Questa coincidenza di due modi avviene attraverso la dichiarazione di un'appartenenza alla stessa specie - fratello per identico destino - partendo dai risvolti della propria biografia: "I testi che compongono questo libro sono stati scritti in un tempo particolare, segnato da un grande abbandono affettivo e da eventi stravolgenti a livello storico come: i fatti di Genova (G8), l'11 settembre, la Seconda guerra nel Golfo (Iraq).
In questo modo Raimondi restituisce la lirica al canto coreutico, cioè quella dichiarazione distaccata, altissima - melos condiviso e cosciente - che mai si allontana dal fatto ma, anzi, lo solleva sugli altari di una meditazione condivisa. È una prova, questa, da affiancare ai risultati di un altro importante libro di questi anni " Il mondo è vedovo ", di Paola Turroni.
Queste poesie, dunque, fanno coincidere dolore collettivo e dolore personale, risolvendo con uno scatto - che è un gesto, piuttosto che una meditazione - il tradizionale divario tra un "io" caparbiamente ancorato alle sue urgenze, e un "noi" che ha pochi cantori in poesia, eppure terra fecondissima in cui il cinema ha affondato da tempo le sue radici.
All'ospedale psichiatrico medici e infermieri seppelliscono montagne di cadaveri che ormai non trovano più posto da nessuna parte.
[12 april3 2003]
Tienimi vicino a un dolore solo.
E che sia una la follia, una per tutti
fino a ripeterla dalla stessa bocca
dalle stesse grotte, fino a farla diventare
di pietra, ginocchio, inchino.
p. 65
E' un esempio di come ogni testo del libro funzioni come il tassello di un mosaico più vasto, predella di un grande diluvio in cui i corpi annaspano nel dolore: "farai omini morti, alcuni ricoperti mezzi dalla polvere, e altri tutti. La polvere che si mischia coll'uscito sangue convertirsi in rosso sangue..." (Leonardo da Vinci, citato in apertura).
Forse più importante risulta la citazione di Ingebord Bachmann: "La guerra non viene più dichiarata, ma proseguita. L'inaudito è diventato quotidiano", mostrando come il tempo descritto da Raimondi, sia quello di un'apocalisse che si avvera nel sentimento dell'urgenza. Ne è prova, pur all'interno di un testo concretissimo, la funzione degli uccelli, aruspici e premonitori, ma anche viaggiatori spersi di un paesaggio di disgrazie, dove sovente la carne scoppia e i liquidi trasbordano dalle loro cavità:
Fanno premonizioni gli uccelli
tolti a questa primavera. Volano
come mosche nere rasoterra
contro muri, finestre, stipiti imbiancati
dentro Tebe e non per cercare cibo
ma amori tolti male: guerre.
p. 11
La poesia, insomma, dichiara il suo presente, tempo in cui essa brucia le sue visioni più vere, maledetta come Cassandra, destinata a prevedere un futuro che è già iscritto nel nostro adesso. Queste poesie, allora, fanno i conti con le cose nominate dai calendari della Storia, "Non rendere falsa testimonianza: anche la neve è un sì o un no che presto finisce"; forse con la propria stessa storia poetica, citata a partire da un orto, (si veda il primo libro di Raimondi, " Le città dell'orto"); da una "lettera da un fronte": "sto molto male da questo posto, da questo orto fatto per restare lontano, da questo isolamento bendato di lini e poltiglia: da questa città..."
E ancora più esplicitamente: "È proprio questa la città che uccide.//Scappiamo fuori dalle mura,/prima tu e poi io; prima/tutto il nostro stare riparati poi/tutto quello che non abbiamo fatto abbastanza."
A volte la poesia chiede umilmente la stampella della cronaca, si lascia attraversare dal racconto delle cose ineluttabili. Si affina, diventa più corrotta e vulnerabile, ma proprio per questo più necessaria.
Sebastiano Aglieco***
(I particolari possono essere storie: inizi, in qualche modo, gesti mai decisi in tempo.)
Manca poco all'11 settembre.
Si sarebbe rasato in fretta. Sarebbe uscito. Avrebbe gridato
qualcosa a qualcuno per farsi capire, ancora da vivo.
La luce del bagno è rimasta accesa, tra i peli seccati nel
cerchio dell'acqua.
Si leggono i fondi di caffè per il futuro.
Lì c'era di che capire.
p.20
***
[3 marzo 2003]
Partire è trovarsi già qua
è restare tra le veglie e le notti
con il battesimo vicino. Non so
cosa succederà domani, chi
scoppierà per primo. Ho
il mio femore nel bianco e la luna
è così chiara e senza sangue
che a guardarla fa tremare.
Anche da qui, si scrivono già
lettere lontane. Farle arrivare
diventerà il problema, l'osso
rotto nelle frasi.
p.28
***
[4 marzo 2003]
Hai ragione tu:
bisogna onorare la gioia.
E allora stammi vicino, così
fino alla penombra, al buco rosso
del passaggio colato via, per terra
vicino al mare. Tra poco saranno
le sirene a darci corde, tappi di cera
paura. Da una città all'altra si inizierà
a morire per caso. L'acqua la prenderemo
finchè ci basta, finché la sete la riconosceremo
ancora, dagli occhi e dalle labbra, nei baci.
p.30
***
[19 marzo 2003]
La guerra e l'abbandono stanno facendo opere.
Quali riconoscere?
Si tengono lontani i bambini dai confini:
fanno paura ai sogni, alle trincee bruciate
ai sì. Ci sono vicende umane che partono
da qui, storie che sanno cosa prevedere.
Fanno trincee i bambini: le fanno con gli stracci
e le tengono, le lavano come ci fossero
solo madri da coprire.
p.33
***
[30 marzo]
Anche qui è tutto un bombardamento
una guerra guerreggiata tra cuori
scapole, polmoni, femori, caviglie.
E non si sa il nome di nessuno
la faccia di chi crepa tra le mani
e neppure di chi ci stava vicino da tempo
con la sua pigiata, ben trovata
con la notte e il suo silenzio.
Dai colpi, dagli incendi, dalle bombe
non escono che pezzi tolti alla cieca.
Amore dove sei?
I primi spari sono partiti.
La colpa incendia gli amanti
e gli armamenti. La polvere ci copre gli occhi
e il fiato è tolto come un'esplosione.
Feriti a Bassora, morti a Baghdad
e di te non so più niente. Qui
si mischia tutto. Le notti arrivano già cariche
e ferite: il sangue tra le gambe frena.
p. 38
***
Un vecchio con un braccio fasciato tossisce insistentemente [...].
Stiamo vicino come in un mattatoio.
L'amore lo facciamo da qui dove
i sessi sono esposti sugli uncini.
Ogni massacro ha la sua pulizia.
p. 51