Magazine Cultura
Conferenza al Museo delle stele antropomorfe di Bovino
Fonte: rivista ufficiale dell'Archeo Club Italia
Staute-menhir e statue-stele, entità antropomorfe ancora troppo sconosciute. Poco note al grande pubblico e, nonostante le diverse ipotesi interpretative, fondamentalmente misteriose. Di esse non se ne conosce il reale significato né la vera funzione. La loro stessa distribuzione geografica è insolita: a macchia di leopardo dentro aree circoscritte e lontane fra loro, sparse tra Europa, Asia e nord dell’Africa. E’ chiaro, però, che riflettono un’importante espressione ideologica e segnano un decisivo passaggio tra un mondo religioso che finiva e un altro che iniziava. Sono, infatti, le prime grandi statue dell’umanità, comparse sul finire del Neolitico e il fiorire dei megaliti.
Le più antiche testimonianze, databili tra V e IV millennio a.C., sono rintracciabili nella Bretagna francese in contesto di riutilizzo dei grandi e famosi dolmen (MAILLAND 2000). Prima del loro exploit, avutosi con l’età del Rame, il soggetto umano era ritratto su statuine esclusivamente femminili o riconosciuto su rocce naturali, dove le ondulazioni e le asperità assumevano un aspetto antropomorfo (un paio di occhi, un viso, un busto, elementi sessuali e altri particolari anatomici). L’interpretazione della pietra, spesso fondata sul principio della pareidolia, la tendenza a ricondurre a forme note e oggetti famigliari i profili naturali e casuali, è sempre stata un leitmotiv dell’arte preistorica (LEONE 2009, 2010, 2011). Con l‟avvento dell’età dei Metalli questa attenzione non è venuta meno ma si è concentrata sui quei massi e su quei monoliti che oggi chiamiamo menhir o statue-menhir, in realtà delle protostatue.
L’espansione di tali simulacri si manifestò in due ondate, la prima – più intensa – nell’età del Rame (Eneolitico, Calcolitico), la seconda – più attenuata – nell’età del Ferro. L’età del Bronzo costituì una fase di passaggio, conclusiva per alcuni gruppi di statue-stele, trasmissiva per altri. In Puglia, terra ricca di testimonianze, sono presenti gruppi sia della prima che della seconda ondata (LEONE 2000, 2001). In quelli dell’età del Rame i caratteri sono più comuni, la forma del corpo è tendenzialmente surreale, geometrizzata, senza gambe, senza collo, a busto intero e sempre coperta di precisi attributi simbolici. E’ il caso delle pietre antropomorfe di Sterparo Nuovo (Subappennino Dauno), come di quelle della Lunigiana in Liguria, di Laconi in Sardegna, del Trentino della Valcamonica, Valtellina, Val d’Aosta-Sion, del Midì della Francia, ecc.
In quelle dell’età del Ferro si verifica un’accentuazione del naturalismo, un aumento dell’abbigliamento, dell’integrazione di scene aneddotiche e di decorazioni simboliche. E’ il caso delle stele daunie, di quelle della Lunigiana e di altre ancora. Spesso, semplificando, tutti i monumenti vengono denominati stele o al massimo statue-stele, di fatto, però, la nomenclatura tipologica le distingue in: statue-menhir, massi piuttosto spessi naturalmente antropomorfi o appena lavorati e generalmente più antichi; e statue-stele, pietre lastriformi artificiali e generalmente più recenti. In Valcamonica vi sono anche i massi inamovibili, pietre grandi come case o anche pareti rocciose ricoperte con la stessa tematica simbolica. Le circa trenta pietre di Sterparo Nuovo sono
del tipo statue-stele ed hanno i tipici elementi simbolici di tutti i monumenti eneolitici: i pugnali per le stele maschili, i seni per quelle femminili e il tipico dualismo di una coppia stereotipata più volte riprodotta. Oggi si possono ammirare quasi tutte nel Museo Civico di Bovino, ma sono state trovate nei possedimenti della famiglia Gesualdi, vicinissimo al centro abitato di Castelluccio dei Sauri.
