Roma, dal corrispondente
Ci sono alcuni buoni motivi per contestare la decisione – non si riesce a capire presa da chi – di coprire con dei rivestimenti in legno alcune statue dei musei capitolini durante la visita del leader iraniano Rouhani. Non semplici questioni di mero principio, che pure sarebbero legittime, ma argomenti ben più “politici”.
Il rispetto degli ospiti, per carità, è sacro; ma quando questo rispetto diventa inutile piaggeria? Quando il voler accorrere in soccorso delle esigenze altrui diventa una magistrale dimostrazione di pochezza?
Partiamo col dire che questo non è certo argomento da rovesciare tavoli negoziali, ma indubbiamente dimostra un determinato atteggiamento provinciale da parte di alcune istituzioni.
Il tutto poi in un periodo come quello che stiamo attraversando in cui, tra crisi umanitaria e flussi migratori, tema corrente nei dibattiti politici è il difficile rapporto di convivenza che si sta creando tra neo arrivati e residenti.
Il punto della questione è che, anche a fronte delle più nobili intenzioni di chi ha partorito l’idea, il concetto di fondo che passa è quello di una scarsa consapevolezza del proprio tessuto culturale, non tanto verso i propri concittadini, quanto piuttosto verso chi da fuori assiste all’evento. In parole più semplici: come chiedere il rispetto delle più semplici ed elementari norme del vivere civile se poi non si è in grado di imporre il dovuto rispetto di una cultura che ha rappresentato tanto per la nostra stessa formazione? E come sperare che questa formazione possa essere compresa se non si è nemmeno coerenti da presentarla durante contesti tanto simbolici?
A conferma del fatto che la cosa non debba essere stata considerata come normale prassi relazionale tra cancellerie, c’è poi la risonanza che la notizia ha ricevuto su diversi media mondiali che, evidentemente, devono aver guardato all’incidente con sguardo piuttosto stupito. Per carità, non sono le impressioni esterne a dover guidare le decisioni di uno Stato, ma il fatto dovrebbe far riflettere.
Anche a fronte del disagio che la situazione avrebbe potuto creare per via dei nudi vietati nella cultura islamica, la risposta sarebbe dovuta essere più in linea con il clima che da tempo tutti predicano e impongono ai cittadini. Se è vero che l’integrazione risiede nel sapersi relazionale anche laddove la ragione individuale non coincide con quella maggioritaria e le tradizioni confliggono anche duramente tra loro, quale miglior modo per ribadirne l’importanza se non quello in cui a farlo sono gli stessi leader di paesi culturalmente opposti come Italia ed Iran?
Dal punto di vista politico, fa riflettere il fatto che una situazione analoga a quella occorsa a Roma si sia creata a novembre scorso in Francia durante la preparazione del viaggio di stato del premier iraniano a Parigi. Allora motivo del contendere non furono le forme troppo esplicite di qualche statua, ma riguardarono la composizione del menù per la cena di rappresentanza; come da protocollo e per rispetto alla propria cultura, venne chiesto da parte delle autorità iraniane di avere un menù halal e di evitare la presenza a tavola di qualsiasi tipo di alcolico. La questione imbarazzò non poco il paese ospitante che, oltre a fare del proprio vino un fiore all’occhiello del made in france, acconsentendo ad una richiesta del genere avrebbe di fatto derogato alle sue radici laiche tanto care a tutti, politici e semplici cittadini. La risposta dell’Eliseo creò più danni che altro in quanto venne rilanciata l’idea di una più ecumenica colazione, opzione che Teheran definì troppo spartana e quindi rifiutò. Alla fine si optò per un incontro pomeridiano di un paio d’ore e poi ognuno per la sua strada, garantendo così l’integrità morale dell’ospite ma salvaguardando l’immagine di Parigi e la sua coerenza. Per dovere di cronaca, l’incontro non avvenne mai per via degli attacchi terroristici che colpirono Parigi e si farà proprio in questi giorni in coda al viaggio italiano.
Luca Arleo