Occorre distinguere due problemi che vengono talvolta confusi e cioé se l’art. 29 tuteli soltanto la famiglia fondata sul matrimonio tra persone di sesso diverso e se lo stesso articolo si opponga alla tutela di famiglie fondate su una unione diversa dal matrimonio.
” Né famiglia né tantomeno matrimonio sono fenomeni naturali, bensì istituzioni sociali. – dichiara la professoressa – E’ la società che definisce quali dei rapporti di coppia e generazione sono riconosciuti come famiglia, e quindi hanno rilevanza sociale ed eventualmente giuridica, e quali no (si pensi solo alla definizione di “figlio illegittimo”). Storicamente e nelle diverse culture queste definizioni – chi/che cosa è incluso e con quali conseguenze – sono mutate, così come sono mutati i soggetti cui è riconosciuto il diritto/dovere di normare che cosa è famiglia e quali sono le obbligazioni e responsabilità che sono connesse ai legami familiari”.
E’ il bello della storia umana rispondere alle nostre evoluzioni culturali. La Costituzione prende in prestito la visione cattolica per spiegarci quale sia il valore della famiglia. I nostri costituenti, già nel 1945, si sono comportati in modo molto diverso dai costituenti di altri paesi affini al nostro che invece specificavano espressamente che i coniugi dovessero essere di sesso diverso. Per i nostri, era naturale che il matrimonio fosse possibile soltanto tra persone di sesso diverso. Va da sé che non può essere attribuito al termine naturale ciò che viene ritenuto tale da una particolare concezione ideologica, religiosa o altro.
Il problema è come si deve interpretare una disposizione in sé neutra, scritta in anni molto diversi dai nostri, in presenza di un contesto sociale di riferimento che certamente ha poco a che fare con quello dell’Italia di oggi. Le unioni libere sono una realtà matura che crescono in maniera esponenziale.
Occorre, dunque, distinguere tra matrimonio e famiglia. Il matrimonio, che è una istituzione legale, regola i rapporti di coppia e di filiazione legittima. Oggi l’aumento delle coppie di fatto raggiunge il 6% e i figli nati all’interno di tale rapporto rappresentano il 23% un aumento del 300% rispetto al 2008.
Insomma, le coppie dello stesso sesso chiedono di poter accedere al matrimonio; le coppie eterosessuali (ma anche omo, che non vogliono sposarsi) non sposate chiedono che la convivenza abbia altrettanta rilevanza del matrimonio. Sono due richieste diverse. Chiedere il riconoscimento delle coppie di fatto significa chiedere la creazione di una istituzione parallela al matrimonio, magari più flessibile, con diritti e doveri più leggeri, o più “sceglibili”, ma sempre normati.
Le soluzioni seguono strade che portano fuori dell’alveo della tradizione e di una normativa troppo rigida. La cultura liberale ha agevolato lo slittamento di accento dalla famiglia alla coppia, rendendo la scelta di convivenza il perno delle relazioni familiari che per questo cambiano seguendo il percorso delle esigenze e delle scelte delle persone, che si uniscono (a chi vogliono loro) e si separano (quando vogliono loro) con relativa facilità. Non soltanto per l’introduzione della legislazione sul divorzio ma anche perché una volta messo l’accento sulla volontarietà della scelta. L’evoluzione è stata favorita dalle nuove generazioni che propendono sempre più spesso per soluzioni meno formalizzate del matrimonio, forme di convivenza magari riconosciute dalla legge ma più leggere e anche più permeabili al mutamento.