Le loro dimensioni variano fra i 30 e 160 cm, e rientrano di diritto nel fenomeno ideologico – religioso delle pietre antropomorfe diffusosi a macchia d‟olio su tutto il continente euroasiatico. Si tratta del gruppo pugliese più antico, databile al III millennio grazie ai suoi pugnali di tipo Remedello (dalla necropoli omonima). Il gruppo più recente, invece, è quello sorto in seno alla civiltà dei Dauni, datato tra VIII e inizi VI a.C., e preceduto dall’esiguo gruppo di pietre antropomorfe rinvenute nella necropoli di Monte Saraceno a Mattinata. La Puglia, dunque, ha restituito un numero significativo di stele antropomorfe e con la Liguria è testimone dell’intera durata del fenomeno (dal III al I millennio a.C). Oltre ai due macro gruppi, di Sterparo e della Daunia, etnicamente, culturalmente e cronologicamente distanti fra loro, affiancherei dei ritrovamenti sporadici più o meno inquadrabili nella prima ondata (LEONE 1997, 1999, 2000, 2001). Sono il cosiddetto idolo-tappo di Arnesano (Museo di Taranto), la solitaria statua-stele rinvenuta a Tor di Lupo, Mattinata (conservata nel Museo di Manfredonia), due pietre vagamente antropomorfe situate nei pressi di due siti dolmenici: Strada Abbazia (Bisceglie) e Giurdignano; più la misconosciuta statua-menhir trovata a Sant’Agata di P., in località Serbaroli.
Le diversità morfologiche tra i monumenti pugliesi, come di quelli presenti altrove, sono frutto di un imprinting vernacolare ma tradiscono comunque quegli elementi comuni dell’ideologia antropomorfa delle stele. Questo elementi sono presenti anche nelle stele daunie, i monumenti col linguaggio simbolico-decorativo più che mai vernacolare. Non sappiamo come e quando i Dauni abbiano ereditato quell’ideologia originaria ma di certo le loro stele ne trattengono i fondamenti: il corpo surreale e geometrizzato, il dualismo della coppia e soprattutto la loro reiterazione stereotipata. Sulla base di questi fattori è molto probabile che anche la funzione e il significato furono affini ai monumenti più antichi.
Perché generosamente istoriate, le stele daunie ci restituito alcuni dati fondamentali per risalire ad una possibile interpretazione (LEONE 1990, 1995, 1996A-B, 2002-3, 2007). In effetti, la coppia sembra al vertice di un sistema di credenze e attività sociali riflessi negli attributi, i quali, a loro volta sono connessi a determinate sfere di competenza: la sfera della caccia e delle guerra per le stele maschili, la sfera della medicina, dell’oracolo, dei riti e dei rapporti sociali, per quelle femminili. Le scenette raffigurate su entrambi i monumenti riflettono anche un sistema ideologico non privo di richiami allegorici e mitici. La statue-stele femminile rappresenterebbe un’entità di riferimento (una sacerdotessa mitica, una Demetra o una Cassandra daunia) ritratta forse come ex voto ed esposta (in decine di esemplari) dentro una‟area circoscritta al culto. Una figura mistica e mitica specializzata nei ruoli che comprendevano anche l’utilizzo sacro del papaver somniferum. La statua-stele maschile rappresenterebbe il suo compagno: un paredro signore delle armi, discendente del mitico signore col pugnale remedelliano ritratto durante l’età del Rame.
Divinità, dunque, o entità derivate da una coppia sacra molto più arcaica?
Rappresentanti eccelsi di un pantheon formatosi col tramonto delle ideologie neolitiche?
Direi che tutto ciò è plausibile. Altre interpretazioni sono meno suffragabili, come quelle che li definisce segnacoli territoriali, cippi funerari o effigi di notabili. Al contrario, la lettura basata sull’analisi concettuale e simbolica fornisce indizi più accreditabili. Emmanuel Anati, profondo interprete di arte preistorica da decenni, ha proposto una lettura fondata sulla simbologia (ANATI 2000). Anch’egli ha visto nelle statue-menhir delle entità sacre, ma nella forma di esseri cosmici che condensano simbolicamente i tre mondi esistenziali dell’età del Rame. Tuttavia si è soffermato poco sulla distinzione dei ruoli della coppia. Secondo la sua teoria la stele è sempre divisibili in tre fasce somatiche: inferi (gambe), terra (busto), cielo (testa) e rappresenterebbero una rinnovata visione antropomorfa dell’esistenza mediata dall’arrivo di ideologie indoeuropee.
