Una straordinaria scoperta archeologica ha permesso di capire che nel quinto secolo Avanti Cristo, gli Elimi della Sicilia usavano i templi non come luoghi di culto, secondo l’erronea e sciocca convinzione che ci portiamo dietro da troppo tempo, ma come romantici ristorantini dove, alla luce delle candele, si abboffavano di pasta alla norma. Dev’essere certamente così se oggi il tempio di Segesta, quello che affascinò che affascinò Goethe e Gropius viene affittato per quattro soldi a ricconi che vogliono una scenografia particolare per le loro cene, visto che secondo le regole, già piuttosto lasse del Codice dei beni culturali, queste cessioni temporanee devono assicurare “la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo”.
Dev’essere proprio così se al ministero non dicono nulla, se il direttore del Parco di Segesta si fa scudo del codice per giustificare la concessione, se il sindaco di Calatafimi dice di essere venuto a conoscenza della cosa per caso, se lo chef delle cene in tempio, “nato” alla Prova del Cuoco subisce intimidazioni ed estorsioni mafiose, se tutti adesso si fanno di burro. Ma l’interrogazione di una consigliera della Regione Sicilia, Valentina Zafarana dei cinque stelle ha scoperchiato una tipica storia italiana dove un gruppo di miserabili, si è impadronito di uno dei più noti monumenti della Sicilia per svenderlo con modalità tali che i soldi entrano in poche tasche senza fare ricchezza per l’isola .
Non voglio nemmeno affrontare il problema dei monumenti come bene comune, tanto si parlerebbe ai muri, ma anche dal punto di vista della loro gestione economica ci si trova a dover constatare che tesori unici al mondo i quali se gestiti con intelligenza potrebbero mantenere città intere, vengono svenduti per quattro soldi a beneficio di piccoli clan di potere. E’ il caso appunto del tempio di Segesta, affidato alle cure di dell’agenzia israeliana Shavit, la quale affitta un luogo unico al mondo per 5000 euro a sera, in pratica allo stesso prezzo di un locale di livello. Già perché questa è la cifra massima stabilita da una circolare ministeriale. E’ chiarissimo che i soldi veri vanno altrove mentre una platea di ottusi imbecilli che tutto sommato meritano di essere rapinati, plaude alla sfruttamento economico di tesori il cui valore sfugge loro completamente. Se proprio vogliamo monetizzare una cena in un tempio di 2500 anni fa tra i più famosi al mondo vale non meno di 50 mila euro a testa soldi che con tutta evidenza non prendono la strada per la Sicilia, fatta eccezione per le competenze dello chef, dei quattro musicanti e le mance che si incollano alle mani di chi permette, di chi non sa, di chi fa il pesce in barile. Questo senza contare i danni che queste cene e i loro allestimenti provocano: ci si è salvati solo a stento da un spettacolo di fuochi artificiali nel tempio stesso. Ma per rimettere a posto le cose è probabile che non ci saranno soldi: il pubblico langue mentre i privati ingrassano e demoliscono ciò che è di tutti.
Come al solito. Come nel “sistema Italia”. Come nella spartizione del potere culturale tra incompetenti dalemiani dediti alla notti della taranta e damazze tipo Borletti Buitoni Vien Dal Mare che ha pagato 700 mila euro l’assunzione nella lista Monti e la carica. Cotonatura a parte. Ora non dico di scacciare i mercanti dal tempio come scritto nei sacri testi del maggior proprietario immobiliare italiano. Ma almeno fargli pagare il sacrilegio più di un’elemosina, questo almeno sì.