È un paese, il nostro, capace ogni volta di stupire e di catturare l’attenzione di chi ci osserva sia da lontano che dalla prospettiva interna, la nostra.
Ogni nazione, in proprio seno, ha profonde contraddizioni, figlie di processi storici abbastanza controversi, che inevitabilmente segnano anche la storia di questo paese. Non è oggi che scopriamo l’immensa incoerenza insita in ogni aspetto della vita democratica di un paese abbastanza vecchio come il nostro e non sarà di certo solo questa sentenza di oggi a definire la fine di queste situazioni che lasciano quella dannata sensazione di amaro in bocca e che evidenziano un difetto di forma, proprio della struttura democratica su cui si impianta anche la nostra storia repubblicana.
Lungi da me il commento “per convenienza” della struttura giudiziaria italiana, buona quando assolve chi ci piace e cattiva quando assolve chi non ci piace ma la mia intenzione è il superamento di questa dicotomia, secondo il mio punto di vista molto superficiale se non si giudica nella sostanza una sentenza invece di omologare il criterio del giudizio ad una sentenza ed il suo risultato ad ogni processo, che tradotto in parole semplici è “non tutti i processi sono uguali e bisogna giudicare non il risultato, cioè l’assoluzione o la colpevolezza omologati per ogni processo, ma la sostanza dello stesso, il vizio di forma e l’incoerenza insita nel cammino giudiziario del risultato”.
Quello che è accaduto oggi, da cui nasce l’esigenza, dal mio punto di vista, di un articolo che voglia vederci chiaro in questa sentenza che senza ombra di dubbio ha procurato non poco stupore, a mio avviso, anche negli addetti ai lavori, ha dell’incredibile. Rigettando il risultato della sentenza di primo grado, viene accertata e certificata in appello l’assoluzione di tutti gli imputati, compresi i medici. Ora per vederci chiaro, sia nel mio discorso di prima, sia per quanto riguarda la sostanza del processo bisogna mettere in ordine ogni cosa, così da darvi oltre che il mio parere sui fatti anche la realtà dei fatti acclarati dalle carte del processo.
Stefano Cucchi è un cittadino italiano ed un essere umano, prima di essere “collocato” ,successivamente al suo arresto, dal senso comune tra le categorie dei reietti, tra le categorie di quelli di cui si può fare a meno, di quelli che insomma non servono ad un cazzo a questa società. Stefano aveva una famiglia normale alle spalle prima che la sua morte(questo giudizio di appello certifica che è si è autolesionato dato che non ci sono colpevoli) lo reintegrasse nella società come un essere visibile, da morto, perchè da vivo Stefano era uno di quelli che chiamano invisibile, uno che ti passa accanto e nemmeno ti accorgi della sua esistenza, come tanti altri a questo mondo. A parte la passione per la boxe, prima della sua morte Stefano cominciò ad avere seri problemi con la droga, una dipendenza che porterà lui come altri a stretto contatto con la realtà delle comunità terapeutiche.
Il 15 Ottobre del 2009 la vita di Stefano cambierà per sempre, ed anche quella della sua famiglia. Viene arrestato dalla Polizia perché in possesso di sostanze stupefacenti e quindi preso in custodia fino al processo per direttissima il giorno dopo. È proprio il giorno dopo a mostrare già uno Stefano diverso rispetto al giorno precedente, infatti mostrava i primi segni di percosse evidenti, rese ancora più evidenti dal suo fisico molto ossuto e dalla sua carnagione abbastanza chiara. Ematomi agli occhi e difficoltà a camminare erano i segni abbastanza evidenti della diversa condizione di salute rispetto al giorno prima. Viene inviato al carcere di Regina Coeli in custodia ma le sue condizioni peggiorarono tanto da indurre il personale del carcere a farlo visitare rapidamente all’Ospedale Fatebenefratelli dove verranno riscontrate, a referto, numerose fratture, ecchimosi evidenti in tutto il corpo ed un’emorragia alla vescica che non portarono ad un suo ricovero forzato nella struttura, dato che egli stesso rifiutò il ricovero. Le sue condizioni di salute continuarono a peggiorare ed il suo corpo ormai era ormai diventato una semplice copertura di pelle alle sue piccole ossa. Stefano muore nell’Ospedale Pertini, il 22 Ottobre, appena una settimana dopo il suo arresto, da solo, perchè la sua famiglia verrà informata solo per l’autorizzazione da parte degli organi competenti alla sua autopsia.
Questa è la storia di Stefano ed è finita, è finita una settimana dopo il suo arresto, all’interno di una camera mortuaria era visibile il suo corpo ed alcune fotografie, ancora reperibili in rete, dimostravano l’abomio subito dal suo corpo, che ha retto fino a che ha potuto, poi si è lasciato andare alle spalle la vita.
L’altra storia invece, la storia di quelli che in maniera vile e in modo ancora più barbaro l’hanno mandato all’altro mondo viene riesumata oggi, dopo la sentenza di appello che li riconsegna alla società, in attesa del terzo grado di giudizio, come innocenti, in tutto e tutti. Come se, barbaramente e con una forza che a guardare quel corpo ti pare impossibile immaginare, quella violenza, tutti quei segni di violenza Stefano se li sia procurati da solo. Si anche quelli dietro la schiena, in prossimità della spina dorsale, probabilmente facendosi prestare una mano, ma credo più di una ed anche qualche piede, dal suo amico immaginario.
Si pensa troppo spesso che la condizione umana, ed il suo corso, debba essere sempre legata indissolubilmente allo status ricoperto dagli stessi nella società.
Anche per questo ho creato questo spazio virtuale, semplicemente per continuare a considerare gli esseri umani irrimedialmente con gli stessi diritti, ma non per questo con doveri diversi, senza alcuna distinzione, nemmeno di status. Per questo sottolineo e continuo a pensare che la colpa di Stefano, prima e dopo la sua morte, sia stata di appartenere alla categoria degli invisibili, strettamente connessa alla condizione di drogato.
Gli invisibili sono ovunque e lo sappiamo, solo che per noi non fa nessuna differenza perchè evitiamo di guardarli, di prestare loro attenzione, di considerare il contesto in cui vivono, il loro retroterra culturale e sociale, per poi osservarli vittime di un meccanismo più grande di loro, dove vengono schiacciati ed imprigionati in quelle incoerenze proprie del circolo democratico che molto spesso presenta delle falle, mai risanate.
A Stefano Cucchi, a Federico Aldrovandi, a Giuseppe Uva ed a tanti altri nomi, divenuti inchiostro nero tra le pagine di articoli di giornali dopo le loro assurde morti, dovremmo solo chiedere scusa per non averli aiutati in vita e non averli rispettati da morti perchè ad una parte consistente di questo paese, di questo ormai marcio paese, non interessa più la verità perchè loro Sono nati, cresciuti e presumibilmente moriranno nella finzione.
“Hey you! Don’t help them to bury the light Don’t give in without a fight.”