Un’interpretazione di notevole intuizione ma che meglio si adatta ai monumenti di Valcamonica e Valtellina, sui quali la simbologia è esplicitamente cosmica: dischi solari al posto della testa, oggetti d‟uso quotidiano sul busto, simboli sotterranei per la parte infissa nel terreno e solo una vaga distinzione dei ruoli sessuali. Nei monumenti di altre regioni, invece, le simbologie sono meno complesse o stratificate e maggiormente riferibili alla separazione dei ruoli: il pugnale, le alabarde, l’ascia, per i maschi; i seni e le collane e oggetti di vestiario per le femmine. Questa separazione ostentata deve aver avuto un’importanza capitale per la funzione dei monumenti e non sembra direttamente riferita al trascendente o alla maternità, fertilità e riproduzione, ma sembra richiamare ulteriori competenze sociali e ruoli contrassegnati dallo status-symbol e dagli attributi.
Gli attributi delle stele di Sterparo: il solo pugnale, per l’uomo, e i seni per la donna, indicano una precisa distinzione dei ruoli. Dove i seni mancano vi è un disegno a X che richiama lo status femminile, insieme all’ombelico che ne sottolinea la singolare nudità. Altre incisioni con linee parallele e tacche indicano vaghi riferimenti somatici. A proposito di ciò, colgo l’occasione per descrivere alcuni dati che finora mi erano sfuggiti. Il reperto più grande di Sterparo, forse l‟unica statua-menhir del gruppo, presenta delle singolarità interessanti. Si tratta di un masso naturale sul quale sono incisi un pugnale remedelliano, ad un‟estremità, ed un probabile triangolo pubico all’estremità opposta, dove la pietra ha una forma pubica spontanea. Quest’ultimo triangolo è incompleto, infatti uno sfaldamento della pietra ne ha troncato la parte superiore e somiglia anche al resto di una lama di pugnale.
In ogni caso, sia che fosse un pugnale, sia che fosse un triangolo pubico, non avrei dubbi ad avanzare un suo riferimento sessuale; un riferimento presente talvolta anche su rocce con incisioni e pietre antropomorfe sparse un po’ ovunque. Un simile incavo pubico è alla base della statua-menhir Borno 2, in Valcamonica (Brescia). La patina di queste incisioni, eseguite evidentemente con un bulino in pietra, risulta antichissima ma non è così per le altre incisioni: quella di due animali, di un segno a spina di pesce ed un segno ittiforme, situati a circa metà del monumento e vicino alla fenditura di un vomere d‟aratro. Queste ultime sono state eseguite con uno strumento metallico a sezione triangolare, dunque sono più profonde e recenti. Lo stile degli animali, inoltre, non è conforme con quello dell’epoca, il tratto è incerto, rigido, e pare imitare piuttosto che rappresentare.
Su nessuno dei monumenti dell’epoca, se non quelli concentrati esclusivamente nell’arco alpino, sono presenti gli animali e mai nella posizione e nello stile appena descritto. La posizione, la dimensione e la stessa presenza degli animali è insolita com’è insolito che due tacche parallele, eseguite dallo stesso incisore, si arrestino proprio dove inizia la fenditura dell’aratro. A parte questi segni singolari, il monumento è un reperto molto significativo, è bisessuato e testimone di quella compagine ibrida che talvolta si ritrova lontano da Sterparo. Quasi in tutti i gruppi di statue-stele ci sono alcuni monumenti asessuati, come taluni ibridi. Ne è un esempio la stele di Hamagia in Romania (ANATI, 2000 foto a pag. 31).
Dove erano raccolte le statue-stele?
A oggi, le sole ricostruzioni basate su qualcosa di concreto derivano dagli scavi di Ossimo-Anvoia in Valcamonica, di Saint Martin de Corleans ad Aosta e di Le petit Chasseur a Sion (Svizzera) e (AAVV 2000). Gli ultimi due siti hanno fornito qualche termine di paragone per il saggio svolto a Sterparo Nuovo oltre vent’anni fa (TUNZI-SISTO 1992). In questi luoghi le statue-stele erano infisse nel terreno, allineate a presenziare un’area di culto dove le buche di pali con offerte votive, un‟aratura fossile con la semina di denti umani ed altri particolari rituali facevano da corollario. Nelle fasi successive al culto iniziale gli stessi monumenti furono appositamente rotti e reimpiegati, a scopo religioso e non distruttivo, nella costruzione di ciste dolmeniche funerarie. Le stele, spesso, hanno ricevuto un riutilizzo secondario di tipo funerario in epoche più recenti e lo vediamo anche con un paio di esempi di statue-stele daunie (LEONE, 1996B).
