Statistica della depressione. La crisi vista attraverso Telefono amico

Creato il 20 maggio 2013 da Stelladellest
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La crisi può essere rappresentata come una creatura mitologica che, arrivata chissà da dove, soggioga tutta la comunità richiedendo continui sacrifici in suo favore. Un mostro di fronte al quale l’azione umana sembra poter poco. Nessuno sa quando se ne andrà e come sconfiggerlo. Un po’ come accadeva per la peste nelle società preindustriali: un nemico invisibile che giungeva in modo del tutto imprevisto, e rispetto al quale popolazione e autorità si sentivano del tutto impotenti. Riempiva abbondantemente il suo carico di vittime, scelte indiscriminatamente, e come era arrivata se ne andava.Fortunatamente le crisi economiche contemporanee, a differenza delle pandemie del passato, sono meno cruente; le vittime si contano più in posti di lavoro persi che in percorsi di vita conclusi. Possiamo però parlare di percorsi di vita “inceppati”. Ci si trova a mettere in discussione molte delle certezze del passato. Anziché essere incentivati a fare di più, ci si chiude in difesa. L’incertezza e l’indeterminatezza fanno crescere i timori non solo sul presente, ma anche sul futuro. Viene incrinata la fiducia nella propria capacità non solo di accrescere, ma anche di difendere il benessere acquisito. Aumentano i rischi per sé, per i propri familiari, e ci si sente sempre più impotenti nel fronteggiarli. Le persone si trovano così sempre più ad agire in un clima di tensione, timore e crescente insicurezza. Aumentano la sfiducia e la disillusione. Cresce la paura di non farcela, di perdita del senso di controllo sulla propria vita. Si riduce la capacità di valutare le implicazioni delle proprie scelte e di mantenere un atteggiamento propositivo sul domani.I numeri delle emozioni
La crisi ha quindi un impatto che sta diventando sempre più rilevante anche oltre la sfera materiale, portando, in particolare, a un inasprimento delle condizioni di stress, di instabilità emotiva, di difficoltà di relazione, di autostima, a un aumento di casi di ansia e depressione. Ma mentre disponiamo di molti indicatori economici, abbiamo invece pochi dati per poter valutare gli effetti della crisi anche su queste diverse dimensioni.
Un modo per esplorare l’impatto sul disagio emotivo è fornito dai dati delle chiamate che arrivano a Telefono amico, il servizio di ascolto più importante ed esteso in Italia. Telefono amico è un’associazione operante dal 1967, formata da volontari (circa 700) la cui attività principale viene svolta attraverso un numero unico su tutto il territorio nazionale. (…)Attraverso una convenzione tra il Telefono amico e il Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico-aziendali dell’Università Cattolica di Milano è stato possibile condurre alcune analisi delle caratteristiche degli “appellanti” e del contenuto della chiamata. Lo studio riguarda i dati completi del 2011 messi a confronto con gli anni precedenti.
