Invece di far pagare ai cittadini 20 miliardi di euro di lacrime e sangue, basterebbe che il governo italiano si ricordasse di uno dei principi fondamentali della costituzione, la laicità, perché tutto possa rientrare nella norma di un rapporto fiscale equo fra il contribuente e lo Stato erogatore di servizi e rispettoso dei diritti. Detta così potrebbe apparire una provocazione da anticlericali radicali di vecchio stampo, eppure, conti alla mano, si capisce quanto costi al governo e quindi allo Stato e quindi a noi, la fedeltà della Chiesa quando si va a votare e l’appoggio (o i silenzi) nei confronti degli “strani fatti” di questa coalizione di pluri divorziati paladini della sacralità della famiglia. Se Tremonti la smettesse di ricorrere alla demagogia della auto blù, dei viaggi di quattro assessori in giro per il mondo che non si sono mai mossi da casa, delle ville sedi degli enti più disparati e dei consigli di amministrazione succhiasangue e iniziasse a guardarsi intorno dando un’occhiata ai rapporti con la santa istituzione d’Oltretevere, non saremmo costretti a vedere ricercatori buttati in strada o in fuga precipitosa dall’Italia, non assisteremmo all’Isola dei cassaintegrati, non statisticheremmo suicidi da disperazione-lavoro perché, alla fine, a una famiglia che non si vede il figlio respinto alla mensa scolastica per non aver pagato la retta, dell’auto blù dell’assessore regionale o del ministro di turno non gliele fregherebbe una mazza. I benefici che il risparmio che i tagli “moralizzatori” portano alle famiglie rappresentano una goccia nel mare di un debito che potrebbe essere sanato partendo da altre considerazioni e attingendo ad altre fonti. Dunque. La Chiesa cattolica preleva dall’8 per mille, l’89,16 per cento dell’intera torta e si guarda bene dal particolareggiare (come ad esempio quella valdese), il rendiconto relativo all’impiego di denaro pubblico. C’è da dire, ancora, che sempre i valdesi destinano l’intero 1,30 per cento del contributo alle attività assistenziali, mentre la Chiesa, del suo 89 per cento, assegna solo il 20 per cento alle opere di carità. Il resto (34 per cento) va al sostentamento del clero e il rimanente 46 per cento va alle general generiche “esigenze di culto”. Se il rapporto con la Chiesa riguardasse solo l’8 per mille, gli agnostici e gli atei se ne farebbero una ragione e, turandosi il naso, potrebbero anche chiudere un occhio e invece…ci sono altri 10 miliardi (11 dice il matematico Piergiorgio Odifreddi), che ogni anno lo Stato “regala” alla Chiesa sotto forma di contributi diretti o di sgravi fiscali o di rimborsi. Nella voce contributi è possibile leggere le voci relative agli insegnanti di religione, all’acqua consumata dal Vaticano, all’Università dell’Opus Dei, alle altre cinque università cattoliche e la gran parte dei contributi assegnati alla sanità privata quasi tutta in mano al clero (un po’ più del quasi tutta in Lombardia). Buon ultimo, ma significativo, il 10 per cento del costo della carta per le centinaia di giornali, bollettini parrocchiali e organi di informazione diocesani che fanno capo al Sacro Soglio di Pietro. Il saldo di questi contributi è pari a 4 miliardi di euro che lo stato potrebbe impiegare in altro modo (la scuola pubblica?). Ma mica è finita qui. La Chiesa, come tutti sanno, è proprietaria di un’infinità di immobili. Fatta salva l’esenzione dell’Ici per i luoghi dedicati al culto, non si riesce a capire perché gli esercizi commerciali, i cinema, gli ostelli, gli alberghi, i magazzini e gli altri stabili che con il culto c’entrano nulla debbano essere esentati quando il salumaio sotto casa, a ogni cartella di pagamento, bestemmia come un invasato. Le tasse non pagate dalla Chiesa ammontano a 6 miliardi di euro che, come conseguenza, si portano appresso altri 2 miliardi e 250 mila euro non riscossi dai Comuni. Siamo a 10 miliardi di euro tondi, metà di quanti ne prevede la finanziaria creativa di Tremonti. Il saldo del rapporto economico fra Stato e Chiesa delineato è però calcolato per difetto. L’obbrobrio del ddl sui Grandi eventi ha fatto in modo che lo Stato si accollasse perfino le spese di rappresentanza e gli oneri delle visite pastorali del Papa e delle celebrazioni per le ricorrenze “storiche” di santi, beati, e “illuminati” vari comprese quelle dell’evangelizzatore della Cina, che risponde al nome di padre Matteo Ricci, di cui, onestamente, non ne possiamo più. Prevedendo di dover rimborsare alla Chiesa anche i danni causati dai preti pedofili italiani, che stanno venendo fuori come lumache dopo la pioggia, Gasparri & Co. hanno inserito un emendamento al ddl sulle intercettazioni che prevede una sorta di “attenuante” per i pedofili non colti sul fatto graduandone la gravità. Ecco gli 11 miliardi di euro stimati da Odifreddi. La ricetta per vivere in uno stato equo? Far pagare le tasse a tutti, Chiesa compresa.
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