- Anno: 1956
- Durata: 119'
- Genere: Western
- Nazionalita: USA
- Regia: John Ford
Sentieri selvaggi (The Searchers) è un film western del 1956 diretto da John Ford. Nel 1989 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 1998 l’American Film Institute l’ha inserito al novantaseiesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è salito al dodicesimo posto.
Ethan Edwards, avendo fatto ritorno al ranch del fratello Aaron nel Texas, è accolto festosamente dalla famiglia. Un giorno arriva al ranch una squadra di coloni, guidati dal Rev. Sam Clayton, che danno la caccia agli indiani razziatori di bestiame. Lasciato a casa il fratello, Ethan parte con gli altri: è con loro anche Martin Pawley, un mezzo sangue allevato in casa Edwards. Ethan e Martin si rendono conto ben presto che i Comanches hanno rubato il bestiame per allontanare i coloni dalle loro case; tornati al ranch trovano che la famiglia è stata sterminata dai pellirosse, guidati dal loro capo Scar, mentre le figlie Debbie e Lucy sono state rapite
Universalmente riconosciuto, oggi, come uno dei capolavori di John Ford, se non uno dei massimi capolavori del genere western in assoluto, Sentieri selvaggi all’uscita nei cinema suscitò reazioni molto contrastanti, ed ebbe fra i suoi detrattori proprio alcuni dei più affezionati fan del vecchio maestro (come Lindsay Anderson, Sam Peckinpah, o Jean-Luc Godard). Di certo, caratteristiche del film come l’estrema dilatazione temporale degli avvenimenti (con buchi fra una scena e la seguente anche di svariati anni), la ricchezza della trama, la complessità psicologica del protagonista, e l’ambiguità ideologica (che presta il fianco ad accuse di razzismo), lo rendono un film di non immediata comprensione e tale da richiedere visioni plurime per poter essere apprezzato pienamente in tutte le sue sfumature. Questo vale in particolare per la relazione tra Ethan e Martha. Oggi riconosciuta dai più, fu però rappresentata in maniera così sottile che pochi degli spettatori dell’epoca riuscirono a coglierla.Durante tutto il film, la porta rappresenta il simbolo della separazione, spesso fra il mondo civile dentro la fattoria e il mondo selvaggio che sta al di fuori. Celebre la scena finale, che vede Ethan allontanarsi da solo nel deserto, mentre la porta del ranch si chiude alle sue spalle: da notare che nella prima scena del film la solita porta si apre e in lontananza si vede un cavaliere arrivare, Ethan appunto. Memorabile scuola di cinema, la porta si apre all’inizio e si chiude alla fine.
Il film è basato sull’omonimo romanzo di Alan Le May, che condusse personalmente ricerche su 64 casi di bambini rapiti dagli indiani. Si ritiene che il personaggio di Debbie sia ispirato a quello di Cynthia Ann Parker, una bambina di nove anni rapita dai Comanche che assaltarono la sua casa a Fort Parker nel Texas. Visse 24 anni con i Comanche, sposò un capo ed ebbe tre figli, uno dei quali fu il famoso capo Quanah Parker. Suo zio James W. Parker spese gran parte della sua vita e della sua fortuna per ritrovarla, come Ethan nel film. Venne infine liberata, contro la sua volontà, in un attacco del tutto simile a quello descritto nel film.