappresentato lo stesso spettacolo con il padre di Esteban, ed il ricordo la fa irrigidire. Al termine dello spettacolo le attrici Huma Rojo e Nina Cruz, escono velocemente dal teatro e si allontanano in taxi. Esteban, desideroso di farsi rilasciare un autografo, cerca di raggiungerle, correndo dietro al taxi. Nel far ciò non si accorge di un auto che, giungendo a forte velocità lo investe. Sua madre assiste impotentealla scena e corre urlando verso il figlio steso inerme sull’asfalto.

Quello che emerge dal film è lo spessore umano dei personaggi principali, che sono tutte donne. C’è il personaggio principale di Manuela che affronta con coraggio la perdita del figlio e, come per soddisfare un suo ultimo desiderio, va alla ricerca del padre. La figura di Rosa, dipinta come un’anima candida, che ha immolato la sua intera vita per il prossimo, fino a quando non s’innamora di Lola che l’abbandonerà come ha fatto con Manuela. Infine Agrado. La figura di Agrado assume vita propria sia come icona del vero e della sua ricerca, sia come simbolo di un “godimento” solidale, finalizzato principalmente all’annientamento del dolore, insito nella vita di ognuno. In un suo monologo dichiara che il suo nome d’arte racchiudeva in sé il suo più grande desiderio: quello di alleviare le sofferenze altrui, ovvero rendere la vita d’ogni persona con cui entrava in contatto, più “gradevole” (da qui il nome Agrado). Durante il film, si respira un clima insolito e, nel contempo, rasserenante. Un’atmosfera inusuale, in cui ogni eccesso (o evento che nella vita comune, verrebbe interpretato come tale) è oggetto di livellamento e armonizzazione. Un “modus vivendi” in cui i personaggi principali accettano ogni avvenimento più tragico con la più ovvia naturalezza e spontaneità. La donna (o le donne di questo film) è raffigurata come un essere saggio e compiuto che è ben consapevole del senso e della portata vera della vita. Tutte queste donne piangono, soffrono e si disperano; ma nello stesso tempo ridono, scherzano e continuano a sognare. Comprendono tutto e tutto perdonano. Come fa Agrado, all’inizio del film, quando viene assalita da un suo cliente. Prima si difende, graffiandolo con le unghie e insultandolo per poi, a pericolo scampato, indicargli una sua amica per farlo medicare. Queste donne conoscono la sostanza della vera umanità e della tolleranza. Uno stile di vita superiore alla norma, che ravvisa il risentimento e la sofferenza, ma che impedisce a quest’ultimi di incancrenirsi e trasformarsi in rancore e odio. Sono donne umili che, alla fine del loro percorso evolutivo, non giudicano e non condannano. Sono donne che amano la vita e che sono disposte solamente a vivere. E vivere riesce loro nel migliore dei modi: lo fanno senza zavorre, con la stessa leggerezza e la stessa intensità dei fuochi d’artificio.

Ecco il trailer:


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