di Francesco Sasso
_____________________________
Stéphane Mallarmé (1842-1898) esordì fra le file dei parnassiani di cui conservò anche in seguito il rispetto per la rigorosa versificazione. Nel suo famoso salotto di rue de Rome, in cui si riunivano i giovani poeti, predicò l’importanza del mondo delle idee e dell’esistenza di un ideale, combattendo gli errori di un’età scientifica: la poesia non deve essere incatenata dall’uso delle parole nel loro contesto usuale, l’immagine statica cara ai parnassiani deve essere liberata da un’idea fuggevole o anche dall’assenza, e l’immagine deve essere solo evocata da corrispondenti analogie. Ciò tuttavia non significa alcuna libertà soggettiva, in quanto tali analogie simboliche sono fissate in base ad un rigoroso soggettivismo, la cui ricerca è l’aspirazione e insieme il dramma costante di Mallarmé.
Creò così un linguaggio speciale, dotto, esoterico e sognò di dar vita anche ad una nuova forma tipografica, basata su immense lettere maiuscole e ingegnosi intervalli. Fin dal 1876 con l’Après-midi d’un Faune (Pomeriggio di un Fauno), si volse a questa nuova poesia che spesso risulta oscura per la ricchezza dei simboli e dove la parola diventa solo suggestione musicale.
È logico, dunque, che i simbolisti vedessero in lui il primo interprete della loro dottrina, protesi com’erano ad esprimere le realtà più profonde dell’anima mediante simboli, fondati sulle corrispondenze fra il materiale e lo spirituale, e mediante ritmi e suoni.
f.s.
______________________________
[Leggi tutti gli articoli di Francesco Sasso pubblicati su RETROGUARDIA 2.0]
______________________________
Nome(obbligatorio) E-mail(obbligatorio) Sito web Commentare(obbligatorio)