DAL DISCO AI PIANETI – Proprio su questa linea si è svolto il talk di Leonardo Testi, già astronomo dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri attualmente in forza all’ESO. «La fase di crescita dei pianeti attraversa un momento iniziale in cui bisogna andare dalle dimensioni dei grani di polvere del mezzo interstellare, che sono submicron size, fino alle dimensioni dei pianetesimi, cioè nell’ordine delle decine di metri, centinaia di metri, chilometri».
Come avviene questa fase di crescita iniziale? Testi ha detto: «Si verifica tramite collisione e sticking (attaccamento) dei grani di polvere. Si tratta di un’idea che è circolata per tanti anni. Ovviamente questo processo non è direttamente osservabile nei dischi (perché le distanze e le dimensioni dei grani non lo consentono, ndr), ma possiamo osservare il prodotto finale». Per portare a casa dei risultati, quindi, si effettuano degli esperimenti in laboratorio. Il ricercatore dell’ESO ha spiegato: «Parliamo di esperimenti di collisione tra grani con caratteristiche varie (dimensioni e velocità di collisione diverse). Il tutto per verificare in quali condizioni due grani collidono e si attaccano insieme, crescendo, e in quali condizioni – invece – collidono frantumandosi, perché hanno velocità di collisione troppo elevate».
I test sintetici in laboratorio, quindi, servono per riempire un gap spiegando come si passa da piccolissimi grani di polvere a – si si è fortunati – pianeti. Importante è anche capire le loro caratteristiche chimiche: «Alcuni grani sono di materiale refrattario (magari ferro o silicio), altri sono avvolti da un mantello di ghiaccio, che favorisce lo sticking. I prodotti di queste collisioni vengono usati come input nei modelli di crescita dei dischi». Il risultato? Testi ha aggiunto: «Dai modelli si evince che nei dichi la crescita è più facile che avvenga per sticking fino a dimensioni nell’ordine del millimetro/decimetro. A quel punto cominciano a rimbalzare o a frammentarsi». È qui che entra in gioco la “selezione naturale”. «Per superare queste barriere di crescita bisogna che si verifichino condizioni particolari che coinvolgono un grano di dimensioni maggiori e uno molto piccolo: questo, al momento della collisione, rilascia parte della sua massa su quello grande». La cosiddetta fase di trasferimento di massa, fino a raggiungere dimensioni sempre più grandi.
DISTANZA COSMICA – Nel corso della mattinata si è parlato anche della misurazione delle distanza cosmiche. Se n’è occupato Giuseppe Bono, dell’Università di Roma Tor Vergata – Dipartimento di Fisica, nonché associato INAF – nel suo intervento dal titolo “La scala di distanza cosmica”. A Media INAF ha detto: «Importante è l’impatto che la scala delle distanza cosmiche ha per la determinazione di alcuni parametri cosmologici, in particolare la Costante di Hubble, e poi alcuni parametri connessi, come il Tempo di Hubble». Per fare questo si utilizzano «i calibratori primari di distanza, di cui i più importanti sono le cefeidi classiche e le stelle RR Lyrae. Le prime sono traccianti di popolazioni giovani (con masse tra 3 e 12 masse solari), le seconde hanno una massa tra 0,6 e 0,8 masse solari. Nei miei studi al centro ci sono i possibili errori sistematici nell’utilizzare le due diverse scale di distanza: per poterli determinare, una delle possibilità è quella di utilizzare degli indicatori completamente diversi. Appunto le RR Lyrae». In futuro, ha spiegato Bono, verranno riviste tutte le misure effettuate per capire se c’è realmente una discrepanza tra le diverse misure. Oltre ad osservare le Cefeidi, vengono anche utilizzati «due satelliti, che sono Spitzer e HST, per spingere la scala di distanza delle RR Lyrae a una distanza tale da poter effettuare questo controllo indipendente dalle distanze attualmente in uso».
In serata, nel corso della commemorazione del prof. Marcello Rodonò (nel decennale della sua scomparsa), si svolgerà la cerimonia di premiazione mercoledì 20 maggio alle ore 16:30 nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Catania – piazza Università. Parteciperà anche il presidente dell’INAF Giovanni Bignami.
Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni