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Stefano Lorefice - Frontenotte

Da Ellisse

stefano lorefice - frontenotteStefano Lorefice - Frontenotte - Transeuropa 2011
Questo libro di Stefano Lorefice, autore già presente anni fa su questo blog a proposito della sua precedente raccolta "L'esperienza della pioggia"(v. QUI), esce nella collana "Inaudita" di Transeuropa, in cui il libro è generalmente accompagnato da un CD musicale di artisti diversi. CD che è in sé interessante e utile come musica d'ambiente durante la lettura (a meno che non preferiate qualcosa d'altro), ma che a me pare non abbia molta relazione "artistica" con il libro, anche perchè  nessuno o quasi dei testi delle canzoni appartiene a Stefano, né l''autore vi recita alcunché. Ma può anche darsi che sia io a non aver capito il senso dell'operazione, che comunque a me sembra non volesse certo essere di interazione tra media. La scrittura di Lorefice non è molto mutata nel tempo. Ha trovato il suo stile, scarno, disincantato, senza patetismi, con un corredo lessicale quasi giornalistico, poca prosodia e abbastanza prosa, con una aritmicità che segnala bene il disincanto, la disillusione, l'impotenza con cui l'autore registra gli eventi, le casualità, soprattutto quando le casualità sono i relitti di una realtà urbana che ormai non ha più niente di eccezionale, ma appartiene semplicemente ai nostri tempi. Così, nella prima delle cinque brevi sezioni in cui è diviso questo libretto, intitolata "Confine estremo del rumore", il rumore forse è quello di fondo dei dropouts, delle puttane, dei diseredati, è forse quello che in fondo ci disturba, in cui ci imbattiamo magari andando al lavoro, da cui cerchiamo di marcare la distanza, forse inquietati dal fatto che si tratta di una "periferia centrale", cioè che ha ormai esondato dai confini della sua riserva sociale. Al "confine estremo" c'è un fronte e il fronte è quello della notte, che segna quasi uno scambio di ruoli (e di possesso delle città, del paesaggio) tra chi è in e chi è out, tra chi è incluso (e forse contempla con timore il disastro) e chi è escluso. Se il paesaggio o l'orizzonte si spostano, magari in "questa fossa comune mascherata d'europa", l'inquietudine non smette di mordere. Tuttavia si sposta lo sguardo e con esso l'interagire di chi scrive. E così nella sezione "Dimestichezza della notte" l'osservazione si fa diretta e personale, attraverso un "io" solitario ma poco lirico, quasi incorporeo, fragile di fronte alla consapevolezza che non tutto è dicibile; nella sezione "Lampioni lungo lo slalom del vento" lo scenario diventa rurale, lacustre, un po' spopolato, familiare ma contaminato anch'esso da "crepe", da sconfitte di una natura con cui però si può ancora coabitare, e lo sguardo si fa malinconico e rassegnato, e si avverte come una riappacificazione. E' nella seconda sezione,"Manutenzione degli amanti", che semmai, a dispetto del titolo tecnicistico, la voce si fa intimista e lirica e se non mancano le ombre della dinamica amorosa, esse sono poi risarcite da un confronto umano e affettivo con l'altro che sfocia in testi perfino disarmanti. Sempre, su questo fronte non sempre notturno, vaga un senso profondo di inadeguatezza, di registrazione di problemi senza soluzioni, forse anche di limitatezza della parola poetica. Eppure, "come di schianto" (il titolo dell'ultima sezione), all'improvviso possono verificarsi piccole epifanie, aperture di vie di uscita tanto minimali quanto irrinunciabili come apparizioni, che rompono la solitudine e danno qualche speranza che il poeta non può non cogliere: un cieco che vende biglietti della fortuna e sembra "vedere dove non si vede", un gabbiano che vola per le vie del centro o l'immaginare qualcuno che nel flusso convulso di chi va al lavoro decide di essere "unico", di andare in senso contrario. E a volte, dice Lorefice nell'ultima poesia, "questo basta".