Un primo semplice dato di interesse ci dice che le telefonate sono andate continuamente aumentando negli anni di crisi, salendo a 107 mila nel 2011 con un incremento del 6,7% rispetto al 2009. La crescita riguarda sia le chiamate in cui l’appellante è rimasto in silenzio o ha messo giù subito il telefono, sia le chiamate valide (51,5% del totale). Questo significa che è cresciuto sia il numero di persone che hanno cercato genericamente un contatto, sia la quota di chi ha poi espresso esplicitamente il proprio disagio.Quel “problema indefinito” dei lavoratori autonomi
Riguardo al profilo dell’appellante, dalla breve scheda compilata dal volontario alla fine della chiamata sappiamo che a chiamare di più sono gli uomini (70%) nella fascia tra i 35 e i 55 anni (55%). La figura più coinvolta è pertanto proprio quella del maschio lavoratore adulto, asse centrale del sistema produttivo italiano. Le informazioni sulla professione sono molto carenti: sappiamo però che i pensionati sono circa il 35%, mentre molti di più sono quelli con un’occupazione (anche se non sappiamo quanto precaria) pari al 41%, con una quota rilevante di lavoratori in proprio (circa un terzo). Rilevante è anche il numero di disoccupati: per ogni quattro appellanti con un lavoro c’è n’è uno che non lo trova o lo ha perso. Un’incidenza, quest’ultima, sensibilmente più alta rispetto al dato ufficiale sulla forza lavoro italiana, a indicare che tra chi chiama Telefono amico c’è una sovrarappresentazione di persone in difficoltà occupazionali. Più bassa invece la quota di studenti e altre categorie.Oltre all’aumento quantitativo del numero di chiamate e al profilo degli appellanti, indizi di particolare interesse e potenzialmente legati agli effetti della perdurante crisi arrivano dal contenuto stesso della conversazione telefonica. Se nel passato il problema più indicato era il bisogno di compagnia, la crescita maggiore negli ultimi anni ha invece riguardato soprattutto la categoria “problema indefinito” (dall’11,8% del 2009 al 16,6% nel 2011), possibile indicatore di una necessità di aiuto legata a un disagio emotivo difficile sia da gestire sia da comunicare. Si può trovare in tale situazione chi, più che davanti a un fattore specifico di difficoltà, vive una condizione di inquietudine legata a una perdita generalizzata di capacità di controllo sulla propria vita. Una condizione che, dicono i dati analizzati, risulta più comune tra gli uomini e tra i lavoratori in proprio. Più basso, ma particolarmente problematico e in forte crescita, è poi il numero di chiamate che fanno emergere episodi di depressione (salgono dal 3,4 al 5,4%). Una condizione, questa, che colpisce invece di più le donne e i non occupati. In leggera crescita anche i problemi di coppia (dal 3,5 al 4,2%), comunicati di più dalla componente femminile dell’unione.Calano i problemi sentimentali e sessuali
Da segnalare, infine, anche un aumento dei disagi riconducibili a condizioni di infermità, conseguenza dell’invecchiamento della popolazione italiana e delle difficoltà di aiuto e assistenza agli anziani non autosufficienti. Una condizione resa più problematica dalle difficoltà del sistema di welfare (indebolito dalla crisi) e dal sovraccarico delle reti di aiuto familiare. Oltre alla solitudine, sono in calo anche i temi di carattere più sentimentale e sessuale.Relativamente invece al tipo di “vissuto” emotivo che emerge nella conversazione, appaiono in riduzione i casi di chi è “tranquillo” (1,4%), ma anche di chi si trova in una condizione “eccitata” o “euforica”, oltre che di chi di fronte a condizioni negative reagisce con rabbia. A crescere sono invece stati emotivi che avvinghiano il rispondente in uno stato di inquietudine, angoscia e ansia. Tra le donne la crescita maggiore è quella legata agli stati di angoscia (+2,4%) e preoccupazione (+1,8%). Tra gli uomini, ad aumentare di più sono coloro che vivono una condizione di inquietudine (+1,5%) e confusione (+1,3%).Un quadro che – pur nei limiti dei dati disponibili – sembra coerente con alcune preoccupazioni sulla difficoltà nel fronteggiare, anche sul versante psicologico ed emotivo, le implicazioni della perdurante crisi economica, con crescita soprattutto di disturbi ansioso-depressivi. L’esito che ne deriva è quello di uno scadimento generalizzato della qualità della vita, con conseguenze che rischiano di diventare durature incidendo in profondità sul modo di vedere la realtà e sulla propensione a modificarla positivamente. Un tema sottovalutato e che invece andrebbe approfondito con adeguate ricerche, supportate da dati più dettagliati e in grado di mettere assieme un pool esteso di competenze non (solo) economiche.*estratto di un articolo del prossimo numero della rivista Vita e pensiero, bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in uscita nelle librerie delle principali città il 13 marzo. Alessandro Rosina è professore associato di Demografia presso la facoltà di economia dell’Università Cattolica, dove dirige il Laboratorio di Statistica applicata alle decisioni economico-aziendali. Tra i suoi libri più recenti: Famiglie sole. Sopravvivere con un welfare inefficiente (con D. Del Boca, 2009) e L’Italia che non cresce. Gli alibi di un Paese immobile (2013).

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