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Stasera alle 21,35 su Rai Storia Pasolini, un delitto italiano di Marco Tullio Giordana

Creato il 28 febbraio 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
Pasolini, un delitto italianoplay video
  • Anno: 1995
  • Durata: 98'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Marco Tullio Giordana

Pasolini, un delitto italiano è un film del 1995 diretto da Marco Tullio Giordana. Il film, che fu presentato in concorso alla 52ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ricostruisce le vicende del processo contro Pino Pelosi, accusato dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini.

Per la parte del protagonista Giuseppe Pelosi fu scelto Carlo De Filippi (Roma, 2 novembre 1973 – Roma, 25 novembre 1996), più noto come Carletto, che aveva già lavorato come comparsa in Mery per sempre di Marco Risi (1989). Nel 1996, un anno dopo l’uscita del film di Giordana, morì ai giardini pubblici per overdose.

Nella notte fra il 1º novembre ed il 2 novembre 1975 un ragazzo viene fermato ed arrestato dai Carabinieri di Ostia a bordo di un’Alfa Romeo. Si tratta del giovane pischello romano Giuseppe Pelosi, detto “Pino la Rana”, accusato di aver ucciso il regista, scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini, visto che l’auto su cui era stato trovato era quella della nota celebrità. Tutta l’Italia piange la scomparsa di Pasolini, inclusi i suoi amici Ninetto Davoli, lo scrittore Alberto Moravia e il regista Sergio Citti, che dichiarano la caduta volontaria di una stella della poesia. In effetti pare così, ma immediatamente sul caso, dopo il ritrovamento del corpo martoriato e la sua autopsia, si verificano degli scontri tra fascisti e comunisti e soprattutto si va alla ricerca cieca di ignoti “bombaroli”, ritenuti responsabili delle stragi di Milano, Bologna e Brescia durante gli anni di piombo. La cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, viene convocata in procura a testimoniare sulla morte di Pier Paolo e soprattutto a fornire informazioni necessarie affinché le ricerche riguardo alla ricostruzione dei fatti della notte del 2 novembre continuino ad essere perseguite. Nel frattempo Pino Pelosi rilascia una dichiarazione: egli afferma di essersi trovato con Pasolini durante quella notte nell’auto del regista e di avere avuto con lui un rapporto di sesso orale, dato che l’omosessualità di Pasolini era assai conosciuta nella zona e anche condannata. Successivamente, stando alle dichiarazioni di Pelosi, egli esce dall’auto per prendere un po’ d’aria e guardarsi attorno, venendo raggiunto da Pasolini, fremente dal desiderio di un rapporto sessuale. Pelosi si ribella, al che Pasolini lo colpisce con un bastone, continuando a percuotere il giovane, che ad un certo punto reagisce e risponde colpendolo con una trave di legno molto più robusta del bastone di Pier Paolo, rompendogli la testa e delle costole. Successivamente Pelosi fugge a bordo dell’auto e, senza volerlo, uccide definitivamente Pasolini mettendolo sotto. Ma prima di salire in macchina, afferma Pelosi, lui si era lavato le mani insanguinate ad una fontanella: ciò si dimostrerà falso, perché al momento della cattura non aveva le mani bagnate e nemmeno il volante dell’auto presentava né tracce di sangue né di acqua. Un altro elemento caratterizzante sorge quando gli inquirenti della procura recuperano l’auto di Pasolini: un golfino era presente dentro la vettura, e non apparteneva né al poeta né al ragazzo. Ma le indagini, a causa dell’incapacità dei membri della procura o per loro legittima volontà, non vengono svolte correttamente, e le prove del sangue sul tettuccio dell’Alfa Romeo vengono cancellate dalla pioggia, poiché l’auto è stata lasciata allo scoperto durante un acquazzone. Nel frattempo altri membri della procura ipotizzano che dietro al delitto di Pasolini vi fosse una battaglia tra “fascistelli bombaroli” e specialmente se qualcuno degli amici di Pino Pelosi vi fosse coinvolto. La spia “Trepalle” viene incaricata di trovare le prove, ma l’uomo riesce solo ad avere i nominativi di alcuni ragazzi che avrebbero potuto essere coinvolti del delitto di Pasolini: Braciola, Calabrone e Johnny, detto “lo Zingaro”, tutti giovanotti provenienti dalle borgate romane. Gli abitanti poveri del lido di Ostia, ma anche altri conoscenti di Pasolini, non vogliono parlare e rilasciare dichiarazioni o per paura o per il fatto che ritengono l’omosessualità qualcosa di atrocemente abominevole e assolutamente condannabile. Infatti secondo molti di loro quella notte Pasolini “se la cercò”, volendo fare l’amore con un minorenne. Nei giorni a seguire, dato che tutta fa pensare che in sede processuale si possa assolvere l’imputato Pino Pelosi con la scusa che sia un minorenne e per di più “immaturo”, un ispettore decide di rifar svolgere un’ulteriore autopsia sul corpo