Sono le 18 e 30 circa, arrivo in anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento, trovo così il tempo di concedermi un caffè. Mi dirigo verso un bar in cui non ero mai entrato prima e ne ordino uno quando mi accorgo di aver già visto da qualche parte il banconista. Era un compagno di scuola, uno di quelli che per sbaglio incontri nei corridoi, nei bagni, ci scambi due parole, una sigaretta magari, che poi rivedi di tanto in tanto in giro e risaluti, pur non ricordando o conoscendo nulla di lui. Memoria visiva che fa il suo strano gioco; così scambiamo due parole. Lui mi racconta di lavorare lì ormai da due anni ma di voler in qualche modo tentare la via della fotografia, della grafica, dell’immagine, ciò che in pratica ha studiato alle superiori. Gusto questo caffè fino in fondo, ricordando quelli presi nei giorni di scuola. Nel frattempo, la conversazione si esaurisce e con essa anche il contenuto della tazzina; giunge così l’ora di avviarsi. “Provo” a pagare, ma vengo immediatamente fermato dall’amico ritrovato, che insiste per offrirmi la buona bevanda da lui preparata. Qualche secondo di esitazione ed imbarazzo, una stretta di mano amichevole e un arrivederci.
Accendo una sigaretta, controllo lo schema che avevo preparato e mi dirigo al Mammut Art Space, galleria accattivante che ospita la personale fotografica di Stefania Di Filippo intitolata “Strade, visioni sulle orme del contemporaneo”. L’artista mi aspetta dentro il locale: ci presentiamo, due convenevoli di circostanza e ci addentriamo nella mostra. Iniziamo così il percorso fotografico scambiando opinioni, impressioni, concetti che emergono dalle sue rappresentazioni. Stefania è una donna brillante, lo percepisco dal suo sguardo, dai racconti dietro le foto, dalle idee che tramite l’immagine smuovono il vitreo, lo impressionano come un flash. Le sue sono storie di contraddizioni, di spazi, sono storie dell’uomo e dei suoi archetipi, di un’umanità sì evoluta, ma che corre dietro al progresso, lo insegue, lasciando così solo delle tracce, delle orme. Stefania segue quelle orme, le documenta e ne diventa testimone assoluto, si fa cronista di una realtà squisitamente urbana, fatta di sentimenti e calcestruzzo. Predilige il bianco e nero, il contrasto assoluto, giustificando l’antitesi cromatica nella volontà plastica dei soggetti e dei luoghi catturati. Soggetti e luoghi. Sono i due must della Di Filippo, l’alfa e l’omega del suo fil rouge iconografico.
Il soggetto è l’uomo, è la vita vissuta dal singolo e dalla collettività; sono dunque scatti antropocentrici e urbani, perché non c’è palco migliore di una metropoli, con i suoi costumi, suoni, volumi. Stefania infatti viaggia attraverso l’Europa delle grandi città, scintillanti di grazia e maestosità, concentrandosi però sul dettaglio suburbano, sul viandante solitario, sul volto ancora semi-romantico, ancora vivo. Mi confessa di essere una grande camminatrice, ama assaporare il luogo, calpestarlo, farlo suo col corpo prima che con l’immagine, ed è spesso durante le sue passeggiate che le capita di immortalare l’attimo, l’istante irreplicabile in cui un gesto o un movimento si esegue. Coglie il residuo di energia impresso nell’azione, coglie la tenerezza di due giovani amanti (forse uno degli scatti che ho più apprezzato) in uno dei loro tanti momenti di felicità, lei con la sua arte, li regala all’eterna contemplazione.
I soggetti di Stefania hanno sempre una storia, talvolta sono essi stessi a raccontarla: si parte da un volto, da un luogo, e pian piano questa prende forma nell’immaginario. Talvolta invece, l’evidenza è talmente ben descritta da meritare solo un compassato silenzio, per lasciare spazio alla catarsi visiva, alla sorda devozione all’opera. Concludendo, credo che la fotografia sia oggi sottovalutata, screditata dal qualunquismo e dalla presunzione dell’uomo, che di un’arte preziosa come quella visiva, ne ha fatto palcoscenico della massa, eppure, la dedizione e la passione nell’opera di Stefania Di Filippo, che si dichiara negli alti contenuti da lei proposti, rende gloria alla categoria, e propone sicuramente un esempio importante di cura della realtà.