Stefano è una di quelle persone che ci hanno contattato in punta di piedi ma che sono subito entrate a far parte del mondo di Destinazione Libri.
Non sto a raccontarvi molto… lo sapete, preferiamo farli conoscere direttamente… con le loro stesse parole…
Di cosa parlano i tuoi libri? Quando me lo chiedono io rispondo sempre: «Scrivo cose strane». È che amo le storie non comuni, l’anomalia, il “salto” o la “scossa” attraverso i quali l’ordinario si fa meraviglioso… Mi attraggono i personaggi nel loro divenire, nel loro trasformarsi. E c’è un momento che mi affascina su tutti: quello in cui il protagonista scopre il suo rovescio, il lato nascosto del suo essere. È l’istante del massimo conflitto, il culmine della crisi. Quello che mette in discussione una vita intera. Per descriverlo mi piace sperimentare nuove strutture narrative, incrociare e mescolare le tipologie, i vari registri linguistici: ad esempio il mio Del Morbo – Una cronaca del 1770 gioca a fondere il genere storico con il resoconto e con il romanzo epistolare, in un linguaggio che ricalca modalità settecentesche; Lo Specchio di Orfeo (che è stato pubblicato anche in Portogallo: O Espelho de Orfeu) è un thriller esoterico in cui ho inserito ciò che resta di un manoscritto medievale, brani da un saggio d’argomento filologico, registrazioni audio, articoli di stampa, e-mail ecc. (tutto, ovviamente, frutto d’invenzione)…
Quanti ne hai scritti? Una ventina. Tra editi e non. Ma la quantità non conta. Oppure no?
Stefano, da dove nasce l’idea di scrivere un libro? L’idea alla base di un libro può avere molte origini. Può nascere da un’emozione, da uno shock, da un episodio vissuto che ci ha coinvolto in maniera prepotente. Può derivare dalla lettura di altri libri – o anche dall’incontro con uno stile narrativo sconosciuto, totalmente nuovo (che ovviamente non ci appartiene, ma che è in grado di aprire verso altre costruzioni linguistiche, che può prepararci ad esplorare un nuovo panorama espressivo). Oppure è una semplice immagine, o una frase (a volte addirittura lo stesso titolo del romanzo), talmente “forti” da trascinarsi dietro, a poco a poco, una storia intera. È il caso del romanzo storico Del Morbo – Una cronaca del 1770: qui sono partito dalla tremenda visione finale del libro; è da quella che, via via, hanno preso le mosse ambientazioni, personaggi, trama. Comunque, quale che sia l’embrione da cui poi il romanzo si svilupperà, ha sempre qualcosa di magico, di inafferrabile, di fragilissimo: è come inseguire una farfalla sconosciuta, rarissima, attraverso territori altrettanto ignoti. Scrivere è mettersi in viaggio, avventurarsi…
Qual è la fase più difficile nella stesura di un libro? Forse proprio il cominciare, la famigerata «pagina bianca». Ma ogni opera ha una storia a sé, difficoltà diverse. Nella scrittura, tra le molte, c’è una lezione davvero faticosa che vorrei imparare: la pazienza. I periodi, i paragrafi, devono decantare nella coscienza dell’autore. Solo allora, trascorso il tempo necessario, emerge il superfluo – ciò che andrà tagliato – e la lacuna da colmare – quello senza il quale un romanzo, un personaggio o una sequenza mancano d’incisività.
Il tuo editor chi è? Di volta in volta quello della casa editrice con cui pubblico. Prima di questo passaggio faccio tesoro di quanto mi viene segnalato dal solito piccolo gruppo di “divoratori di libri” cui sottopongo i testi. Un lavoro prezioso è poi quello dell’editor e traduttrice dal francese Guya Parenzan, alla quale mi lega ormai anche una bella amicizia. Ho avuto la fortuna di incontrarla più di dieci anni fa proprio in occasione di un corso di editing dell’agenzia letteraria «Il Segnalibro», per la quale lavorava, a cui ero stato invitato come autore. Da allora, Guya è passata per varie esperienze editoriali (Castelvecchi ecc.), ed è un mio riferimento imprescindibile. Personalmente, considero l’editing una fase importantissima nella vita di un romanzo, e ritengo che nessun autore possa essere anche editor di se stesso. Soltanto un editor ha la giusta distanza dal testo, può renderlo più fruibile per il lettore. In questo senso è fondamentale che l’editor e l’autore si confrontino e collaborino.
