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Stefi che ha smarrito la strada.

Creato il 12 ottobre 2012 da Marinobuzzi

Oggi ho ricevuto un sms da una cara amica, una di quelle persone che sento sempre volentieri, ci prendiamo in giro, anche pesantemente, e ridiamo come matti, sappiamo che non c’è cattiveria nelle nostre parole e che ci vogliamo bene. Il messaggio diceva: “La Stefi rischia l’ergastolo.”.
Sì, l’ergastolo. Lo sapevo anche se non volevo pensarci, ho messo la testa sotto la sabbia perché questa è una brutta storia e la Stefi non è innocente, lo so. È morta una persona che non aveva fatto male a nessuno. So anche questo. Eppure l’immagine della Stefi in una cella mi angoscia. Sono un codardo, mi dico, perché forse avrei dovuto andare a trovarla in carcere. Forse avrei dovuto scriverle anche se ci siamo persi di vista perché la vita continua e ognuno fa le proprie scelte.
Della Stefi ricordo il suo spirito allegro, non posso farne a meno, ero un ragazzino quando l’ho conosciuta, non avevo nemmeno diciotto anni. Era sposata e voleva dei bambini che però non sono mai arrivati, una ragazza irrisolta che non accettava il suo corpo, questo ricordo di lei. Mi incuriosivano i suoi sbalzi d’umore, a volte aveva uno sguardo talmente triste che mi chiedevo cosa non andasse nella sua vita. Altre invece era allegra, cercava sempre di buttarla in ridere e con noi “ragazzini” apprendisti in una cucina che era, per tre mesi l’anno, la nostra vita, giorno e notte, si dimostrava sempre propositiva. Abbiamo lavorato diversi anni insieme io e la Stefi, avevamo creato un gruppo unito e coeso: io, lei, Irene, Lella e Laura. Per me era diventata una specie di confidente, uscivamo dopo il lavoro, spesso veniva anche Letizia, altre volte Luca. Quando si lavora in un ristorante, se si ha la fortuna di trovare le persone adatte, si diventa un po’ come una famiglia. Entravamo al lavoro alle nove del mattino, qualche ora di pausa il pomeriggio, si ricominciava alle cinque (con i tedeschi che già volevano mangiare) e si chiudeva a notte fonda. Dopo c’erano le escursioni notturne a mangiare la piadina, la discoteca, le chiacchiere. A volte, non avevo ancora la patente, andavo al lavoro in bicicletta (una decina di chilometri in tutto) e lei mi riaccompagnava la sera spingendomi con il suo motorino. Faceva quei dieci chilometri nonostante abitasse dalla parte opposta. La mia zona di origine si anima solo d’estate e io volevo viverla tutta quella vita.
La Stefi era sposata e mi sembrava felice, conoscevo anche suo marito che spesso usciva con noi, a volte ci aiutava al lavoro.
Oggi quel ristorante non esiste più, il proprietario è morto diversi anni fa, io sono andato avanti con la mia vita, me ne sono andato dal paese, ho cambiato lavoro e la Stefi si è persa nei miei ricordi. La vedevo qualche volta quando tornavo a casa a trovare i miei genitori, mi fermavo a fare quattro chiacchiere, era un bel ricordo, una persona che aveva fatto parte della mia vita.
Quando la Stefi e suo marito, Vito, hanno divorziato ho pensato che era un peccato, mi sembravano una bella coppia, erano due persone allegre, ingenuamente avevo pensato che sarebbero rimasti insieme per sempre. Ma non ho dato molta importanza alla cosa, “è la vita” mi sono detto e sono andato avanti.
Poi quando mia madre, quest’estate, mi ha detto che la mamma di Vito era stata uccisa la mia mente si è rifiutata di capire di chi stesse parlando, non avevo collegato quella donna a suo figlio e a sua nuora. Si diceva che erano stati dei ladri, forse qualcuno di fuori, forse dei drogati.
Poi la doccia fredda che ci ha riportati tutti alla realtà perché a uccidere quella donna non è stato un estraneo.
La Stefi ha prima negato, almeno così ho letto sui giornali, e il suo nuovo compagno pure. Poi hanno ammesso la cosa ed è cominciato il balletto delle accuse reciproche.
Ora la Stefi rischia l’ergastolo, ha quarant’anni, anche se dovessero darle 20 anni la sua vita è interrotta.
Qualcuno mi ha detto: “Lei ha interrotto la vita di una persona”.
È vero e non la giustifico. Però vorrei capire cosa è successo nella sua vita perché, a un certo punto, tutto ha cominciato ad andare per il verso sbagliato.
Cosa l’ha spinta a un gesto tanto terribile? Come pensava di poter sopravvivere al senso di colpa? Come ha potuto essere così cieca da non vedere quello che stava accadendo?
Sono diviso, da un lato la consapevolezza di ciò che ha fatto, dall’altro la necessità di comprendere.
La “punizione” arriverà comunque, mi chiedo se sia giusto negarle anche la propria presenza.
È il senso di tutta questa storia che mi sfugge. Come può la persona che mi incoraggiava e mi consolava aver fatto una cosa del genere? Ci siamo persi per strada, tutti quanti, abbiamo perso qualcosa di noi. Devo solo capire se è giusto ritrovare quel qualcosa anche se, per farlo, dovrei costringermi a guardare ancora più a fondo dentro di me.


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