Insieme a qualcun altro vado in stazione per partire. Siamo di fretta e c’è molta gente. La stazione somiglia a quella di Milano, è enorme, di marmo bianco, ma più vecchia e trascurata, piena di barboni e di gente che parte. Entriamo da un ingresso laterale nelle biglietterie, carichi di valigie. C’è coda agli sportelli e uno di questi espone un cartello scritto a mano con «Biglietti esauriti». Dobbiamo fare addirittura la coda con altri per entrare in una zona dove ci sono altri sportelli. All’improvviso sento gridare e mi giro. Un barbone, sporco e con una folta barba nera è caduto per terra in mezzo alla folla. Attorno alla testa si allarga una macchia di sangue nero. Prendo il cellulare e chiamo il 113. Mentre lo sto facendo mi ricordo che la stazione è anche un ospedale. Anzi l’ingresso è proprio dove ci troviamo ora per fare i biglietti, quindi il barbone verrà soccorso presto. Mi risponde un medico e gli spiego che c’è un uomo a terra con la testa rotta e tanto sangue. Mi risponde con una voce calma, ma anche partecipe: «Mi dispiace, mi dia l’indirizzo…». Gli spiego che comunque siamo di fronte a un ospedale e quindi ora probabilmente qualcuno lo aiuterà. Il medico mi risponde: «Si ricordi che l’importante non è che sia curato ma che…» (Non ricordo cosa mi dice, forse "che qualcuno se ne prenda cura"). Penso che è un medico molto saggio. Dopo la telefonata non vedo più il barbone. Vado fuori dalla stazione e lo vedo che cammina da solo, vicino due infermieri che lo fanno salire su un auto. La ferita era meno grave di quello che pensassi. (Mi sveglio).