Oltre questi esempi non abbiamo una precisa idea di come i simulacri fossero impiegati, è possibile invece ricostruire la geografia dei luoghi prescelti. Gli aggruppamenti di statue-stele sono infatti su pianori vicini a zone di attraversamento migratorio, valli fluviali (come a Sterparo), sorgenti (Midì francese), aree di concentrazione megalitica (Bretagna francese) o di arte rupestre (arco Alpino). Oggi, però, questi luoghi sono mutati e le vestigia quasi del tutto scomparse. La valle del Cervaro adiacente Sterparo, per esempio, va immaginata ricoperta di boschi e attraversata da ulteriori corsi idrici, la visuale sui suoi spazi diversa, come diversa dovette essere la sacralità del territorio, del contesto e dei punti di riferimento. In questi luoghi la scomparsa pressoché totale delle grandi pietre, di altri massi antropomorfi, degli altari rupestri, distrutti nei secoli dalla cristianizzazione e dall’intensa bonifica agricola, fa pensare a una zona priva di megalitismo ma forse non dovette essere così. Si spera, dunque, nella ripresa delle ricerche e nel rientro dei monumenti esposti altrove, così da dare l’avvio a una nuova fase di studi e scoperte giungendo, magari, alla creazione di un memoriale delle pietre antropomorfe proprio a Bovino, dove il fenomeno statue-stele e statue-menhir in Puglia vide la sua culla.
Bibliografia
* (articoli scaricabili da internet)
AAVV
2000 – Dei nella pietra. Quaderni dell’ Associazione Lombarda Archeologica, Milano.
ANATI E.
2000 – Le statue-menhir, memoria e identità di un’Europa dei primordi.
in Quaderni dell’ Associazione Lombarda Archeologica, Milano pp. 7-36
LEONE M.L.
1990- Raro esempio di decorazione nel geometrico Daunio,
in Notiziario Archeoclub di San Ferdinando di P. (Foggia), pp. 1-2.
1995- Oppio. “Papaver Somniferum”, la pianta sacra ai Dauni delle stele,
in Bollettino Centro Camuno Studi Preistorici, vol. 28, pp. 57-68
*1996A- Ancora sulle “Stele Daunie” ,
in La Capitanata, Rassegna di Vita e di Studi della Provincia di Foggia,
ann. 32°-33° (1995/96), nuova serie n. 3-4, pp. 141-170
1996B- Nuove proposte interpretative sulle stele daunie,
in Bollettino Centro Camuno Studi Preistorici, vol. 29, pp. 57-64.
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in Bollettino.Camuno Notizie, Notiziario del Centro Cam. St. Preist., Marzo, pp. 28-29
*1999 – Megalithism of South East Italy in the Bronze Age
in Atti Symposium “Communication in Bronze Age”, 7-10 Settembre 1995. Tanum, Bohuslän,
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staute-menhir. in www.artepreistorica.com
2002-3 Botanica sacra oppiacea nella Daunia ( Sud Italia) tra VII-VI a.C.
Eleusis, Rivista internazionale su Piante e Composti Psicoattivi (Museo Civico di Rovereto), pp. 71-82
*2007 – Stele Daunie. Sémata funerarie o statue votive
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Pre-acts “Pleistocene Art of the World Congress” IFRAO Tarascon-sur-Ariège, France 6–11
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2011 – Arte e metafisica tra Paleolitico e Neolitico: Grotta dei Cervi e Grotta Chauvet a confronto.
Pre-acts “Arte e comunicazione nelle società pre‐letterate” XXIV Simposio di Valcamonica, Capo di Ponte, 13 al 18 Luglio
MAILLAND
2000 – Pietre parlanti nei monumenti megalitici bretoni.
in Quaderni dell’ Associazione Lombarda Archeologica, Milano pp. 147-160 MEZZENA F. 2000- Il sito megalitico di St. Martin-de-Corléans e riferimenti nell’Arco Alpino.
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Fonte: www.artepreistorica.com
Nelle immagini:
Menhir al museo di Laconi
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