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State of Control

Da Kaosblu @kaosblu


State of Control: Tibet, Cina e Realpolitk

Due registi americani, Christian Johnston e Darren Mann, viaggiano sotto false credenziali in Tibet  durante le Olimpiadi di Pechino nel 2008. Ne nasce un documentario “State of Control”  un viaggio all’interno della vita quotidiana degli attivisti nepalesi, indiani e tibetani in lotta contro l’oppressione dello Stato cinese,  come il poeta Tenzin Tsundue o Lhamo Tso, moglie del prigioniero politico Dhondup Wangchen,  Gyalston Sandup che è un ex prigioniero politico fuggito dal Tibet all'età di 17 anni, Tenzin Seldon considerata oggi  la più giovane attivista tibetano-americana, infine naturalmente il Dalai Lama, Tenzin Gyatso  che  aveva annunciato la rinuncia ai poteri temporali il 10 marzo scorso assicurando però di “non voler venire meno” alle sue responsabilità.
Il 27 aprile 2011 il parlamento ha eletto Kalon Tripa ovvero, primo ministro Lobsang Sangay, giurista, dottorato ad Harvard, che ha rilevato tutte le funzioni politiche che da secoli sono prerogativa del Dalai Lama.
Il film per venire alla luce ha però bisogno di fondi. E i due registi hanno lanciato una campagna per raccogliere 35mila euro entro il 2 giugno.
Dal 1950 in seguito all'invasione del Tibet la Cina viola ogni  elementare diritto,  ed i  paesi occidentali da allora, guardano, troppi impegnati ad esportare la democrazia in giro per il mondo.
Nel 1959, 1961 e 1965, le Nazioni Unite approvarono tre risoluzioni a favore del Tibet in cui si esprimeva preoccupazione circa la violazione dei diritti umani e si chiedeva "la cessazione di tutto ciò che priva il popolo tibetano dei suoi fondamentali diritti umani e delle libertà, incluso il diritto all'autodeterminazione".
A partire dal 1986, numerose risoluzioni del Congresso degli Stati Uniti, del Parlamento Europeo e di molti parlamenti nazionali hanno deplorato la situazione esistente in Tibet e all'interno della stessa Cina ed esortato il governo cinese al rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche. Malgrado gli incessanti appelli della comunita internazionale i Diritti Umani del popolo Tibetano sono sistematicamente violati.
La realpolitik adottata dagli Stati occidentali che preferiscono il pragmatismo politico, che poi significa scendere a compromessi con chiunque purché ci sia un guadagno, non trova nessuna pregiudiziale nella violazione dei diritti umani degli Stati con i quali si stipulano accordi d'affari da una parte e dall'altra, solo formalmente, risoluzioni internazionali, che restano sulla carta; tra il dire ed il fare ci sono un milione di Tibetani morti a causa dell’occupazione, ed il 90% del patrimonio artistico e architettonico tibetano, inclusi circa seimila monumenti tra templi, monasteri e stupa,  distrutti.


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