Stefan Flukowski
Stefan Bronisław Flukowski (1902-1972)
Prosatore e poeta polacco legato al gruppo letterario Quadriga, uno dei primi e principali rappresentanti del surrealismo in Polonia. Traduttore di Anatole France, Paul Eluard e dello scrittore svizzero Charles-Ferdinand Ramuz. Studiò filosofia alla Facoltà di Umanistica dell’Università di Varsavia e al tempo stesso diritto. Debuttò nel 1927 sulla rivista “Quadriga”. La sua prima raccolta di poesie – Il sole nella fatica giornaliera uscì nel 1929. La sua creazione era vicina all’Avanguardia di Cracovia. Nel periodo in cui Tadeusz Peiper e Julian Przyboś, tendevano ad esprimere l’eternità nelle immagini del tempo presente e della vita quotidiana, Flukowski al contrario, con la metafora dell’eternità esprimeva la ciclicità del presente. Il poeta si opponeva anche alla innovazione della forma, postulando la semplicità della lingua. La sua poesia manifestava l’apoteosi del lavoro come valore fondamentale del mondo. Motivo costante della sua creazione era il quadro del lavoro quotidiano dell’uomo, come compimento della creazione divina.
Le sue opere possono essere viste come rappresentazione del moderno prospettivismo. Le sue tecniche più caratteristiche sono le variazioni del punto di vista narrativo, le giustapposizioni di pareri e attitudini, l’esposizione della complessità inerente ai caratteri e alle situazioni, e la collisione di differenti lingue, allo scopo di scorgere sprazzi di realtà oltre la lingua. Poiché molti di questi espedienti si possono trovare sia nei drammi, che nella poesia e narrativa di Flukowski, si può concludere che la sua produzione letteraria lo colloca in una indistinta linea di confine tra l’avanguardia e il modernismo.
Ha scritto sei raccolte di poesie, sei drammi, racconti, le biografie di Słowacki e Norwid e il romanzo grottesco Le vacanze del nostromo Jan Kłębuch, che diversi anni fa il mio amico poeta Marian Grześczak (1934-2010) mi consigliò di tradurre. Desideravo farlo ma non trovai un editore interessato. Uscì poco prima dello scoppio della guerra e fu confiscato e bruciato dagli hitleriani. Per i suoi valori artistici e per la problematica intellettuale e morale in esso toccata, questo romanzo – notevole esempio di prosa sperimentale nel periodo tra le due guerre, non ha perso la sua attualità e può essere raccomandata ai lettori dei nostri giorni. Flukowski in questa sua opera affronta il problema del mito: del suo sorgere, delle sue conseguenze, del suo contrasto col pensiero razionale. Attorno a questo tema si svolgono tutte le altre costruzioni narrative e filosofiche di questo interessante romanzo, saturo di un straordinario simbolismo. Forse si troverà finalmente in Italia un traduttore e una casa editrice interessati a pubblicarlo.
P.S.
Di Stefan Flukowski ho tradotto questo poema:
Johann Sebastian organista
Al dott. Franciszek Łukaszczyk
“Il pianoforte ben temperato”,
nero, lucido di lacca,
scorre nello spazio come pianeta
regolare, preciso,
ubbidiente alle leggi proprie
dell’armonia assoluta.
Basteranno cento anni,
perché diventi un sole
e accenda in ciascuno la fiamma.
Una nuvola con chiave di ebano
nuota sui campi di grano,
un’allodola si alza in volo, si alza, si alza
e in questa chiave
canta un allegro madrigale.
*
Da tre giorni il giovane cammina,
da tre giorni è diretto a Lubecca
dove risiede Buxtehude,
oltremodo abile organista
e compositore eccelso.
Vuole prendere lezioni da lui,
desidera sapere
come quattro o sei torrenti
trasformare in un solo fiume,
e di questo fare un mare
coronato da un orizzonte
di cadenze, code, finali…
Il giovane andando a Lubecca
sotto un albero passa spesso le notti.
Non può addormentarsi…
Si costruisce un organo
nella corona di un tiglio, di un olmo, di un carpine,
suona.
Inizia con un vecchio ricercare.
L’ha trovato oggi sulla strada,
un bel manoscritto, lasciato cadere
da un’antica carrozza italiana,
che lo aveva incrociato ad una svolta.
Non c’era nessuno in essa, nemmeno il cocchiere,
ma correva a meraviglia
tra due file di olmi e di pioppi.
E man mano che si allontanava,
somigliava a Venezia –
oro e azzurro.
Ha già trovato il tema, già lo trattiene,
conduce con precisione quattro voci –
dux quinta comes
pedale manuale, poi insieme,
dalle quinte passa alle ottave,
dalle ottave ai sedicesimi.
La fuga si svolge senza interruzione,
si raddoppia, acquista nuovo vigore:
da forte a fortissimo, presto, presto,
e a un tratto si abbandona nel paese
del sogno, dell’oblio
insieme con l’organo nella corona degli alberi.
Dorme adesso respirando regolarmente,
fili d’erba nei capelli,
un coleottero finito nell’orecchio
ronza con le quattro coppie di zampe –
ogni cosa intorno stride come un grillo.