da Confine estremo del rumore
***

si allontanano fra i bidoni

neri della produzione in crescita,

lei ha il trucco appena segnato

e nel corpo ancora scosso il viso

dice tutte le cose,

consumano in parcheggi

estemporanei gli incontri,

appena il freddo dà tregua

nel dopolavoro, stanno sul fondo

e riemergono, come in un'ottava

ripresa dove muso duro

a muso duro

ci si gioca una carriera

da pugili di zona industriale
***
Le cose terribili viste, masticate

due volte e ridate con cura

una per una, le mani pronte

sgraziate, che servono per questo

freddo guanti, non il

paltò del nonno,

si vive troppo, e troppo addosso

da queste parti,

forse perché così vicini non

si notino le falle nella materia.

E' l'intuito da palombaro

di miseria

che salva, poi, da questa fossa

comune mascherata d'europa.
***

tra le rovine
in questa periferia centrale
siamo impegnati a baloccarci
con l'idea d'essere vivi davvero,
corpo a corpo
fra animali della stessa specie
fuggiasca, senza accorgerci
che fuori le pianure
esclamative
s'occupano del vento
c'è chi se ne sta in disparte
muto, nel suo essere-viaggio
curvo sui sandali usati,
consumati,
le nuvole sopra
a portare pioggia
in senso contrario,
col nome esatto delle cose
(Bourges - Francia - Settembre 2007)
da Manutenzione degli amanti
***
A volte basta proprio poco: tu che di là cuoci due uova in
nove minuti esatti, canticchiando una canzone allegra. Così
lo scucito dei nostri corpi riposa, torna fra me e te, rincasa.
Anche allora era tutto così semplice:
all'inizio della primavera tua nonna prendeva il primo latte
munto, con un mestolo di legno lo spargeva sul prato "questo
è per voi popolo delle foreste" diceva.
(Norvegia - 2007)
***
la grande fatica fatta
per ritrovare i pezzi
sparsi nella stanza
tu non la conosci,
che mi pare, a volte,
d'essere stato un guastatore
fermo nell'attesa, di straforo
con le sue beghe da sfollato
che se la cava appena
da Dimestichezza della notte
***

mi accorgo che servirebbe
una parola grande
per parlare della neve,
pensarla senza pensare
cominciando dal silenzio
dei campi
che portano al lago
***

si crede davvero
che sia una semplicità
di gesti, unghie, profili
di strade sterrate e prati
al punto di vedere
dove tutto cede
sfinisce
disarticola e rende il corpo
sottile, ma sono anche io
nei tram popolosi
la sera, e di poeti
nemmeno l'ombra
da Lampioni lungo lo slalom del vento
***
Dobbiamo negoziare una nuova tregua. Un tempo qui era
pieno di rondini. E le crepe nei muri ancora non si vedevano.
La valle, prima o poi, si riprenderà tutto. Non serve rinforzare.
Sarà il passo della faina a vincere.
(Soriate -10-11-2007)
***

si perdeva in pensieri sbilenchi,
un occhio qui l'altro cieco
bianco,
contadino increspato d'altre stagioni,
se alzava la testa
sembrava sorridere
"Che ne sapete del grano voi?"
convinto d'essere tutto,
la mano la stringeva forte
con l'aria di chi ha un segreto
da dirti
ed era una breve poesia
o una filastrocca
il suo conoscere il tempo giusto
per la semina
da Come di schianto
***
Si spostano a migliaia
di mattina verso il centro
oppure verso zone
periferiche industriali, gambe,
sguardi, indifferenze e passi. Se anche solo
uno di loro muovesse in senso
contrario, risulterebbe indifeso,
sgraziato, da poco. Nell'opera
dei decenni che hanno creato le masse
sembrerebbe fuori posto, alienato,
unico.


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