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Steel

Creato il 21 gennaio 2012 da Elgraeco @HellGraeco
Steel

Steel, Acciaio, è un racconto di Richard Matheson. Giusto ieri abbiamo visto cosa ne è stato di lui, di Acciaio: ci hanno aggiunto un Real, come se dovessero certificarlo, come a dire, questa è la vera versione, ci hanno messo su la famigliola composta di facce simpatiche e fighe e ci hanno montato su un film.
Ma Acciaio non è quella roba là. Racconto breve dell’autore dall’immaginazione più fervida ch’io abbia mai visto, pur senza i trip lisergici di Philip K. Dick.
Poche pagine, viste attraverso gli occhi del narratore onnisciente. Tecnica invisa a molti, ahimé. Come chiamereste altrimenti lo spiegare le emozioni che il protagonista affronta di volta in volta?
Eppure, eppure, la magia della prosa fa il suo sporco lavoro e noi lettori siamo precipitati in un mondo caldo e polveroso, il futuro, in cui la boxe esiste ancora, ma, è stata sostituita, nella pratica, dai robot. Quando si dice che la narrazione sovrasta la tecnica e si fa beffe della giusta maniera di
Futuro secco e desertico, con le vampate di calore che assaltano nervi e stomaco dei protagonisti, che come bovini, con un vecchio robot malandato a seguito, un B-due, Maxo il Guerriero, salgono su un vagone diretti a un incontro che segnerà le loro sorti. O Maxo vince, e si concede così le riparazioni di cui necessita, oppure è la fine, per lui, per Acciaio (il suo manager, ex-pugile professionista) e per Pole, meccanico di classe A costretto a rattoppare il robot in continuazione.
C’è solo un però… Maxo deve affrontare un moderno B-sette, e potrebbe non uscirne intero.

[contiene anticipazioni]

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Steel

L’abilità di Matheson è riuscire a tratteggiare un’intera società cyberpunk (suppongo lo sia, non crocifiggetemi con questioni di genere) in due-tre pagine. E sono pagine e relative descrizioni che si piantano subito in testa.
I protagonisti sono soltanto tre, se si eccettuano le tre, quattro “comparse”, il passeggero del treno, il tassista, il signor Waddow, proprietario del ring dove avviene l’incontro e Lampo di Maynard, il B-sette. Maxo è una presenza muta, un robot cigolante e malandato, che necessita riparazioni profonde. Pole il meccanico disilluso e scettico, egli sa come sta messa la creatura, inutile prendersi in giro, non durerà; Acciaio il manager che s’illude del contrario, che quasi umanizza il suo “pupillo” e che non accetta la realtà, fino alle estreme conseguenze.
Bene, riuscire a mettere in piedi un impianto narrativo simile in una trentina di pagine e dargli una simile compiutezza, be’… tanto di cappello sul serio.

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Nessun sentimentalismo o dramma familiare che fa tanto cool, ma solo quell’universo stolido e illusorio, costruito su valori morali distorti, ai limiti del comprensibile; affidare il proprio futuro al combattimento di un robot e poi decidere l’impossibile, vista l’incapacità oggettiva, per Maxo, si sostenere l’incontro, salire sul ring di persona, fingersi robot per affrontare un match contro un vero robot, modello avanzato, imbattibile, per riuscire a stare in piedi almeno un round e portare a casa quei pochi soldi per andare avanti ancora qualche altro giorno. Epica e sangue…
Sorprende sapere, ma non poi tanto, che nell’universo di Matheson la Boxe Robotica è suddivisa in categorie di peso, esattamente come quella degli umani, che i robot sono costruiti per imitare il più possibile gli umani, con tanto di espressioni, movenze, lividi e sangue sottocutaneo, dei veri terminator ante-litteram.
E che dire dell’incontro? Teso, spettacolare, mostrato e sentito. Le gragnole di colpi, il dolore dei pugni assestati inutilmente sul torace di metallo del B-sette, noi li sentiamo con Acciaio, e ci stupiamo della follia, e un po’ soffriamo insieme a lui, a quest’uomo fuori di testa, che asseconda, come certi guerrieri greci, il suo destino, fino all’ultimo.
Ma è un mondo cinico, senza lieto fine che non ci si sia guadagnati da soli. E Matheson ce lo ricorda, fino all’ultima parola… le illusioni di rivincita sono sempre lì, non vanno mai via. E noi leggiamo e ci chiediamo perché non si sia realizzato un film del genere, anziché quello che è stato messo su. Ma, per i nostalgici del Bianco e Nero, sappiate che c’è The Twilight Zone… e un episodio omonimo.
Inutile rispondere, in ogni caso: come detto, non c’è lieto fine.

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