I tuoi libri: dove possiamo trovarli? Il mio ultimo romanzo, La Serpe e il Mirto (1978), edito da Parallelo45, è disponibile nelle librerie
Che lettore è Stefano ? Un lettore esigente. E pieno di passione quando un testo merita. Ma non un divoratore di pagine. Sono lentissimo. Leggo e rileggo – torno costantemente sulle frasi – in una sorta di riscrittura interiore. Cerco di imparare, sempre e comunque, da queste creature che amo tanto e dalle quali non potrei mai separarmi: i libri…
Libro scritto, parti riviste, poi la penna mette l’ultimo punto, che sensazione provi?La prima emozione è un grande vuoto, una piccola vertigine tinta di tristezza. Come il doversi separare da un compagno con cui si è fatto un viaggio – insieme al quale ci si è divertiti, si è lottato, si è sofferto…
Scrivi con la tastiera o carta e penna? Tastiera, decisamente. Molto più comodo per poter ripensare parole e frasi, “controllare” le diverse sezioni del testo. Inoltre ho una pessima grafia. Prendo appunti, questo sì, su fogli grandi e piccoli, e in margine ai documenti che ho trovato sugli argomenti che sto elaborando – note che tengo sempre in vista.
I tuoi prossimi impegni? Un altro romanzo con Parallelo45, un editore estremamente dinamico e attento alle nuove tendenze letterarie – un esempio da seguire nell’attuale panorama editoriale italiano (sclerotizzato e livellato verso il basso, interessato non a far cultura ma a presentare “prodotti commerciali”). Il nuovo romanzo è la storia di una guerra finita. O forse no. E di un ex combattente che fa ritorno a casa attraverso un paese sconfitto e devastato – a piedi, perché i vincitori abbandonano i loro compagni quando questi non servono più. Una discesa agli inferi attraverso la follia dell’odio, della miseria, della morte, della pulizia etnica. Giù a capofitto dentro la guerra – la guerra delle trincee, la guerra casa per casa, la guerra dei fratelli contro i fratelli. Un libro come un pugno nello stomaco che è nato dagli orrori dei conflitti nell’ex Jugoslavia, così vicini e così ignorati, ma non solo… Attualmente sono rappresentato dall’agenzia letteraria tedesca di Juliane Roderer per tre romanzi, mentre l’agenzia spagnola «Página Tres» rappresenta altri miei inediti.
Il tuo rapporto con i social… Non mi entusiasmano, credo vadano presi per ciò che sono: una forma di comunicazione alternativa – rapida, sintetica, comoda – che però non può sostituirsi al contatto vero e proprio, tra persone in carne e ossa. Con i social c’è l’enorme vantaggio di abbattere i confini e le distanze, di poter dialogare in tempo reale con conoscenti che vivono dall’altra parte del mondo (io, ad esempio, ho molti contatti con altri scrittori dell’America Latina e dei Paesi di lingua portoghese – in special modo con autori che praticano il genere della cosiddetta microficción, il racconto breve e brevissimo, narrativa di grande impatto in Sudamerica). Ma il valore dell’incontro, del potersi parlare e ascoltare “fisicamente”, non può essere in alcun modo sostituito.