di Pasolini e specialmente sulla sua auto. In questo modo si scopriranno nuovi particolari e l’ispettore, smentendo le false notizie divulgate nel telegiornale e nei quotidiani, giunge alla conclusione che le condizioni del cadavere erano talmente gravi da far ritenere che Pino Pelosi quella notte possa aver agito in compagnia di ignoti, e ciò potrebbe essere provato dal golfino ritrovato nel sedile posteriore dell’auto di Pasolini. Tuttavia vi sono anche altre difficoltà nel dichiarare la falsità delle prime ipotesi sulla morte di Pasolini, anche perché le autorità locali dichiarano che Pelosi – uccidendo Pasolini – volle rappresentare la ribellione del giovane “proletario” contro un regime falsamente liberale, come le idee di Pasolini. Facendo ciò la gente si convince che Pasolini fu la causa stessa della sua morte, abusando con violenza del corpo di un giovane. Inoltre Pino Pelosi, sotto consiglio di un suo amico carcerato, cambia avvocato, il quale si dedica anima e corpo a provare la sua innocenza, interrompendo in continuazione le domande del legale della famiglia Pasolini e facendo apparire Pino Pelosi un perfetto immaturo. Ha luogo il processo, con il Dottor Carlo Moro come Presidente del Tribunale: Pelosi, totalmente inetto e inesperto (o che tale cerca di apparire, consigliato dal suo avvocato), nega di aver agito con ignoti e di essersi comportato violentemente durante la notte del 2 novembre 1975 per difendersi dalla violenza del poeta. Intanto Trepalle ipotizza che potrebbero essere stati Braciola, Johnny e altri amici di Pino ad accompagnarlo nella notte del 2 novembre e così, con una spia, riesce a farli arrestare. Infatti Braciola, stoltamente, si pavoneggia dicendo di aver ucciso Pasolini, credendo la spia uno spacciatore; tuttavia, una volta che i ragazzi sono stati tradotti in commissariato, negano tutto, giustificandosi in maniera infantile e rendendo impossibile alla polizia la continuazione delle indagini per mancanza di prove. Nel frattempo vengono stampate le foto della nuova autopsia del cadavere di Pasolini, dato che le originali erano state manomesse o fatte sparire. L’ispettore è convinto fermamente che Pasolini sia stato ucciso da più persone e non solo da Pelosi, così, durante la parte finale del processo, le mostra alla Corte del Tribunale dei Minori. La vicenda della notte del 2 novembre quindi, stando anche ad alcuni particolari delle dichiarazioni di Pelosi, ritorte contro di lui, viene completamente ricostruita. Pasolini, dopo aver mangiato con l’ospite Pino Pelosi in una trattoria, lo porta in auto sul lido di Ostia. Lì Pasolini si leva gli occhiali e i due hanno un rapporto orale; successivamente Pasolini non si rimette gli occhiali. Nella prima versione Pelosi non spiega il perché, ma nella nuova ricostruzione si ipotizza che Pasolini fu tirato a forza fuori dall’auto e picchiato a sangue, mentre Pelosi guardava la scena senza sporcarsi le mani. Pasolini cercò di fuggire, tamponandosi la ferita alla testa con la camicia, ma venne raggiunto e massacrato dagli amici di Pino con la tavoletta di legno, ritrovata poi sul posto. Tuttavia lo scrittore non era ancora morto e i compagni fuggirono in auto: anziché mettere sotto il corpo del regista accidentalmente, durante la manovra per rimettersi in strada, Pelosi e i compagni lo investirono volontariamente, provocandogli un arresto cardiaco, e la volontarietà dell’atto era dimostrata dal fatto che lo spazio per fare manovra sulla spiaggia fosse enorme. Le tracce di sangue sul tettuccio dell’Alfa Romeo probabilmente erano state lasciate da un collega di Pelosi, visto che lui aveva le mani pulite, benché avesse schizzi di sangue di Pasolini sulla camicia e i pantaloni. Riguardo al fatto che Pino Pelosi aveva una ferita sulla fronte, questa non venne inflitta da colpi o da bastoni – come lui disse attribuendoli alla vittima – ma perché durante la fuga, inseguito dalla polizia, Pelosi fece una brusca frenata e sbatté la testa contro il parasole, lasciando tracce del suo sangue. La famiglia di Pasolini rinuncia alla richiesta di un risarcimento, e alla fine Pino Pelosi, la mattina del 26 aprile 1976, viene condannato in primo grado per “omicidio volontario in concorso con ignoti” a scontare la pena di 9 anni di carcere. Poco tempo dopo l’avvocato della famiglia Pasolini si rende conto che la Procura Generale ha impedito la riapertura del caso per verificare più accuratamente la presenza e l’identità di tali ignoti durante la notte del 2 novembre 1975, dato che i sospettati erano stati rilasciati per carattere evasivo e mancanza di prove. Tuttavia il permesso all’avvocato di intervenire sul caso viene revocato e tutti i documenti della vicenda, inclusi oggetti e apparecchi ritrovati sul luogo del delitto di Pasolini, vengono chiusi in una scatola e archiviati per sempre.

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