Viva l’Italia, Rai 1, ore 21,20.Viva l’Italia, regia di Massimiliano Bruno. Con Raoul Bova, Alessandro Gassmann, Michele Placido, Ambra Angiolini, Rocco Papaleo, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli.
Un onorevole dopo un ictus non riesce più a mentire e dice solo la verità, nient’altro che la verità. Nessuno viene risparmiato, non i colleghi magna-magna del suo partito, non la moglie e i tre figli. Sembra l’inizio di una farsa scatenata. Peccato che poi Viva l’Italia, che pure riesce a far ridere, ecceda in denuncia sociale, ambisca allo smascheramento della casta e dei suoi vizi, esageri con le prediche. E qua e là si ha l’impressione di assistere a un comizio anti-politica. Voto 5
Un onorevole maneggione e faccendiere di un partito chiamato Viva l’Italia (ci siamo capiti, giusto?), e oltre che faccendiere pure puttaniere, viene colpito da ictus durante un consesso carnale con una escort. Se la cava, ma rimane menomato in chissà quale parte del cervello, con la conseguenza che non riuscirà più a mentire, perderà ogni freno inibitore, dirà, sotto la spinta di un incontrollabile impulso, solo la verità e nient’altro che la verità. Un espediente drammaturgico non proprio di nuovo conio, che abbiamo visto tante volte, e di volta in volta la causa della costrizione, della coazione alla verità era la vecchiaia, la follia, la naïvité, qualche strana sostanza, qualche strano esperimento. Tra tutti mi viene in mente il remoto La veritàaaa, con e di Cesare Zavattini e con un Benigni agli albori. Ora, l’idea è brillante quanto inverosimile, perfetta quando si dia il la a una farsa, a un racconto surreale, a una ballata grottesca, molto meno funzionante quando faccia da innesco a una narrazione strettamente realista. È questo il caso di Viva l’Italia, che ha la pretesa addirittura di scoperchiare le peggiori pentole del paese mostrandoci e stigmatizzando, pur se in chiave di commedia, le aberrazioni di una classe politica corrotta e incapace.
Scusate, ma come facciamo a credere a un Michele Placido – è lui l’interprete dell’onorevole urlatore di verità – che nel dopo ictus si muove e parla e agisce senza il minimo impaccio e problema e ha solo quella strana menomazione? Un minimo di coerenza, suvvia. Questo è il primo e più grave limite di un film che, se qua e là azzecca spunti comici e battute, resta impiombato dalla pretestuosità e inattendibilità della trovata su cui è costruito. A fare le spese del politico già smargniffone e ora giocoforza sincero sono tutti quelli che gli stanno intorno: i colleghi di partito che lui sbugiarda e sputtana, la moglie e i tre figli, tutti grandi (anche troppo per avere un padre come Placido) e ognuno portatore di una tipologia antropologico-sociale dell’italianità di oggi. Il figlio maggiore (Alessandro Gassman) è un pupone mai cresciuto che ha fatto carriera in un’orrida azienda di catering per ospedali ecc. solo grazie alla spinta e alla protezione di papà. La figlia (Ambra Angiolini) è un’attrice cagna di soap che le scritture le trova perché raccomandata. Infine il buono e il bravo di famiglia, il medico Raoul Bova, eroe del quotidiano, uno che fa miracoli per tenere in piedi il disastrato e fatiscente reparto ospedaliero in cui lavora, ed è il solo del tre ad essersi sempre ribellato a quel genitore ingombrante. Massimiliano Bruno, che in Nessuno mi può giudicare aveva azzeccato una buona commedia grazie anche all’interpretazione di una travolgente Paola Cortellesi, stavolta alza il tiro, moltiplica le ambizioni e, come già rivela il titolo, punta addirittura all’affresco della peggiore Italia di oggi, usando la comicità e la satira come grimaldello per penetrare negli antri più marci e oscuri della vita nazionale. La commedia all’italiana dei Risi, Monicelli, Scola la sua bella critica socile l’ha sempre fatta, anche spietatamente. Ma qui si va ben oltre, si sfiora il cinema militante nella denuncia di fatti e misfatti. Purtroppo Viva l’Italia non si accontenta di farci ridere e di castigare qualche malcostume, no, vuol fare la predica, pretende di sensibilizzarci e aprirci gli