Hai partecipato a qualche concorso? A quali? Ho partecipato poche volte, quasi tutte su stimolo di amici e conoscenti, non credo molto alle dinamiche dei premi (tantomeno a quelli che richiedono denaro). A volte, però, ci sono concorsi seri e qualificati: ho avuto ad esempio un’ottima esperienza nel ’99 col concorso nazionale «Mondolibro» che ha premiato Lo Specchio di Orfeo come migliore inedito (e che poi ho pubblicato nel 2004, sia in Italia che in Portogallo). Proprio l’anno scorso, poi, il mio inedito Di altre Metamorfosi è stato giudicato primo su 2.046 romanzi e ha vinto il Premio «Linguaggi Neokulturali» – una selezione scrupolosissima operata da addetti ai lavori (agenzie letterarie, editor, curatori editoriali ecc.) e all’insegna della trasparenza assoluta (con votazioni e graduatorie rese pubbliche fase per fase). Un modello forse unico nell’ambito dei concorsi letterari, e uno dei più bei riconoscimenti che abbia ottenuto… Certo, mi piacerebbe partecipare ai grandi premi “storici” – lo Strega ecc. –: c’è un autore che non lo vorrebbe?…
Stefano Valente ….intervistato da Destinazione Libri…perchè questa scelta? Per me è un onore e un piacere, sono davvero grato a Destinazione Libri per lo spazio che mi dedica. Inoltre l’attenzione di Destinazione Libri verso i cosiddetti «nuovi autori» od «emergenti», e il taglio puntuale e giornalistico, mi sembrano “fuori dal coro” – una voce nuova, che mancava, per una letteratura nuova. Ma in Destinazione Libri ho trovato anche interesse per la letteratura nel senso più ampio del termine e per diversi aspetti socioculturali: penso ad esempio all’ode manzoniana Il Cinque Maggio, recentemente pubblicata e analizzata, o all’approfondimento sulla giornata della Festa dei Lavoratori. Insomma, non un semplice blog o sito che tratti di romanzi ed esordienti: Destinazione Libri non si mette limiti, pare avere una marcia in più… Il tutto con la bella dose d’entusiasmo trasmessa dai suoi redattori.
Cosa ti aspetti da questo libro? Nel mio ultimo romanzo, La Serpe e il Mirto (1978), ripongo molte aspettative. Ma forse, più di tutte, quella di attrarre il lettore alla mia scrittura e alle mie storie, che fondono generi diversi, che mescolano l’attualità e il reale con il mito e gli archetipi delle civiltà antiche e presenti. Insomma: spingere chi legge fin sull’orlo del precipizio – là dove agiscono, vagano, sognano i miei personaggi…
Cosa ti piacerebbe rimanga al lettore di questo libro? Quel senso di straniamento, di «tutto è possibile, e niente è come sembra», nel quale è immerso il protagonista, l’argentino Aguilar Mendes: un anti-eroe che la trama indecifrabile del Tempo – la Serpe che divora la sua stessa coda – finirà per scegliere come suo custode…
Stai già pensando al prossimo libro? Continuamente. Ho varie idee che mi tormentano…
La domanda che non ti abbiamo fatto e che ti aspettavi? La scrittura sta cambiando? Credo di sì, credo in una letteratura in costante evoluzione e cambiamento – proprio come la società. In particolare, mi sembra che lo sviluppo dei nuovi media stia portando verso una narrativa più breve, veloce. Mi vengono in mente gli e-book o i racconti seriali per cellulare. Tuttavia non vedo un vero pericolo per il libro “tradizionale”. Non cesserà mai di esistere. Sfogliare, leggere e rileggere le pagine, mette in moto processi mentali e mnemonici impossibili su un qualsiasi schermo. Piuttosto, accanto al libro troverà spazio anche questa scrittura alternativa all’insegna della rapidità e della condensazione. Che sarà altro rispetto alla narrativa di più ampio respiro. Spero comunque che questa nascente micronarrativa assomigli più alla microficción e al relato breve – assai praticato nei Paesi di lingua spagnola e portoghese (e di cui mi occupo, traducendo testi e autori stranieri, nel mio blog Il Sogno del Minotauro, che è diventato a poco a poco un riferimento internazionale del genere) – che agli slogan o al linguaggio della pubblicità. E ancor più grave sarebbe se i lettori adolescenti, o i cosiddetti «digital natives», finissero per abbandonare la pagina in favore dei supporti elettronici. Vedremo: nei prossimi anni sarà fondamentale il ruolo della scuola… Io naturalmente faccio il tifo per i libri!
Che altro dire? Stefano si è fatto davvero conoscere a tutti noi. Destinazione Libri continuerà a parlare di lui e dei suoi libri. Un autore che non si può lasciar andare….
Alla prossima intervista cari lettori….
Alessandra