Cammina già da cinque, sei giorni,
si reca sulla strada per Lubecca
dal maestro Buxtehude
per studiare composizione,
penetrare gli arcani dell’esecuzione,
il meccanismo dello strumento.
Canicola, ma continua a camminare,
ha infilato la parrucca in un bastone
accanto al fagottello col pane.
E neanche sa
che è più alto dei pioppi.
Nelle bianche calze i grossi polpacci
sono più grossi dei tronchi più grossi,
la parrucca è una nuvola.
*
L’organista
con le calze bianche
grasso ed estasiato
corre là dove ci sono
quattro pianoforti,
e si siede davanti a tutti e quattro.
Suona
un concerto per quattro pianoforti.
E’ solo…nessuno lo ascolta…
Soltanto gli uccelli sono ammutiti
e la pioggia ha smesso di cadere.
Il pubblico verrà nel successivo,
diciannovesimo secolo,
negli abiti Louis Phillipe.
Senza sosta si alzerà il coperchio del pianoforte
e tingerà di rosso scarlatto la scena,
sibilerà un proiettile,
scintillerà una baionetta,
strapperà un foglio di musica.
…passa al piano…
poi di nuovo con gli accordi
iniziano le cannonate.
Johann Sebastian l’organista,
– la parrucca ben bene incipriata –
corre all’interno dell’organo,
salta da registro a registro,
stimola con il contrappunto,
insegue con le fughe,
Johann Sebastian, l’organista Johann…
E da tutto questo
dritta in cielo
la melodia più pura.
Sulle strade
all’improvviso
un vento folle –
strappa i cappelli ai passanti,
li getta sui tetti,
sposta le case forti come roccia,
lacera i dialoghi nelle tragedie,
frantuma i cristalli dell’aria
e comprime gli intermezzi.
Qualcuno corre per la strada
spronando un cavallo
trasformato in vento,
in uragano, in tornado,
in coefficiente di velocità.
E possono resistere soltanto gli alberi
col più alto indice
di elasticità.
Volano le pietre miliari,
i cappelli e
i portali delle cattedrali,
vola la gente,
che in un giorno di mercato
i corali di Johann Sebastian
hanno trascinato via.
*
Johann Sebastian, l’organista,
siede a tavola con la famiglia.
Dietro la finestra il bel tempo
in abiti domenicali,
con un fiore di visciolo sulla fronte
invita gli uccelli sui rami.
Attraverso la finestra
un solerte zeffiro
spinge
i profumi dei prati e del frutteto,
le fronti rinfresca,
dagli angoli caccia via i ragni.
A tavola l’Oceano –
otto figli a destra,
otto figlie a sinistra –
dalla gamma di otto toni costruisce
il pianoforte ben temperato.
*
Nell’organo ventilato
un angelo ha perso una piuma,
verrà l’organista
e soffierà via la piuma
con una cannuccia di stagno
sulla chiesa
in un allegro mattino domenicale.
Quando la chiesa è vuota,
e l’organista
in casa dopo il pranzo sonnecchia,
gli angeli coi diavoli
cominciano a scherzare:
ora a nascondino
giocano dietro l’altare,
ora si rincorrono nell’organo.
Allora succede,
che pestano un registro stabile
o tutti i toni in una volta.
L’organo rimbomba
come nel giudizio universale,
e in un altro momento si lamenterà
con l’armonia di Johann Sebastian.
Nella canna più larga
siedono un diavolo e un becchino.
Già da tre giorni bevono birra,
cantano canzoni oscene e
mangiano arrosto di montone,
e bevono, e cantano,
mangiano
e bevono
nella canna più larga
il diavolo e il becchino.
E’ arrivato l’organista
da un torrente di cristallo
e con un corale a quattro voci
il canto, la birra e il diavolo,
il becchino e l’arrosto
ha soffiato via sotto la volta
e tutti
hanno visto soltanto due pipistrelli.
Nell’organo ventilato
un angelo di è assopito di gusto
la sera –
e al mattino
verrà l’organista
e comincerà a svegliarlo.
L’angelo destato
sui registri dei toni
salterà fuori dall’organo
e colpirà il soffitto,
respinto dal soffitto
si appiattirà sulla vetrata,
si condenserà nell’estasi…
E allora
un raggio del novello sole
lo introdurrà nel rosa
e lo riscalderà.
Il vecchio alzamantice,
che con una donna viveva nel peccato,
si ubriacò e cominciò a imbrogliare,
rubò una stella all’angelo,
quando nel boccale si assopì,
e la nascose nel mantice.
Quando la domenica mattina
Johann Sebastian
le toccate, le fughe e i corali
a modo suo rafforzò,
la stella schizzò
lontano dietro la luna.
Il sole è appena sorto,
l’organista Johann Sebastian
corre nell’enorme organo,
salta da un registro all’altro,
insegue tema con tema.
Rimbombano le fughe, le toccate,
si accumulano le messe e i corali.
Neanche si accorge,
che su di lui c’è già un altro sole:
l’Opera Omnia di Johann Sebastian.
(C) by Paolo Statuti
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