occhi, sembra sposare senza il minimo filtro e la minima cautela il più estremo furore antipolitica e anticasta che sta squassando oggi il paese. Siamo nella merda, sembra dirci, e ve lo faccio vedere e vi spiego pure il perché. Contrappone il marcio delle élite all’innocenza del popolo, l’Italia dei magna-magna a quella pulita e incorrotta della gente qualsiasi. Con effetti di demagogia e populismo che finiscono col vanificare anche quel che di buono qua e là trapela. Però Bruno la sua macchina di comicità sa come costruirla e farla funzionare, non si risparmia, non è avaro nell’inventare e nell’offrirci occasioni di risata e battute. Sa anche imprimere un ritmo che è almeno doppio di quello di una normale altra commedia italiana, non annoia, sa quando è il momento di staccare e di non tirarla troppo per le lunghe. Insomma, ci sa fare, ha mestiere. Dove inciampa è nella strabordante carica denunciataria-politica. Dico: era proprio necessario ammannirci un tizio che ogni tanto rispunta fuori a leggerci passi della Costituzione? E la scena degli scontri di piazza tra dimostranti di non ricordo più quale causa e polizia? E il teatro occupato (forse il Valle)? Va bene mettere il dito nelle molte piaghe della malasanità, del precariato, della disoccupazione giovanile, dell’antimeritocrazia, ma il film dà l’impressione di prendersi troppo sul serio nonostante i toni faceti e di ergersi a portatore della protesta antisistema. Zeppe che tolgono leggerezza e trasformano Viva l’Italia in un ibrido piuttosto indigesto. Poi, quando la smetteremo con l’orrendo sport nazionale dell’autodenigrazione? Quando impareremo a stimarci un po’ e la finiremo di vergognarci d’essere italiani? Via, un po’ di sano orgoglio nazionale. Ma ve lo immaginate un film così, con un titolo equivalente, in Francia, Germania, Inghilterra? Ve lo immaginate un Vive la France che demolisca dall’interno l’essere francesi? Impensabile. Se la vecchia commedia all’italiana aveva lo stesso vizio autodenigratorio e però anche talvolta il merito di una sana autocritica, in questo film traspare solo il cupio dissolvi di un paese, un popolo, una nazione che odia se stessa. Il mettersi alla berlina, lo sghignazzare di sè non è più la coraggiosa messa a nudo dei propri difetti, ma solo cupo masochismo, ansia autodistruttiva. Vecchio discorso, quello della vergogna della propria italianità. Che qualcuno (Ernesto Galli Della Loggia) ha ricondotto alla fatidica data dell’8 settembre 1943, alla cosiddetta morte della patria. O forse non ci siamo mai ripresi dal trauma della sconfitta nella seconda guerra mondiale e continuiamo a vederci come dei perdenti, degli inetti, continuiamo a introiettare i peggiori cliché che gli altri hanno costruito di noi. In Viva l’Italia a un certo punto vediamo sul manifesto di un programma televisivo in cui gli ospiti di turno dicono la verità e nient’altro che la verità (e anche il nostro onorevole ci va, ovvio) la scritta ‘La verità ti fa male lo so’. Già Massimiliano Bruno aveva titolato Nessuno mi può giudicare il suo precedente lavoro, adesso di quella canzone prende una delle frasi più celebri. Sarà contenta Caterina Caselli. Bravi o bravini tutti. Con menzione per Raoul Bova, dalla faccia mite da buono vero, per Rocco Papaleo in una parte diciamo così lelemoresca (e quando grida ‘no, non sono ricchione, a me piace la figa’ è irresistibile), per Maurizio Mattioli, che continua l’illustre tradizione dei caratteristi e qui fa il portantino romano, personaggio classico della nostra commedia (do you remember Nino Manfredi in C’eravamo tanto amati?). A proposito di Papaleo e del suo personaggio: quando nell’urlo suddetto dice anche ‘ho finto di essere ricchione perché in questo paese se non fai parte di una lobby non sei nessuno’ vengono i brividi. Se è razzista e assai pericoloso parlare di lobby ebraica, è altrettanto pericoloso accennare a presunte lobby gay. Ma il populismo, signori, è purtroppo anche questo, l’agitare i fantasmi di presunte e inesistenti consorterie.
P.S. Forse Papaleo non dice ricchione ma gay, non ricordo bene, però il senso quello è.